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Apollo 10 e mezzo | perché non perdersi il film di Linklater su Netflix
4.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Da sempre Richard Linklater lavora per una propria poetica della “trascurabilità”, in cui la trama cinematografica si compone degli episodi più marginali che scandiscono i giorni dei suoi personaggi, in cui tutto ciò che altrove sarebbe irrilevante per la narrazione diviene elemento principale del racconto.

Non stupisce quindi che il suo Apollo 10 e mezzo, felliniano già dal titolo, metta in scena il primo allunaggio di un essere umano negando la prospettiva dell’astronauta e invece adottando quella di un ragazzino, ultimo di sei fratelli, che vive con la propria famiglia ad Houston nel 1969. Se sono solo dodici le persone che hanno camminato sulla Luna fino a questo momento, sono centinaia di milioni quelle che hanno guardato in televisione quei primi passi. Ed è proprio con chi di quell’evento è stato “solo” spettatore che Linklater cerca di immedesimarsi, descrivendo così l’ansia di una intera comunità per la corsa allo spazio e i suoi riverberi sulle piccole cose di ogni giorno.

Apollo 10 e mezzo | un capolavoro tra realtà e fantasia

Tutto ciò che si può dire su Apollo 10 e mezzo è tutto quello che, banalmente, si dice per molti altri film. E cioè che vita, sogno, memoria e fantasia si confondono tra loro fino a non essere più distinguibili e che ciò che guardiamo e ciò che immaginiamo si mescola in un unico flusso di immagini. La differenza è che tutto questo il film di Linklater lo fa realmente e quello che generalmente si afferma in maniera metaforica parlando di cinema, in Apollo 10 e mezzo accade davvero.

È per questo che la riflessione sulla distinzione tra realtà e rappresentazione, tra cinema ed esperienza personale, in questo caso non è solo una suggestione, qualcosa che viene accennato da una trama che parla di altro, ma è la trama stessa, la base di un film fatto solamente di ricordi, che si svolge tutto nel cervello, in cui il punto di vista di un ragazzino viene raccontato dal sé stesso adulto, cinquant’anni dopo, giocando sul cambiamento di percezione fino al punto che l’intreccio propriamente detto può diventare qualcosa da enunciare e poi immediatamente accantonare. Persino lo spunto narrativo, presentato nei primissimi minuti del film, diviene immediatamente oggetto di ambiguità, qualcosa impossibile da collocare, almeno inizialmente, nel film che stiamo osservando o in quello che il protagonista sta creando nella sua mente.


Linklater torna ad utilizzare la tecnica del rotoscoping, vent’anni dopo Waking Life e sedici anni dopo A Scanner Darkly (adattamento da Philip K. Dick), affiancato dallo stesso animatore di sempre (Tommy Pallotta). Ma questa volta, la “pittura digitale” che copre le immagini filmate dal vero le spinge meno verso il surrealismo e più verso una forma di animazione classica, necessaria per posizionare il film a metà tra la reminiscenza pre-adolescenziale e la fantasia.

Narrata con malizia da Jack Black, questa infanzia prende la forma di un’epopea ugualmente minuscola e galattica in cui quasi nulla sembra suggerire un peso narrativo diverso tra lo sbarco sulla Luna e un pomeriggio al parco giochi nel fine settimana (un’altra cosa che si dice spesso di tanti film, ovvero la capacità di affiancare macroscopico e microscopico, qui è resa plasticamente in una scena sul divano, davanti alla tv, prima di andare a dormire). Scegliendo, per quasi metà del suo film, di soffermarsi solo sui dettagli, in modo quasi documentaristico, abbandonando completamente la drammaturgia e prediligendo una operazione di categorizzazione alla Neil Packer, Apollo 10 e mezzo si presenta come un inventario poetico di ciò che era, culturalmente (soprattutto), ma anche politicamente e socialmente, il 1960 in Texas, nobilitando, finalmente, la nostalgia senza ridurla a feticcio. Un affresco (in senso quasi letterale) dell’America degli anni Sessanta, intimo ma mai privato.

Ricordi e documenti di archivio

Come già evidente con Boyhood o con la Before Trilogy, ogni film per Linklater è un processo prospettico, uno slancio in avanti che può arrivare a coprire anche diversi decenni di lavorazione per arrivare ad un traguardo finale. Anche in questo caso, sono passati diversi anni prima di accumulare tutto il materiale audio-visivo necessario per ricreare in maniera esatta le abitazioni degli anni ’60, i punti di riferimento della città di Houston così come effettivamente apparivano nell’anno dell’allunaggio, raccogliendo materiale dagli archivi personali di chi, come lui, abitava lì a quel tempo: fotografie, filmini di famiglia, ritagli di giornale. E se può sembrare che il protagonista del film, con il suo amore per la cultura pop e il baseball, sia il perfetto alter-ego giovanile dello stesso Linklater, Apollo 10 e mezzo non è un film specificamente autobiografico. Non frequentava la scuola media più vicina allo Space Center, la sua famiglia non era davvero così numerosa e suo padre non lavorava davvero per la Nasa (anche se la madre di Jack Black sì).

Un film “boomer” (l’esaltazione dei bei vecchi tempi) assolutamente contemporaneo nei modi e nei tempi (l’effetto playlist, la velocità delle scene, il picture in picture), che sembra estremamente personale anche se non lo è, maniacale nei dettagli e allo stesso tempo archetipico. Se si controllano gli orari e le date presenti nel film, ci si accorge che l’episodio di Beverly Hillbillies mostrato è effettivamente quello andato in onda quel giorno a quell’ora. Janis Joplin era ospite dello show di Dick Cavett in quell’esatto momento che viene raccontato e così i quattro film al drive-in sono quelli che erano realmente in programmazione quella sera di luglio del 1969.

Proprio questa precisione permette di amplificare la distorsione e l’astrazione operata dalla memoria, così come la saturazione di dischi, titoli di film e serie tv, pubblicità e brand commerciali, permette di rendere maggiormente evidente ciò che manca. Linklater, infatti, esplicita il suo contesto famigliare bianco, borghese e privilegiato principalmente per omissione. Le disuguaglianze sociali, la questione razziale e la guerra in Vietnam rimangono contenute nella scatola televisiva, senza mai diventare oggetto di discussione tra i membri della famiglia, che preferiscono parlare (molto) di altro.

Uno“scrapbook” poetico e gioioso

Animato a 12 frame al secondo (come i filmati della missione Apollo 16) e senza ricorrere all’interpolazione (come invece avveniva in A Scanner Darkly), il nuovo film di Richard Linklater riesce a rendere perfettamente su schermo la distanza tra ciò che è stato e ciò che ricordiamo essere stato, proprio perché la sua produzione si è basata sull’utilizzo di documenti attendibili e ricordi dello stesso regista, necessari per riempire i buchi nell’archivio (come nel caso della sequenza delle montagne russe di Astroworld).

Il risultato finale è un enorme “scrapbook” in cui tantissimo materiale diverso è “ritagliato” ed “incollato” preservando la propria eterogeneità in termini di dettaglio, proporzioni e risoluzioni. Tutta questa raffinatissima operazione sulla memoria, sul cinema, sul colore e sulle immagini non sovrasta mai la gioia del racconto. Proprio per questo motivo, Apollo 10 e mezzo èfino alla fine, un film che conserva una voglia matta di scherzare con il rumore dei tasti del telefono e di inventarsi nuovi modi di giocare a baseball nel garage quando piove.

Recensioni

Un fantasma in casa: la recensione del nuovo film con David Harbour

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un fantasma in casa

David Harbour e Anthony Mackie in Un fantasma in casa

Un fantasma in casa: la recensione del nuovo film con David Harbour


3.3
Punteggio

Regia

Sceneggiatura

Cast

Colonna Sonora

Disponibile su Netflix e diretto da Christopher Landon, Un fantasma in casa è una divertente commedia, a metà tra l’horror e il sovrannaturale, con David Harbour protagonista. La pellicola si basa sul racconto breve di Geoff Manaugh, intitolato Ernest.

Sulla falsariga di film come Sospesi nel tempo e S.O.S. fantasmiUn fantasma in casa riprende le suggestioni del passato e le adatta ai tempi moderni. Gli elementi classici, alla base di progetti come questo, ci sono tutti.

un fantasma in casa

Erica Ash e David Harbour in una scena di Un fantasma in casa

A partire da una casa infestata, un evento tragico che ha scatenato l’apparizione del fantasma, una famiglia ignara che si ritrova, suo malgrado, a fare i conti con la presenza sovrannaturale, una risoluzione dal quale trarre conclusioni non scontate.

Come appare chiaro, la nuova proposta di Netflix sfrutta la popolarità dei nomi del cast: in primis quello di David Harbour, amatissimo protagonista di Stranger Things, a cui si affiancano il supereroe Marvel, Anthony Mackie, e la star di The White Lotus, Jennifer Coolidge.

Una piccola curiosità riguarda la scelta di Harbour per la parte del fantasma. Pare, infatti, che l’attore abbia accettato di buon grado, ma non senza timori, la sfida di interpretare un ruolo che non prevedeva l’uso della parola.

Un fantasma in casa | La trama del film su Netflix

Un anno dopo la fuga dei precedenti proprietari, la famiglia Presley finisce per trasferirsi in una casa molto accogliente, luminosa, ampia, ma popolata da un fantasma di nome Ernest (Harbour). Se il figlio maggiore, Fulton (Niles Mitch), sembra adattarsi molto facilmente, anche grazie al suo inseparabile smartphone, per il minore, Kevin (Jahi Winston) le cose non vanno così lisce.

un fantasma in casa

Jahi Winston, Isabella Russo e David Harbour in Un fantasma in casa

In seguito all’ennesima discussione con il padre (Mackie), il ragazzo sale in soffitta, deciso a esplorare la sua nuova abitazione e, probabilmente, a trovare uno spazio che sia solo suo. Qui fa il suo primo incontro con Ernest. Ma, piuttosto che esserne spaventato, l’apparizione lo diverte molto e gli fa perdere di vista la rabbia nei confronti del genitore.

È così che si instaura tra i due un rapporto di amicizia e confidenza, che spingerà poi Kevin a scoprire la storia di Ernest, di modo da potergli dare finalmente un po’ di pace e liberarlo dalla sua prigionia.

Dalla commedia ai temi importanti

Un fantasma in casa parte dall’essere una semplice commedia, per arrivare a parlare di tematiche più importanti. Un esempio su tutti è, senza dubbio, il discorso della famiglia, della genitorialità e del rapporto tra padre e figli. Non a caso, lo stesso Ernest si rivelerà, nel corso della narrazione, un padre a sua volta.

Quando nasce un figlio, cambia completamente la percezione di colui o colei che diventa genitore, Da quel momento, ogni gesto, pensiero e decisione verrà guidato dal desiderio di proteggere e rendere felice. Ma non è sempre tutto così immediato e naturale.

L’amicizia tra Ernest e Kevin non fa che mettere in luce alcune delle difficoltà affrontate sia dall’adulto che dal teenager. Il punto di incontro esiste, ma servono tanto impegno, pazienza e volontà, per raggiungerlo e renderlo stabile.

L’horror che diverte

Mentre si parla di famiglia e si mostrano le dinamiche all’interno di una casa all’apparenza serena, la storia va avanti anche seguendo la linea thriller. Ed è, forse, questa commistione a rendere il progetto godibile e accattivante da diversi punti di vista.

Da non sottovalutare, inoltre, l’utilizzo degli effetti speciali, che permette di giocare con i generi cinematografici in maniera piuttosto intelligente. Punte di horror vengono toccate in alcuni (pochi) momenti, e ricordano cult come La morte ti fa bella. Ovviamente, a farla da padrona è la chiave comica, sebbene si apprezzino simili inserti.

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Recensioni

What’s Love? recensione | Il film romantico e multiculturale con Lily James

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ShazadLatif e Lily James in What’s Love?

What's Love? Cos'è l'amore? Recensione del film con Lily James


3.9
Punteggio

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Cast

Colonna Sonora

In uscita, nelle sale italiane, giovedì 16 marzo 2023, What’s Love? è il nuovo film di Shekhar Kapur, con Lily James ed Emma Thompson. Una commedia romantica dal tocco british, con un pizzico di Bollywood, che regala emozioni semplici e genuine.

A distanza di quasi 15 anni dal precedente lungometraggio, dal titolo New York, I Love You (2008), il cineasta indiano torna dietro la macchina da presa. Lontano da opere storiche ed epiche, quali per esempio Elizabeth (1998) e Le quattro piume (2002), Shekhar Kapur realizza una romcom assolutamente godibile.

what's love

Una scena di What’s love?

What’s Love? ha tutte le carte in regola per attrarre un’ampia fetta di pubblico, soprattutto femminile. Il punto di forza sta, sicuramente, nella scrittura, brillante e intelligente, che ben fotografa un preciso e realistico spaccato di vita.

Protagonista della pellicola, distribuita nelle sale italiane da Lucky Red, è la britannica e apprezzata Lily James. Smessi i pomposi abiti di Cenerentola, l’attrice 34enne si è imposta all’attenzione con il ruolo di Lady Rose Aldridge in Downton Abbey. Qui interpreta Zoe, una giovane documentarista alle prese con un progetto che dovrebbe determinarne la svolta in carriera.

Al suo fianco, una veterana come Emma Thompson, in una delle sue parti migliori. A lei si devono, infatti, alcuni dei momenti e delle battute migliori. Simpatica e travolgente, l’attrice veste i panni della madre di Zoe, Cath. Completa il cast, il londinese e poco noto (in Italia) Shazad Latif, al quale spetta il compito di far vacillare i sentimenti della protagonista.

What’s Love? | La trama del nuovo film di Shekhar Kapur

Zoe (James) ha una passione smisurata per il suo lavoro, oltre al talento e all’intraprendenza. In cerca di una nuova idea da proporre ai suoi finanziatori, si lascia intrigare dalla situazione del suo migliore amico, Kazim (Latif). Vivendo uno accanto all’altro, in un grazioso sobborgo di Londra, i due sono letteralmente cresciuti insieme.

what's love

Shazad Latif e Lily James in What’s love?

Kazim sa tutto di Zoe, come lei sa tutto di lui. O almeno così credeva. Quando scopre che l’uomo sta per prendere moglie, si sente, in qualche modo e inconsciamente, messa da parte, e decide di saperne di più. Convinto dai genitori, Kazim ha, infatti, accettato un matrimonio assistito. Zoe coglie al volo l’occasione e chiede all’amico di poter riprendere tutte le varie fasi dell’organizzazione.

Nel corso delle ripresa e della ricerca, tra i due verranno fuori sentimenti inaspettati e latenti, che porteranno non poco scompiglio nelle rispettive vite e famiglie.

Dalla Festa del Cinema di Roma, un romanticismo non scontato

Presentato nella sezione Grand Public, alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma – dove si è aggiudicato il Premio Ugo Tognazzi alla Migliore commedia – What’s Love? si rivela una commedia sicuramente sopra la media del genere. Il merito va rintracciato, innazitutto, nell’ottima resa di una realtà multiculturale e moderna.

Zoe e Kazim appartengono a due famiglie diverse tra loro, ma capaci di convivere e condividere, nel massimo della serenità e della gioia. Il fatto di essere cresciuti insieme, permette ai due protagonisti di conoscersi meglio di quanto credono. Nel corso delle vicende, riflessioni naturali e comuni vengono a galla: è davvero possibile l’amicizia tra uomo e donna? Vale la pena rischiare un rapporto solido e bello per qualcosa di ignoto e, probabilmente, fallimentare? Come potersi fidare di ciò che si sente?

In poco più di 100 minuti, la pellicola propone una risposta a queste domande. Ed è, ovviamente, una risposta romantica, piena di speranza, ma non del tutto scontata.

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Recensioni

Luther: Verso l’inferno, la recensione | Un film che assomiglia più ad uno special televisivo

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Luther: Verso l’inferno, la recensione | Un film che assomiglia più ad uno special televisivo


2.9
Punteggio

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Poster di Luther: Verso l’inferno (fonte: Netflix)

Poster di Luther: Verso l’inferno (fonte: Netflix)

I fan di Luther, celebre serie della BBC andata in onda per quattro stagioni tra il 2010 e il 2019, potranno incontrare nuovamente l’ispettore della omicidi di Londra interpretato da Idris Elba in un nuovo film da oggi disponibile su Netflix.

Luther: Verso l’inferno non nasconde le sue ambizioni abbastanza modeste, dichiarando fin da subito la scelta di giocare nel campionato degli special televisivi più che in quello dei film autonomi tratti dalle serie tv (come ad esempio El Camino, per citare una operazione simile già fatta da Netflix). Mantiene questa promessa, ma non fa molto di più.

Una scena di Luther: Verso l’inferno (fonte: IMDB)

Una scena di Luther: Verso l’inferno (fonte: IMDB)

Scritto dal creatore dello show Neil Cross e diretto da James Payne (che ha diretto episodi non solo di Luther, ma anche di Outlander e The Alienist), il film riprende da dove la serie si è conclusa. Luther è ormai caduto in disgrazia, mentre un killer terrorizza Londra pianificando ed eseguendo una serie di raccapriccianti omicidi. In poco tempo il detective decide di tornare sul campo, mettendosi all’inseguimento del sadico assassino, mentre il nuovo capo della polizia, Odette Raine (Cynthia Erivo), si trova, per dovere di ufficio, a dover inseguire lo stesso Luther.

L’efficacia di un film come questo dipende in gran parte dalla possibilità di replicare i tratti distintivi della serie in un formato diverso e, in tal senso, Cross e Payne non sbagliano un colpo, riproponendo l’intrigante mix di azione dura e guerra psicologica che caratterizzava gli episodi televisivi, orchestrando un appassionante gioco del gatto e del topo che porta lo spettatore all’interno della mente di un serial killer atipico, che fa leva sulle debolezze delle sue vittime per convincerle a partecipare al suo macabro show.

Idris Elba ha il carisma e la presenza di una grande star del cinema, abituata ormai da tempo ad abitare il grande schermo, assolutamente a proprio agio nel formato cinematografico nonostante i suoi più grandi successi arrivino da serie come, appunto, Luther e The Wire. Tornando a vestire i panni del personaggio più iconico della sua carriera, uno che per tanto tempo è stato associato indissolubilmente al suo nome, Elba porta tutta l’esperienza maturata sui set cinematografici riuscendo, anche solo attraverso la propria interpretazione e la gravitas della sua prova attoriale, a far sembrare questo special televisivo più di quello che effettivamente è.

Idris Elba | un carisma da cinema sul piccolo schermo

È attorno a lui e alla sua presenza scenica che Verso l’inferno è costruito. Il personaggio di Cynthia Erivo rimane intrappolato nella classica figura autoritaria che oscilla tra due soli stati d’animo: apprensivo e ostinato. La sceneggiatura inserisce un retroscena personale per darle maggiore profondità, ma la sua backstory appare fin troppo meccanica e poco in sintonia con i temi generali del film. Andy Serkis, d’altro canto, si diverte ad interpretare l’antagonista, ma la sua performance non va mai oltre la sufficienza.

Idris Elba in Luther: Luther: Verso l’inferno

Idris Elba in Luther: Luther: Verso l’inferno

Con più di due ore di durata, il ritmo di Luther: The Fallen Sun non sempre regge la tensione. Quello che sarebbe potuto essere un thriller asciutto e teso, viene fagocitato da molto materiale estraneo, inserito quasi esclusivamente per raggiungere la lunghezza del lungometraggio (la stessa prima mezz’ora funge da preambolo espositivo privo di emozioni o interesse). Una scelta tanto più deludente se si considera che la serie originale è nota proprio per le sue brevi stagioni e gli episodi compatti e incisivi.

Man mano che la storia si svolge, l’intrigo psicologico si dissolve in ridicoli giochi gore conditi da molta violenza inutile. Il film, pur introducendo un’idea affascinante che spinge chi guarda a mettere in discussione la propria ossessione voyeuristica (alimentata forse da serie tv come quella di Luther?), non esplora mai davvero il tema e si limita ad utilizzarlo come pretesto per alzare il tasso di truculenza.

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