Venezia 71°: Good Kill, la recensione

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Good Kill è il termine usato dai militari americani per identificare un colpo andato a segno, punto di partenza e di fine del nuovo film di Andrew Niccol presentato alla 71° edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Interpretato da Ethan Hawke, January Jones e Zoe Kravitz Good Kill racconta la storia di un gruppo di soldati americani che addestrati a pilotare velivoli invisibili lanciano missili balistici contro gli artefici del terrorismo contro l’America. Il lavoro non comporta nessun rischio fisico, perché i soldati, siedono in un box nel bel mezzo del deserto, individuano l’obiettivo e come in un videogame aprono il fuoco premendo un semplice tasto. Ma la salute mentale è compromessa. Perché i missili uccidono uomini, donne e bambini e il confine tra la lotta contro il terrorismo e il terrorismo stesso improvvisamente perde riconoscibilità.

Dopo l’inspiegabile insuccesso di L’Ospite Andrew Niccol torna dietro la macchina da presa per il suo sesto lungometraggio, Good Kill, un interessante film che fa della staticità il punto di partenza per descrivere la guerra post 11 settembre 2001. Una guerra che individua i nemici e li fa sparire comodamente e a distanza con un semplice click di un “joystick”. Una guerra che non è più tale perché nessuno si mette in gioco veramente e togliere vite umane è semplice come in un videogame. Una guerra in cui non è affatto facile distinguere tra buoni e cattivi perché spesso ad andarci di mezzo Good-Killsono i semplici civili trovatisi al posto e al momento sbagliato. Tutti aspetti resi da Niccol nel migliore dei modi: Ho cercato di dirigere il film senza schierarmi. Volevo realizzare un racconto prudente. Non ho aspettative su come verrà ricevuto il film dal pubblico americano ma spero accenda discussioni e venga considerato un racconto preventivo di quello che potrebbe accadere. Eppure qualcosa in Good Kill non convince, probabilmente il fine stesso dell’opera, molto confuso. Realizzare un film di questo genera implica necessariamente la trasmissione di un messaggio ben preciso perché non si può parlare di terrorismo, Stati Uniti e Afghanistan senza voler dire qualcosa. Qualcosa che però non arriva. Perché il gran finale di Good Kill cerca di redimere il personaggio di Ethan Hawke attraverso un gesto di dubbia utilità e moralità. Un gesto che non lo redime, rendendolo a sua volta un possibile futuro bersaglio di quello che era il suo team lavorativo. Ma allora quale è il senso di Good Kill? Forse che siamo tutti controllati? O che gli americani che tanto predicano contro il terrorismo sono a loro volta artefici di attacchi terroristici? Probabilmente si, ma sono tutte ipotesi perché Good Kill non affronta nessuno di questi aspetti nel dettaglio lasciando il senso stesso dell’opera, ammesso che ci sia, confuso ed evanescente. Errore che rende Good Kill un ottimo film di intrattenimento che avrebbe potuto essere con un pizzico di attenzione in più qualcosa di molto più significativo.

By Carlo Andriani

Segnato da un amore incondizionato per la settima arte, cresciuto a pane e cinema e sopravvissuto ai Festival Internazionali di Venezia, Berlino e Cannes. Sono sufficienti poche parole per classificare il mio lavoro, diviso tra l’attenta redazione di approfondimenti su cinema, tv e musica e interviste a grandi personalità come Robert Downey Jr., Hugh Laurie, Tom Hiddleston e tanti altri.

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