Festival
Festa del Cinema di Roma: Paola Cortellesi e Carlo Verdone chiudono con il sorriso
Gli Incontri Ravvicinati della Festa del Cinema di Roma si sono conclusi il 24 Ottobre con la coppia Paola Cortellesi e Carlo Verdone che hanno regalato un’ora di divertimento e leggerezza al pubblico della kermesse, ricordando i loro film e raccontando il loro rapporto professionale e di amicizia. Dopo aver rotto il ghiaccio facendo i titoli dei loro film preferiti, La Dolce Vita di Fellini per Verdone e Risate di Gioia di Monicelli per la Cortellesi, i due artisti italiani hanno rivisto alcune delle scene più indimenticabili del loro cinema commentandole insieme al Direttore del festival Antonio Monda in un clima rilassato e piacevole.
BIANCO, ROSSO E VERDONE
Carlo Verdone: “Dopo il successo di Un Sacco Bello mi chiesero di fare un secondo film con i miei personaggi: Leo così è diventato Mimmo alle prese con la nonna (Sora Lella), Furio era invece un marito a cui il pubblico avrebbe voluto tagliare la sedia e questo della clip era un personaggio muto che esplode nel finale in un discorso surreale tentando la mimica. Alla fine lancia anche una critica politica e sociale”.
Paola Cortellesi: “Carlo è sempre stato a casa mia, era uno di famiglia perché lo guardavano sempre al cinema e in tv. A scuola facevamo la gara a chi sapeva meglio a memoria le sue battute. Se avevi un paio di occhiali da sole non potevi non toglierli facendo il geste del prete Don Alfio de Carlo con un occhio chiuso e uno aperto. Come regista è molto serio, sa cosa vuole ma ti lascia molta iniziativa, anche se altre volte invece è più scientifico. Ma spesso inventa direttamente sul set”.
Carlo Verdone: “Con Paola abbiamo la stessa ironia ed è facile lavorare, c’è una grande sintonia e realizzare il film Sotto una Buona Stella è stato molto rilassante e divertente. In tv lei è dirompente, simpatica, ha la faccia tosta e si butta, anche se per molte cose è anche fragile. Fa film comici, drammatici…se la cava bene comunque, è un’ attrice a 360 gradi”.
SCUSATE SE ESISTO
Paola Cortellesi: “Questa è stata la mia prima sceneggiatura, è un film molto divertente ma in questa scena finale si scoprono le carte. Si scrivono poche storie per donne e questa è legata al mondo del lavoro per un film divertente in cui però si racconta la condizione femminile nel mondo del lavoro. La storia di tante donne, menti eccellenti che lavorano all’estero ma poi vogliono tornare in Italia. Ma qui non ci sono le stesse possibilità. In fase di sceneggiatura con Riccardo (Milani) abbiamo litigato molto perché lui è molto più ottimista di me e voleva raccontare il rientro di questo mio personaggio in Italia con una nota più positiva, ma io non la pensavo così. Poi sul set ci siamo divertiti”.
Carlo Verdone: “La mia malinconia esce fuori in tutti i film ma fa parte della mia anima. Però facendo commedia mi sforzo di essere ottimista. In questo momento se mi chiedessero se è un momento buono per fare commedie forse direi di no visti i telegiornali e quello che succede ogni giorno. Ma ci si deve sforzare perché per me la commedia ha un valore terapeutico. Cerco di fare dei film di evasione intelligenti”.
VIAGGI DI NOZZE – Ivano al ristorante che corteggia Jessica per finta
Carlo Verdone: “L’idea della banana mi è venuta in mente vedendo una signora al ristorante veramente, e io e Claudia abbiamo riso per due ore e non riuscivamo ad andare avanti. Uno dei più brillanti film della mia carriera ma anche molto triste perchè ha un retrogusto malinconico e drammatico per gli spettatori più attenti”.
Paola Cortellesi: “Molti confondono la leggerezza con la superficialità: per esempio i grandi maestri del nostro cinema attraverso la leggerezza hanno raccontato dei temi molto drammatici per far vedere alle persone alcune realtà senza far calare un muro (es. La Grande Guerra). L’umorismo è un ottimo strumento per traghettare temi importanti”.
Carlo Verdone: “La Grande Bellezza è stata una boccata di ossigeno per me che dopo 39 anni di commedie, ho potuto fare una cosa diversa in un momento di maturità come attore. Ho ammirato lo stile di Paolo, mi piace come regista e non avrei immaginato mai di far parte di questo cast. Ho ammirato come riusciva a mettere insieme questo grande mosaico e prima o poi vorrei fare un ruolo ironico dove tocco però un argomento drammatico. Ho appena finito una commedia con Antonio Albanese con un tono un po’ diverso dagli altri film, ma mi sono molto trovato bene con lui e in futuro con Paola e Antonio potremmo fare qualcosa di bellissimo”.
GRANDE, GROSSO e VERDONE
Carlo Verdone: “Tante voci mi sono rimaste nella testa e a volte sono diventate personaggi. Lo vedo tutti i giorni tra la gente comune. La mia ispirazione viene molto dai caratteristi della commedia anni ’50 e ’60, i fratelli Carotenuto, Carletto Romano, Leopoldo Trieste. Il personaggio di Furio per esempio è un omaggio a Trieste nel film Lo Sceicco Bianco. Nella gestualità anche le commedie in bianco e nero napoletane con De Filippo, Ugo D’Alessio…anche Fellini li ha sempre sottolineati perché era molto affezionato ai suoi personaggi”.
UN BOSS IN SALOTTO
Paola Cortellesi: “Nei film di Carlo mi piacevano i vari dialetti e ho sempre ammirato molto gli attori che si trasformavano parlando. Mi diverto molto a fare personaggi diversi giocando con i dialetti. E l’ho imparato veramente da Carlo, vedendo i suoi film anche prima di conoscerlo”.
Infine i due hanno ricordato i loro prossimi progetti che li ritroveranno prossimamente al cinema. Paola Cortellesi infatti sarà nel nuovo film di Massimiliano Bruno Gli Ultimi saranno gli Ultimi, mentre Carlo Verdone tornerà il 28 Gennaio con il nuovo film.
Festival
Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it
Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.
Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.
La trama di Inside
Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.
Il one man show di Willem Dafoe
Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.
Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.
Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73
Un incubo a occhi aperti tra quattro mura
Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.
Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.
Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.
Inno all’arte
L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?
Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film – Foto: Newscinema.it
Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.
In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.
Festival
Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.
È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.
Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.
Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.
Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.
Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.
“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.
Festival
Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.
È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.
“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.
Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.
I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.
Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”
Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.
Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.
“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.
Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.
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