In concorso alla prossima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia con l’atteso dramedy Carnage, Roman Polanski ha iniziato la sua carriera da regista nel 1962 con Il Coltello nell’acqua. Il soggetto di Jerzy Skolimosky è in una parabola sulla natura umana, tutta giocata sullo scontro psicologico e dialettico, leit motif della successiva filmografia polanskiana. Con Il Coltello nell’acqua, primo film polacco di un certo livello non basato sul racconto della guerra, viene candidato agli Oscar come miglior film straniero. Avvicinatosi alla letteratura dell’assurdo di Kafka e Gombrowicz durante il periodo alle Belle Arti di Cracovia, Polanski era attratto anche dalla pittura cubista e surrealista, in un periodo in cui si credeva che il nuovo cinema polacco potesse realizzare una rivoluzione surrealista all’interno della realtà poetica.
Il periodo più interessante è sicuramente quello del 1968-69, in cui Roman gira negli Stati Uniti il suo film cult, raggiungendo una enorme fama oltreoceano, ma perdendo l’amata moglie Sharon Tate, uccisa dal satanista Mason. Prima di interessarsi al soggetto di di Rosemary’s Baby scritto da Ira Lewis, autrice dell’omonimo romanzo di successo, Roman aveva intenzione di girare un film sullo sci, sua grande passione. Dopo aver passato una notte insonne sulle pagine della Lewis, Polanski andò dal produttore William Castle e cominciò così l’avventura di un film unico nel suo genere. Nel 1968 gli Stati Uniti sono scossi dalla carneficina del Vietnam e in attesa dell’avvento dell’uomo nuovo. Polanski quindi, nasconde nella pancia di una giovane e fresca sposa, Rosemary Woodhouse (Mia Farrow),il figlio del diavolo. Producendo un’evoluzione del principio narrativo usato in Repulsion (1965), ossia l’ambiguità dell’interpretazione, Roman riesce a creare un horror privo di effetti speciali e splatter, tutto giocato sulla suggestione della mente. Questo risultato è ottenuto grazie ad un climax, che diventa evidente attraverso i mutamenti del corpo di Rosemary: da giovane donna in salute ad esile gestante piena di ansie, la protagonista è l’unica spia della presenza del maligno, poiché Polanski non scioglie mai la tensione fino alle ultime scene. Anche la manifestazione finale del maligno passa attraverso la protagonista, che, ormai certa della verità, trova il suo bambino in una culla nera sovrastata da un crocefisso all’ingiù , e, guardandolo negli occhi, inorridisce. Polanski usa gli occhi come unico effetto terrificante, sia nella scena dello stupro che nell’ultima, in cui smorza la tensione con l’intervento della fantastica Ruth Gordon/Minnie Castavet, che, non appena Rosemary fa cadere a terra il coltello, interviene per sincerarsi del danno procurato al suo parquet.
Questo film punta sulla suggestione psicologica sia direttamente che indirettamente. Un esempio di suggestione indiretta è presente già nei titoli di testa, durante i quali la traiettoria dello sguardo introduttivo disegna nel cielo di New York la S di Satana, terminando il suo percorso sul Dakota Palace, nota all’immaginario comune come infausta location. Il motivo della S torna poco dopo, durante la visita all’appartamento. Le prime sequenze del film diventano ancora più sinistre se pensiamo all’atmosfera da soap-opera o da “film alla Doris Day”, come ha ben detto il produttore William Castle , raggiunte grazie ai titoli rosa e alla freschezza di Mia Farrow. Roman Polanski disse che inizialmente non era molto contento di affidare la parte della protagonista a Mia Farrow, poiché da come era descritta nel libro, Rosmary sembrava la classica americana tutta salute e bellezza, ma Mia aveva tutta la fragilità necessaria per quel ruolo secondo Castle.
Per il ruolo del marito che vende il figlio al diavolo, prima di Cassavets, Polanski aveva pensato a Jack Nicholson, reduce da Shining. I personaggi dei ruoli secondari erano stati disegnati da Polanski, che aveva in mente di utilizzare alcune vecchie glorie di Hollywood, tra cui Ruth Gordon vincitrice dell’Oscar come migliore attrice non protagonista, Sydney Blackmer nei panni di Steven Marcato/Roman Castavet, Ralph Bellamy che interpreta il dott. Sapirstein e Patsy Kelly/Laura-Louise. Rosemary’s Baby fece incassare molti soldi alla Paramount e divenne un successo tale che nel 1976 Sam O’Steen ne girò un sequel per la tv, intitolato Look What’s Happened to Rosemary’s Baby. Dopo la tragedia familiare, il regista polacco tornò a Parigi, dove nel 1976 girò L’inquilino del terzo piano, anch’esso basato sull’ambiguità e sulla autosuggestione. Nel periodo più recente, all’interno della filmografia di Polanski ricordiamo La nona porta, un horror con Johnny Depp ed Emanuelle Seigner, ritenuto minore in quanto più spettacolare che spaventoso. Nel 2002 Roman vince la Palma d’Oro a Cannes per Il Pianista, film semiautobiografico sull’Olocausto, ambientato nel ghetto di Varsavia, struggente, pieno di inquietudini e caratterizzato da una fotografia folgorante. Le ultime due tappe della carriera di Polanski sono rappresentate da Oliver Twist (2005), trasposizione cinematografica del classico di Dickens e il poco convincente L’uomo nell’ombra (2010) con Ewan McGregor e Pierce Brosnan.