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Giffoni 2014, la conferenza stampa di presentazione

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Tremilacinquecento giurati provenienti da 41 Paesi invaderanno le strade di Giffoni Valle Piana in occasione della 44esima edizione del Giffoni Experience che si terrà dal 18 al 27 luglio 2014. Il Giffoni stupirà, ancora una volta, con il suo programma articolato: 163 i film in programma, oltre 60 i talent, 4 le Masterclass (Recitazione, Sceneggiatura, Stop-Motion, Giornalismo), prestigiose anteprime. Impegnativo e affascinante il Tema che sarà “Be different”. “La differenza è la cifra esatta della bellezza, è la sostanza del nostro essere e la forza della nostra evoluzione – sottolinea il direttore artistico Claudio Gubitosi – e allora il nostro invito è Be different perché essere diverso è l’unica via per cambiare il mondo intorno a te, per creare, per inseguire il domani e farlo proprio”.

giffNegli ultimi 3 mesi, giorno dopo giorno, abbiamo delineato forma e sostanza di questa edizione, annunciati i film, le anteprime, alcuni talenti – continua Gubitosi. L’abbiamo condivisa con i nostri partners e soprattutto attraverso i social, con il nostro pubblico di riferimento: i ragazzi. Oggi completiamo il mosaico in un momento in cui il dinamismo di questa idea è, credetemi, stupefacente. I primati raggiunti negli ultimi 4 anni sono il risultato di un team che ha grandi capacità creative e organizzative, di un lavoro di squadra fatto sempre con passione, amore, intuizione, leggerezza, responsabilità. E questo ci ha permesso di raggiungere un coinvolgimento quasi planetario. Alla carta geografica politica abbiamo perfino mappato la geografia culturale italiana ed internazionale. I successi di Giffoni sono da ascrivere alla sua complessa alchimia tra fattori diversi, scelte, filosofie, intuizioni che portano sempre ad un unico obiettivo: essere leali, onesti, chiari con le generazioni che ci seguono e, nel contempo, condividere con loro la vita quotidiana, i loro bisogni, le attese, le tante domande”.

È stato un anno – aggiunge il presidente del Giffoni Experience, Pietro Rinaldifaticoso ma anche bello. Pieno di nuove aperture, denso di nuovi contatti e progetti. Una formula quasi magica che cresce e si rinnova spontaneamente e continuamente, dove il futuro è già presente e si intrecciano durante l’anno le più diverse forme di espressione artistica, culturale e sociale. Abbiamo lavorato tutti insieme affinché il brand, ormai noto e affermato in tutto il mondo, potesse assicurare ai ragazzi che frequenteranno Giffoni tra qualche giorno, la più intrigante selezione cinematografica, talenti in grado di offrire segni e valori, attività e animazioni più varie”.

giff2Il Festival – commenta il presidente della Regione Campania, Stefano Caldorocresce negli anni, nella organizzazione, nella qualità, nell’offerta E’ un’eccellenza campana nel mondo, un motore per la cultura, per la crescita del nostro territorio. Il motore é rappresentato dai giovani, la nostra grande forza. Quest’anno, come tutti gli anni, il Festival lancia segnali significativi. La presenza a Caivano, il coinvolgimento dei ragazzi di quelle zone, di Don Patriciello rappresentano un valore aggiunto. E’ la dimostrazione che insieme si deve avere fiducia nelle cose che cambiamo, che stanno cambiando”. “Giffoni – rimarca l’assessore alla promozione culturale della Regione Campania, Caterina Miragliarappresenta un punto di forza della politica culturale messa in campo dalla Giunta Caldoro l’azione positiva del Gff non si esaurisce solo con il festival ma continua accompagnando i nostri ragazzi nel loro percorso di crescita mettendo in sinergia scuola, cultura e lavoro. Bisogna anche ricordare che Giffoni è simbolo del nostro export che funziona, infatti sono tante le iniziative di paesi esteri che richiedono che l’esperienza del festival venga esportata nei loro territori”.

Con soddisfazione – spiega il sindaco di Giffoni Valle Piana, Paolo Russomandoannunciamo che il bando per Multimedia Valley scadrá il 14 luglio e che per ottobre potremmo aprire il cantiere per la sua costruzione . È un momento storico che farà crescere e ampliare il Giffoni Experience sempre più. Ringrazio il Presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro per averci accompagnato sempre con attenzione in questo percorso. Domani mattina, inoltre, verrà firmato l’atto di costituzione della Fondazione Giffoni che inizierà, per ora, a gestire la Cineteca Regionale della Regione Campania. Siamo molto orgogliosi di far parte di questa realtà unica al mondo“. Il tema della 44esima edizione è Be Different. La differenza è ricchezza, è il potere di cambiare partendo da un elemento “anomalo” che, distaccandosi da quella che viene intesa come norma, cambia la nostra visione del mondo. Ecco perché bisogna essere Be different: per cercare la propria strada senza temere lo scandalo o l’essere un monstrum, ovvero oggetto di stupore e meraviglia, l’essenza di cioè che è grande, meraviglioso e spaventoso proprio per il suo essere diverso. Non c’è grandezza senza differenza. Il genio è diverso e per la sua differenza compie un percorso doloroso attraverso la vita ma è dalla sua differenza che otteniamo il dono dell’arte, la forza dell’invenzione. Essere diverso è il peso che ogni ragazzo porta con sé. Se la similitudine è rassicurante segno di appartenenza ad un gruppo, ad una famiglia, ad una società di uguali, la differenza viene vissuta come difficoltà, limite, castigo piuttosto che come potenzialità infinita di trasformazione. Cos’è la giovinezza se non il potere di essere ciò che si vuole? E la più grande differenza non è forse quella di avere ancora tra le mani il proprio futuro?

Il programma cinematografico prevede 163 film tra lunghi e corti, in concorso e fuori concorso, selezionati su oltre 3760 produzioni di 90 paesi. Le sezioni competitive sono: Elements+3 (3-5 anni), Elements+6 (6-9 anni), Elements+10(10-12 anni), Generator+13 (13-15 anni), Generator+16 (16-17 anni), Generator+18 (dai 18 anni in su). Novità di quest’anno la selezione di cortometraggi in concorso Masterclass Short Films. Le sezioni non competitive sono: Reload/Parental Control (alcuni tra i migliori film già distribuiti in Italia. Tutti certificati Giffoni) e tre Focus on dedicati al Qatar, alla Macedonia e alla Georgia.

OSPITI

Ad inaugurare il Blu Carpet in Cittadella, venerdì 18 luglio ci saranno PIF, reduce dal successo del suo ultimo film La Mafia Uccide Solo D’Estate e GIORGIA WURTH che presenterà il suo ultimo libro L’Accarezzatrice. Ad accompagnarla vi sarà EURIDICE AXEN, interprete del book trailer del libro. Sabato 19 luglio MICAELA RIERA, protagonista della serie trasmessa in esclusiva su Disney Channel Cata e i Misteri della Sfera, incontrerà i giurati della sezione Elements +10 (10-12 anni) ed interpreterà per loro un brano della colonna sonora della serie. A seguire un episodio in anteprima. Ma tra i grandi nomi presenti sabato c’è anche la star di White Collar, MATT BOMER. Quella del 19 è una giornata da non perdere per i fan di Gomorra – La Serie, grazie alla presenza di due protagonisti, MARCO D’AMORE e SALVATORE ESPOSITO. In occasione della proiezione del film Ci Vorrebbe Un Miracolo, arriveranno a Giffoni il regista DAVIDE MINNELLA e i due interpreti ELENA DI CIOCCIO e GIANLUCA SPORTELLI. Domenica 20 luglio sarà anche il momento della bellissima ISABELLA FERRARI, ospite del festival. Anche quest’anno inoltre i Gleeks di tutta Europa possono darsi appuntamento al Giffoni Experience. Il rendez-vous – diventato ormai uno degli incontri fissi e più attesi del Festival – è fissato per il 20 luglio, quando alla Cittadella del Cinema giungerà LEA MICHELE, la talentuosa ‘Rachel Berry’ della seguitissima serie tv Glee. Lunedì 21 luglio sarà la volta di DYLAN O’BRIEN, a Giffoni Valle Piana. Amatissima star della serie tv soprannaturale Teen Wolf – dove interpreta il ruolo dell’iperattivo e spesso impacciato Stiles, il migliore amico del licantropo Scott – Dylan O’Brien sarà il protagonista dell’atteso film sci-fi a sfondo post apocalittico: Maze Runner – Il Labirinto diretto dall’esordiente Wes Ball, in uscita il 19 settembre negli Usa. Quella di lunedì, però, non sarà una passerella solo maschile: MARGARETH MADÉ e CLAUDIA GERINI saranno altre due grandi protagoniste della giornata. Sarà però una delle star hollywoodiane più amate al mondo, RICHARD GERE, protagonista martedì 22 luglio sul Blu Carpet della Cittadella del Cinema. L’attore è stato capace, come pochi, di conquistare il pubblico internazionale a prescindere dal personaggio interpretato, dal sexy Ufficiale Gentiluomo al cinico magnate de La Frode fino all’impudente strapagato avvocato di Chicago, ruolo che gli è valso il Golden Globe 2003 come miglior attore.

step

 

Da non perdere anche il piccolo ROBERT DANCS e FRANCESCO ARCA presenti in Cittadella sempre nella giornata di martedì. L’attore e regista ALAN RICKMAN riceverà, invece, il premio Francois Truffaut il prossimo 23 luglio al Giffoni Experience. Rickman, vincitore di un Golden Globe, un BAFTA, un Emmy ed un SAG, è meglio noto ai giovani di tutto il mondo per il ruolo di Severus Piton, il mago mezzosangue della fortunata saga di Harry Potter. Artista eclettico, a suo agio sia a teatro che sullo schermo. Attualmente è a lavoro sulla post produzione di A Little Chaos, il suo secondo film da regista con Kate Winslet e Matthiah Schoenarts. Rickman è anche co-sceneggiatore e vi appare in un piccolo ruolo. Sempre mercoledì sarà VINCENZO INCENZO a presentare il suo ultimo libro Romeo&Giulietta nel Duemilaniente. 43 Secondi D’Amore. Insieme a lui sarà ospite SERENA AUTIERI, interprete del book trailer del libro. Giovedì 24 luglio saranno i bravi e giovani protagonisti della serie BRACCIALETTI ROSSI ad incontrare i giurati, insieme all’autore del libro omonimo ALBERT ESPINOSA e al regista GIACOMO CAMPIOTTI. Nella stessa giornata spazio poi a CESARE BOCCI e al simpatico MAX GIUSTI. Venerdì 25 sfileranno sul Blue Carpet le bellissime ANDREA OSVART e GIULIA MICHELINI mentre, sabato 26, toccherà ad ALESSIA PIOVAN, PAOLO RUFFINI e MARTA GASTINI. Nello stesso giorno, Giffoni accoglierà il talentuoso regista salernitano SIDNEY SIBILIA, reduce dal successo della sua opera prima Smetto quando voglio, accompagnato da uno degli interpreti PAOLO CALABRESI. Ultimo giorno di festival domenica 27 con il sex symbol tutto italiano LUCA ARGENTERO e MARCO PALVETTI, uno dei protagonisti di Gomorra – La Serie. Da Radio Deejay invece arriveranno in Cittadella EMILIANO PEPE e LA PINA mentre ad accompagnare, come ospiti speciali durante la cerimonia di chiusura di questa 44esima edizione, vi saranno la stupenda ORNELLA MUTI e l’elegante PAOLO CONTICINI.

 

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Venezia 81 | il nostro commento ai premi e a questa edizione del festival

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Commento ai vincitori di Venezia 81 – NewsCinema.it

Si può essere finalmente felici del Leone d’Oro vinto da Pedro Almodóvar per il suo primo lungometraggio in lingua inglese.

Dopo una carriera paragonabile a poche altre, all’età di 75 anni, ha vinto il suo primo premio principale in uno dei grandi festival del mondo (nonostante i tanti film eccellenti e i capolavori di quest’ultima fase della sua filmografia, come per esempio Dolor y Gloria, premiato a Cannes “solo” con la Palma a Banderas per miglior attore”).

Il fatto che questo premio sia arrivato per La stanza accanto, un film bello, unico, che affronta con luminosa frontalità il tema dell’eutanasia, non è che un ulteriore elemento di cui essere contenti. Al di là dell’indiscutibile valore de La stanza accanto, però, tutto era già stato ampiamente previsto, preso atto della qualità medio-bassa del Concorso di quest’anno e della presenza di un unico vero altro contendente al Leone d’Oro: l’epopea di The Brutalist immaginata da Brady Corbet, uno degli autori che – va riconosciuto – il festival di Venezia ha cullato fin dall’inizio, con il folgorante esordio de L’infanzia di un capo.

Corbet, alla fine, si è dovuto “accontentare” del Leone d’Argento per la miglior regia, scavalcato nel palmarès da Vermiglio di Maura Delpero (alla sua seconda opera), che si è inaspettatamente – ma meritatamente – aggiudicato il Gran premio della giuria: uno dei cinque titoli italiani in Concorso, probabilmente l’unico, insieme a Queer di Guadagnino, capace di convincere e arrivare anche ad un pubblico straniero.

Luca Guadagnino, nonostante sia tornato a casa a mani vuote con la sua audace trasposizione di Burroughs (che, evidentemente, ha diviso la giuria guidata da Isabelle Huppert), si può dire comunque soddisfatto per la vittoria di April di Dea Kulumbegashvili, di cui è co-produttore.

Il lungometraggio della giovane regista georgiana ha ricevuto il premio speciale della giuria (quello che generalmente viene riservato a opere più “sperimentali” e meno canoniche) ed è stato forse uno dei pochissimi titoli del Concorso a creare un vero e proprio dibattito. Il resto, infatti, è passato sotto gli occhi degli spettatori senza suscitare grandi emozioni (positive o negative che fossero), fatta eccezione per Joker: Folie à Deux, che inevitabilmente ha catalizzato moltissime attenzioni, non troppo lusinghiere, e suscitato legittimi dubbi sulla sua collocazione in Concorso.

Come ormai avviene da diversi anni, molto più appassionanti e discusse sono state le visioni fuori concorso di Baby Invasion di Harmony Korine e di Broken Rage di Takeshi Kitano (arrivato al festival all’ultimissimo momento utile e per questo, a quanto pare, non in competizione).

Eppure la vera sezione che quest’anno ha realmente galvanizzato il pubblicato è stata quella dedicata alle serie televisive: Disclaimer di Alfonso Cuarón e M – Il figlio del secolo sono state, a detta di tutti, le cose più audaci e interessanti del festival, capaci di entusiasmare molto più dei film in Concorso. Anche Families like ours di Vinterberg e The New Years di Sorogoyen, se pur ad un livello inferiore, sono comunque state seguite, apprezzate e commentate molto più di tanti altri lungometraggi.

Più che un sintomo dello stato del cinema, forse, un sintomo dello stato della Mostra del Cinema. I festival, ovviamente, si fanno con i film che ci sono, e l’andamento delle varie edizioni dipende da cosa è stato prodotto durante l’anno, da cosa c’era a disposizione e dalle trattative con le distribuzioni.

Ma l’impressione, specialmente dando un’occhiata alla line-up degli altri festival della stagione come Telluride e Toronto, è che quest’anno sia sfuggita più di un’occasione. A Venezia, ad esempio, non si sono visti titoli molto attesi come: Eden di Ron Howard, The End di Joshua Oppenheimer, K-Pops! di Anderson .Paak, The Life of Chuck di Mike Flanagan e Relay di David Mackenzie, solo per citarne alcuni.

Persino autori spesso di casa alla Mostra del Cinema, come Uberto Pasolini e Mike Leigh, quest’anno sono finiti altrove. E come accaduto lo scorso anno, quando la première fuori dal Giappone de Il Ragazzo e l’Airone fu ospitata a Toronto e non a Venezia, anche stavolta il festival canadese ha deciso di accogliere uno dei film d’animazione più attesi: The Wild Robot di Chris Sanders.

Decisamente più breve e lineare il commento sulle Coppe Volpi. Considerando il peso di Isabelle Huppert (e il suo temperamento tutt’altro che conciliante), presidente di giuria e unica attrice, insieme alla cinese Zhang Ziyi, tra i giurati, è facile pensare che la scelta sia stata quasi esclusivamente in capo a lei, che ha deciso di premiare il connazionale Vincent Lindon per Jouer avec le feu (film molto tradizionale che si regge tutto sulle spalle dell’attore) e, in maniera molto controversa, Nicole Kidman per Babygirl, uno dei film che più ha polarizzato il giudizio degli spettatori (l’attrice, inoltre, non è tornata al Lido per ritirare il premio a causa della morte improvvisa della madre).

Insomma, quest’anno, nella “competizione” tra festival, la Mostra del Cinema di Venezia non è sicuramente quella che ne esce meglio in termini di qualità e varietà della propria proposta, specialmente se si ripensa al Concorso, quello davvero eccezionale, dello scorso Festival di Cannes.

La speranza, per lo meno, è che questo palmarès così atipico possa almeno avvantaggiare al botteghino film come Vermiglio, in arrivo il 19 settembre nelle sale italiane. Un film non propriamente mainstream che può godere adesso di rinnovata attenzione dopo la vittoria al festival, così come The Brutalist, che, forte del premio alla regia e delle buone recensioni ottenute, potrebbe suscitare la curiosità del pubblico nonostante la durata (3 ore e mezza).

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Venezia 81: Pupi Avati torna al cinema horror con L’Orto Americano | Recensione

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La recensione del film “L’Orto Americano” – Newscinema.it

3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Il protagonista de L’Orto Americano ha tutte le caratteristiche dei tipici personaggi di Pupi Avati: ha un candore e un’ingenuità tali da renderlo inadatto agli ambienti in cui si trova a vivere (che sia la provincia americana o la bassa padana) e soprattutto, essendo un romanziere che non è mai stato pubblicato, alle prese con un altro romanzo probabilmente destinato a rimanere anch’esso relegato nell’oblio, si inserisce in quell’ampio catalogo di sognatori insoddisfatti che il regista emiliano ha raccontato durante tutta la sua filmografia.

Si muove in una società che guarda con diffidenza chi racconta “storie”, che considera scrittori e narratori come dei bugiardi naturalmente predisposti a inventare e a ingannare. Ironicamente, si ritrova proprio ad indagare su di un caso – la sparizione misteriosa di una donna, data per morta – così aleatorio, data la scarsezza di prove e indizi tangibili, che non si può far altro che colmare le lacune con supposizioni, congetture, ipotesi.

Il giovane investigatore (un bravissimo Filippo Scotti) è uno che pensa che la realtà sia sempre troppo modesta, deludente e noiosa ed è per questo che ha l’abitudine di confidarsi con i morti, con le persone care che non ci sono più e che tiene sempre con sé in un vecchio raccoglitore di foto.

Immaginare o credere che ci possano essere da qualche parte quelle persone che gli furono care lo tiene in vita e anche solo invocare i loro nomi lo fa sentire in un mondo già più grande di quello che è davvero.

L’Orto Americano: omaggio al cinema americano dei Cinquanta

Questo nuovo film di Pupi Avati, il primo in bianco e nero in una carriera estremamente prolifica, si confronta con il cinema che il regista ha amato in gioventù, quello americano degli anni Cinquanta che ha contribuito a plasmare il suo immaginario da regista.

L’Orto Americano, alla veneranda età di 85 anni, assomiglia infatti, con tutti i limiti del caso e tollerata una fastidiosa approssimazione in molti aspetti più tecnici, ad un film della maturità e non ad uno senile: un coraggioso tentativo di proseguire quel filone “americano” della sua filmografia che è sempre stato il più doloroso, disilluso, in cui veniva messo alla prova il sogno provinciale della “terra promessa” oltreoceano, saggiandone l’inconsistenza.

Anche ne L’Orto Americano, come in tutti i film di Avati, la Storia, in questo caso quella del secondo dopoguerra, lambisce soltanto il racconto, determinando il contesto entro il quale si dipanano i temi cari al regista: l’illusione e la delusione, la mortificazione inflitta dall’esperienza, la disperata resistenza ad ammettersi perdenti.

Ed è proprio quest’ultima a spingere il protagonista nella sua erratica ricerca, totalizzante e destinata fin dal principio a poter essere completata solo nel sogno, nella fantasia. Nella scrittura come nel cinema.

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Joker: Folie à Deux, un film con le idee molto chiare sul suo protagonista, ma non basta

Joker: Folie à deux, a differenza del primo capitolo, è un film molto più consapevole del messaggio che vuole veicolare, meno fraintendibile sul piano politico, meno ambiguo.

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La recensione di Joker: Folie à Deux (Foto: warner bros.) – Newscinema.it

2.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Il protagonista di Joker: Folie à Deux ce lo dice chiaramente, è una vittima di un sistema che non tutela i più fragili, ma soprattutto un ostaggio di quei fanatici che – nel nome di Joker, non in quello di Arthur Fleck – hanno deciso di mettere a ferro e fuoco Gotham, mossi da un vaghissimo senso di protesta anti-establishment (il riferimento è ai fatti di Capitol Hill).

A non essere chiara, stavolta, è l’intenzione cinematografica. Se il precedente film spogliava il cinecomic della sua avvenenza, della sua intrinseca ironia (almeno per come funzionano quelli di maggiore successo) prediligendo una narrazione dura, cupa e asciutta, stavolta, con l’ampiamente annunciata svolta musicale, Todd Phillips si trova a lavorare con una materia che evidentemente non lo appassiona più di tanto e alla quale non vuole dedicare troppo studio. Questo secondo film non è infatti un musical tradizionale, eppure le canzoni occupano tantissimo spazio.

Tutte le esibizioni e le coreografie (su cui è evidente che non si è voluto lavorare in maniera rigorosa) vengono relegate a momenti di fantasia escapista che non aggiungono nulla al racconto e non forniscono nuove chiavi di lettura per quello che si sta vedendo.

Sono degli intermezzi posticci, reiterati fino allo sfinimento – per giunta con lo stesso stratagemma di regia e montaggio – con l’unica ragione apparente di fornire a Lady Gaga (che qui canta ma recita pochissimo, essendo il personaggio di Harley Quinn praticamente inesistente) e a Joaquin Phoenix un palcoscenico sul quale risplendere.

Joker: Folie à deux, un musical a metà

Joker, Folie à deux vive interamente nella mente divisa in due del suo anti-eroe, che conoscerà l’amore per la prima volta. Amore che, però, non può valere contemporaneamente per Joker e per Arthur, essendo le due personalità differenti e incompatibili (vittima e carnefice, inconsapevole e consapevole). Nella confusione c’è, ovviamente, la tragedia.

Chi ha commesso gli omicidi per cui il protagonista è trascinato a processo: il bambino indifeso, abusato fin dall’infanzia, maltrattato dalla società e abbandonato da tutti, o l’adulto lucido e cosciente di sé che non conosce altra fede se non quella della distruzione e del caos? In poche parole, Arthur Fleck o Joker?

La questione non è di poco conto e il film ha, per lo meno, una sua risposta, che tira in ballo la responsabilità individuale e collettiva, la giustizia e la sua assenza in una società che, trincerata nelle proprie contraddizioni, riduce gli spazi di comprensione e di solidarietà. In questo senso, Todd Phillips riflette anche sulle conseguenze – involontarie, ma sicuramente alimentate da una debolezza di fondo – del primo film, che ha fatto del Joker di Phoenix un simbolo di tante comunità tossiche e incel.

Una bandiera di regressione e suprematismo che qui, in questo secondo capitolo, sventola nel vento di rabbia, insoddisfazione e frustrazione che gli emuli del protagonista provano nella loro quotidianità e sfogano davanti all’aula di tribunale in cui si svolge il processo al loro idolo (processo che è anche, intelligentemente, uno show televisivo in diretta).

Questo secondo film sul Joker poteva essere un thriller di prigionia ancora più sporco e realistico del precedente. Poteva essere un atipico court drama sulla spettacolarizzazione della giustizia o, ancora, un doloroso musical sulle speranze irrealizzabili di futuro. Insomma, poteva essere tante cose e finisce per non essere nulla.

Ed è un peccato che un film finalmente così a fuoco rispetto alla caratterizzazione e alla collocazione del suo protagonista – che risolve anche quell’apparente accondiscendenza rispetto alla repressione brutale della polizia che emergeva nel precedente lungometraggio – non trovi mai una forma cinematografica adeguata a raccontare la sua storia.

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