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Interviste

Intervista a Barbara De Rossi tra cinema, tv e teatro: ‘Mi piacerebbe esordire come regista’

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Abbiamo intervistato per voi una delle attrici più rappresentative del cinema e della televisione italiana: Barbara De Rossi. Scoperta da Alberto Lattuada a soli quindici anni, Barbara De Rossi inizia la sua carriera al fianco di Marcello Mastroianni nel 1976 nel film Così come sei. Successivamente gira sempre per Lattuada l’intenso La cicala e grazie al tragico ruolo di Titti nella Piovra di Diamiano Damiani diventa una delle attrici italiane più riconosciute a livello internazionale. Dopo aver preso parte al cult epico italiano I Paladini: storia d’armi e d’amori approda in numerose fiction e coproduzioni internazionali (Quo Vadis, Io e il Duce, Il Cugino Americano, La Storia Spezzata ed altri) consacrandosi tra i volti più amati del cinema italiano, grazie ad importanti opere cinematografiche del calibro di Mamma Ebe di Carlo Lizzani, Giorni felici a Clichy di Claude Chabrol, Maniaci Sentimentali di Simona Izzo, Commedia senza Titolo di John Broderick e Pranzo della Domenica di Carlo Vanzina. Ma non è tutto. Impegnata da diversi anni nel sociale come Presidente dell’Associazione Diritti Civili nel 2000, Barbara De Rossi continua ad alternare successi televisivi (Un Ciclone in Famiglia), show di intrattenimento (Ballando con le Stelle e Tale e Quale Show) e programmi impegnati (Amore criminale). Dopo aver preso parte alla fiction di grande successo Pupetta – la ragazza con la pistola, Barbara De Rossi tornerà presto al cinema nel nuovo attesissimo film di Lucchetti. Potete trovare qui sotto la nostra intervista esclusiva.

DSC_6010aNegli anni ’70 hai vinto un importante concorso di bellezza. Quanta importanza ha l’aspetto esteriore per affermarsi nel mondo dello spettacolo?

Per quello che riguarda me credo ne abbia, la gradevolezza di un viso e di un corpo è sempre qualcosa in più. Poi è da vedere come uno costruisce la propria carriera. Sono nata in un momento di cinema particolarmente commerciale ma ho scelto di studiare, mentre tutte si svestivano mi coprivo. Ho alternato un buon cinema ad una fiction di un certo tipo, ero molto bella ma avevo anche molta voglia di esprimermi. Ho fatto una scelta precisa, ho limitato negli anni la mia presenza fisica, sono stati rari i film in cui ho fatto alcune scene d’amore o qualche nudo. Nell’opera La Cicala ho fatto un nudo ma stiamo parlando di un film di Lattuada. Stessa cosa per l’opera di Chabrol. La bellezza serve, ma ancora di più serve studiare.

Nel 1976 hai debuttato sul grande schermo nei panni di Ilaria Marengo in Così come sei di Lattuada: come è stato lavorare con un grande attore del calibro di Marcello Mastroianni?

Ho vinto un concorso di bellezza e il presidente della giuria, Lattuada stesso, si ricordò di me e convinse mio padre con il supporto di Mastroianni ad avermi nel suo film. Mi ritrovai a sedici anni a girare in Spagna in una realtà strana, una realtà che poi sarebbe diventata il mio mestiere. Ho preso contatto con il mezzo, con questo grande attore da cui ho imparato tantissimo artisticamente e umanamente. Marcello era un uomo di una sensibilità e semplicità estrema, ho subito visto cosa poteva essere un attore vero. E’ stata una esperienza che mi ha formato e aiutato tanto negli anni.

Nel 1983 hai poi interpretato un personaggio complicato, Titti nella celebre serie La Piovra di Damiani. Che ricordi hai di quel personaggio e che ruolo ha avuto questa esperienza nella tua carriera di attrice?

Titti mi ha portato molti premi e molto successo. Per prepararmi a questo personaggio meraviglioso, che è andato in tutto il mondo, sono stata chiusa per tre mesi in un centro sulla tuscolana per tossicodipendenti e ho avuto modo di vedere le condizioni vere e proprie di questi poveri ragazzi. Girammo tantissimo e alcune scene furono addirittura eliminate perché troppo forti. L’esperienza sul set de La Piovra è stata una delle esperienze più belle, formative e importanti della mia carriera.

Negli anni ’80 hai preso parte a due celebri cult: I paladini, storia d’armi e d’amori di Giacomo Battiato al fianco di grandi nomi come Ronn Moss e Maurizio Nichetti e Io e il Duce accanto ad Anthony Hopkins, Susan Sarandon e Bob Hoskins. Che ricordi hai di queste due esperienze?

Ronn Moss ancora non era così famoso, iniziò Beautiful l’anno seguente, inoltre i Paladini è stato tra i pochi tentativi italiani di mettere su un film epico. Per Io e il Duce ricordo la grande professionalità, preparazione, attenzione e semplicità di questi attori. Ho imparato tantissimo da loro e da queste meravigliose esperienze in lingua inglese.

Nel 1988 torni al cinema in un affascinante horror, Nosferatu a Venezia: come è stato lavorare con il leggendario Klaus Kinski? E cosa pensi del cinema horror?

E’ stata sicuramente un’ esperienza strana. Kinski era un uomo molto complicato e difficile. Un grande artista ma con un carattere particolare. Sicuramente una delle esperienze più difficili che ho vissuto su un set. Per quanto riguarda il cinema di questo genere adoro i thriller, ad esempio Manhunter – frammenti di un omicidio. Il genere horror se fatto bene può avere una sua valenza, ma negli ultimi anni è diventato troppo violento. Film come Saw come Hostel sono troppo violenti, quasi pericolosi negli spunti che possono dare. Credo che facciano male alla visione. Film in cui si rinchiudono, ingabbiano e incatenano le persone mi danno fastidio. Il primo horror aveva un senso, ora è solo una sequenza interminabile di orrori e di violenze.

Così arriviamo agli anni ’90, anni in cui riscuoti notevoli consensi grazie ad un intenso ruolo drammatico ne La Storia Spezzata. Che ricordi hai di questa esperienza e che tipo di ruoli preferisci interpretare?

La Storia Spezzata ha inaugurato la fiction su Rai 2. Fece 13 milioni di ascolto. Un’opera particolarmente intensa che ricordo tra le esperienze più significative della mia carriera. Per quanto riguarda la scelta dei ruoli la carriera di un attore non la si decide da soli, per trenta anni ho fatto ruoli drammaticissimi, negli ultimi sei anni solo commedie. E’ difficile pensare di poter manovrare da soli la propria carriera quando chi ti da lavoro è chi decide della tua vita. Un ruolo drammatico lascia un grande segno ma la commedia è addirittura più difficile, un campo di lavoro interessante, che mi ha divertito e insegnato tantissimo. Non saprei dire cosa mi piace di più.

A teatro hai debuttato in L’anatra all’arancia accanto a Marco Columbro. Come è stato il debutto teatrale? Ti piacerebbe tornare a lavorare in una produzione teatrale?

L’anatra all’arancia è stata la mia unica esperienza teatrale, portata avanti per oltre due anni con oltre quattrocento repliche. Una grande produzione, un plot importante. Non ho proseguito negli anni per non lasciare più mia figlia. Adesso che è più grande sto prendendo in considerazione molte cose, anche di tornare a recitare a teatro.

Negli anni 2000 prendi parte a numerose produzioni televisive, tra cui Un Ciclone in Famiglia e i Fratelli Benvenuti, due serie molto simili ma di diverso successo. Come ti spieghi il poco calore del pubblico italiano di fronte ai Fratelli Benvenuti?

Non so bene cosa sia accaduto, I fratelli Benvenuti non era più sotto la regia di Vanzina. Ma i prodotti erano molto simili. Non so perché non abbia avuto successo. . A volte il successo prende direzioni inspiegabili. In ogni caso molti vogliono vedere me e Massimo Boldi lavorare di nuovo insieme e non è detto che non succeda ancora.

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Sei una brillante attrice cinematografica e televisiva ma sei anche un’ ottima conduttrice, ora alle prese con Amore criminale sui Rai 3. Perché hai deciso di tornare alla conduzione televisiva a distanza di venti anni da Diversamente Estate ?

Diversamente Estate più che una conduzione vera e propria era un semplice programma di informazione sulle vacanze. Poi mi ritrovai a presentare nel 1991 La Vela d’oro con Renato Zero e Giancarlo Magalli. Due esperienze molto dilatate e non continuative. Amore Criminale invece è una trasmissione molto particolare, in cui svolgo un ruolo molto simile al mio lavoro di attrice, soprattutto nella narrazione, nella presentazione e nella voce che segue i filmati. Amore Criminale è una conduzione difficile perché mi porta a intervistare persone sopravvissute a fatti realmente accaduti, parenti di vittime che hanno perso la vita. E’ una esperienza forte che da tantissimo, che amerei ripetere, molto dura e molto pesante, un lavoro difficile anche per il coinvolgimento emotivo che provoca.

Tra le tante esperienze alternative hai preso parte anche a divertenti talent show quali Ballando con le Stelle e Tale e Quale Show. Che ricordi hai?

Queste sono quelle che definisco le prove extra. Ballando con le Stelle è stata una esperienza che ho preso molto seriamente. Perchè non imparare a ballare? Oltre che ad ingentilire il mio corpo, saper ballare poteva essermi anche utile in futuro per alcuni ruoli. Così decisi di prendervi parte. Mentre Tale e Quale Show è stata una richiesta della Rai e di Carlo. Mi sono trovata a lavorare con dei professionisti, dei cantanti, una cosa complicata anche per la mia mancanza di macchietta. Mi sono divertita molto ma è stato un lavoro complicatissimo e pesantissimo. Quello che mi sono divertita di più ad interpretare è sicuramente Rocky Roberts ma anche Noemi, Gabriella Ferri e tanti altri. Inoltre cantare e ballare in diretta è stato duro ma fantastico.

Ti reputi un’ attrice più cinematografica o più televisiva?

Mi sento solo una attrice. Il meccanismo non cambia. Quello che sono chiamata a fare davanti ad una macchina da presa lo faccio indifferentemente dal cinema e dalla televisione. Non sento differenza. Posso solo dire che ci sono stati ruoli che mi hanno maggiormente soddisfatta.

Chi è Barbara de Rossi? Un punto di vista sulla tua immensa carriera.

Credo in generale di essere abbastanza soddisfatta. Guardo anche oltre, mi piacerebbe esordire come regista. Dopo aver fatto un videoclip musicale di un Dj The sun goes up è un passo che vorrei fare. Un passo che vorrei fare con lentezza, calma, garanzia e preparazione necessaria. Mi piacerebbe tornare a teatro. E per quello che ho già fatto sono molto contenta, una carriera soddisfacente con delle belle gratificazioni. Vado avanti con la mia età con quelli che sono i ruoli adatti a me e quindi mi evolvo insieme ai miei anni.

 Barbara De Rossi ne La Cicala

Barbara De Rossi ne La Piovra

Un Ciclone in Famiglia, dietro le quinte

Barbara de Rossi nei panni di Rocky Roberts a Tale e Quale Show

The Sun Goes Up, videoclip diretto da Barbara De Rossi

 

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Segnato da un amore incondizionato per la settima arte, cresciuto a pane e cinema e sopravvissuto ai Festival Internazionali di Venezia, Berlino e Cannes. Sono sufficienti poche parole per classificare il mio lavoro, diviso tra l’attenta redazione di approfondimenti su cinema, tv e musica e interviste a grandi personalità come Robert Downey Jr., Hugh Laurie, Tom Hiddleston e tanti altri.

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Ferzan Ozpetek riceve le Chiavi della Città di Gragnano | “Tre film sul cibo presto su Netflix”

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Ferzan Ozpetek consegna delle chiavi della città di Gragnano

Il Sindaco Nello D’Auria e il regista Ferzan Ozpetek alla Consegna delle Chiavi della Città di Gragnano – Fonte: Instagram Nello D’Auria

In occasione della 21^ edizione della celebrazione della Pasta di Gragnano IGP è stato premiato il regista, sceneggiatore e scrittore Ferzan Ozpetek con la cittadinanza onorario e le Chiavi della città di Gragnano.

L’ultima giornata della 21^ edizione della kermesse gastronomica Gragnano Città della Pasta ha visto la presenza del regista di sangue turco e di cuore italiano, Ferzan Ozpetek. Lo sceneggiatore e scrittore ha preso parte al convegno intitolato “Pasta e cinema: la pasta nel cinema, un’icona dell’Italia nel mondo. Gragnano Città di Pasta e Cinema”.

Interessanti e sorprendenti sono state le dichiarazioni fatte da Ozpetek nel corso dell’evento, il quale ha parlato del rapporto con il cibo, elemento fondamentale nei suoi film. Delle lavorazioni avvenute a Lecce durante le riprese del film Mine Vaganti e per concludere, l’inedito progetto acquistato (e presto disponibile) da Netflix, incentrato sul cibo in Turchia.

La presenza fondamentale del cibo nei film del regista

Gli appassionati della cinematografia del regista turco Ferzan Ozpetek, sono a conoscenza di quanto sia fondamentale la presenza del cibo nei suoi film. Le famose tavolate impreziosite da pietanze di ogni genere, sono il momento di massima aggregazione tra i personaggi che prendono parte alle sue storie. Il regista a tal proposito, ha spiegato che l’amore per il buon cibo parte dalle sue origini, da quando viveva in Turchia con la sua famiglia.

“Dipende dalla mia infanzia a casa mia a Istanbul c’erano sempre tre tavole: una in cucina, una in salone e una in terrazza e c’era sempre tanta gente. Era vietata la discussione a tavola. A tavola non si doveva mai discutere, la condivisione del cibo era importante. Nel primo film “Bagno Turco” ho messo varie tavolate, ma senza pensarci, d’istinto.”

Successivamente, parlando degli altri titoli diretti in questi anni ha aggiunto: “Nei miei film successivi, il cibo è sempre stato molto importante. Quando ho fatto Le fate ignoranti., mi ha chiamato un prete e mi ha detto: “Ma com’è religioso il suo film”. E gli ho detto: “Mah, Le Fate Ignoranti…”. E il prete ha risposto: “Si perché la tavolata dà il senso della condivisione che è molto importante.” Oggi mi mandano su Instagram le foto della tavolata e le persone scrivono “La tavolata alla Ozpetek” e anche alcuni ristoranti mi chiedono il permesso di fare le tavolate alla Ozpetek e io dico che non c’è problema.”

Mine Vaganti | le tavolate della famiglia Cantone

In merito al film Mine Vaganti ambientato a Lecce, il regista Ferzan Ozpetek ha raccontato le difficoltà incontrate nel girare alcune delle scene più importanti del film. Altro ricordo condiviso con il pubblico presente in sala è stata la sua esperienza in un noto pastificio leccese, impiegato nella storia della famiglia Cantone.

“Nel film Mine Vaganti, nella famosa scena del cibo che all’epoca ho girato in pellicola, la dovevamo girare in due giorni e invece l’ho fatto in una giornata. In un lato del salone, c’era una cucina dove cucinavano in continuazione, perché volevo che il cibo sembrasse vero. Gli attori erano obbligati a mangiare e non potevano far finta di mangiare, odio quando fanno finta di mangiare.”

In merito all’aspetto pratico, Ozpetek ha parlato delle difficoltà incontrate nel girare le scene a tavola: “C’erano due macchine da presa che giravano intorno. C’era la scena di Elena Sofia Ricci che prende la pasta, mangia e dice la battuta, quando poi la rigiri lei fa la stessa cosa, è abbastanza faticoso recitare mangiando, però è una delle scene che è stata memorabile. Sono venuti due miei amici americani e mi hanno detto: “ma come fanno i tuoi attori a mangiare e recitare con questi tempi?”.

Mine Vaganti | l’amore per la pasta nel cuore di Lecce

L’ottavo film di Ferzan Ozpetek, Mine Vaganti girato nel 2010 ha visto il regista scegliere la città di Lecce per ambientare il dramma familiare della famiglia Cantone, nota per essere proprietaria di uno storico pastificio, famoso per il formato della ruota pazza.

“Quando mi era venuta l’idea di fare Mine Vaganti, ho scelto di ambientarla a Lecce, perché l’anno prima ero stato premiato e me ne ero innamorato. Sono andato in visita a un pastificio, da Benedetto Cavalieri, che fa una pasta molto particolare, che non scuoce mai. Loro hanno inventato la ruota pazza. Sono andato nella vecchia fabbrica in disuso e ho trovato un signore ottantenne molto anziano che stava in questo posto abbandonato molto triste.”

Come potete vedere nella clip tratta dal film, Ozpetek ha continuato dicendo: “Guardi io e i miei amici e le mie amiche eravamo seduti qui, tutti nudi ad impacchettare la pasta, perché faceva tanto caldo” E lui mi ha detto quella battuta che viene detta da Ilaria Occhini: “quando impacchettavo dicevo, chissà a quale tavola andrà questa pasta, chi la mangerà”. Quando siamo andati nella fabbrica dove abbiamo girato, io ogni tanto assaggiavo la pasta cruda che passava ed ho messo questo momento anche nel film.”

Ferzan Ozpetek a Gragnano

Il regista Ferzan Ozpetek con le Chiavi della Città di Gragnano – Fonte: Instagram

Il rapporto tra Ferzan Ozpetek e la città di Gragnano

In relazione sempre alla storia di Mine Vaganti, dopo la versione cinematografica è arrivata quella teatrale, che ha visto lo spettacolo andare in giro in tutta Italia. Mantenendo la storia originale, l’unico cambiamento apportato è stato in riferimento alla città scelta per ambientare i drammi dei Cantone.

“La città di Lecce, la sua atmosfera mischiata con la pasta ha funzionato molto. Poi quando sono passato a farlo al teatro, all’improvviso mi sono trovato davanti a degli attori, che erano napoletani o che sapevano parlare napoletano come la Minaccioni. Mi sono detto, oggi se la ambiento a Lecce e se qualcuno dice che il figlio di quella è gay rispondono chi se ne frega. Nella conferenza stampa ho detto se la ambiento a Gragnano, non sarà una città così enorme, magari si potrebbe sentire facilmente in giro e da lì ho ricevuto i messaggi del vostro Sindaco.”

Ferzan Ozpetek a Gragnano

Il regista Ferzan Ozpetek ospite dell’evento dedicato alla Pasta a Gragnano – Fonte: Instagram

I nuovi progetti di Ferzan Ozpetek per Netflix

Ed infine, chicca che ha portato grande fermento ed entusiasmo nei fan del regista italo turco, è stata la notizia di un progetto formato da tre film incentrati sul cibo in Turchia. I diritti di questi tre approfondimenti sono stati acquistati dalla piattaforma streaming Netflix.

“Adesso ho fatto una trilogia di Istanbul sulle tavolate, perché una mia amica, la Mina della Turchia, la grande cantante Sezen Aksu mi ha detto: “perché non fai il film su questa bevanda che è il rakı insieme agli antipasti che si mangiano e si condividono?” Ho fatto questi tre film molto interessanti, che sono stati acquistati da Netflix re andranno in onda tra poco. La tavolata è un momento di condivisione.”

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Interviste

Il più bel secolo della mia vita | Intervista al regista Alessandro Bardani: “Mi piace mischiare sacro e profano”

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Alessandro Bardani

Il regista Alessandro Bardani del film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: Alessandro Bardani

In occasione dell’uscita nei cinema italiani del film Il più bel secolo della mia vita, abbiamo intervistato il regista Alessandro Bardani. Tra aneddoti inediti e riflessioni, il cineasta ha svelato ai lettori quanto sia stata importante questa storia per la sua carriera e per il pubblico ignaro dell’esistenza di questa Legge a dir poco assurda e crudele.

A partire da oggi, gli spettatori avranno modo di vedere al cinema uno dei film più interessanti, divertenti e toccanti di questa stagione. Stiamo parlando de Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani con due protagonisti d’eccezione, Sergio Castellitto e Valerio Lundini, insieme a Carla Signoris. In concorso durante la 53^edizione del Giffoni Film Festival nella sezione Generator +18, questo film ha portato sul grande schermo una storia incentrata su una Legge italiana, tanto reale quanto assurda: il figlio o figlia che non viene riconosciuto alla nascita, avrà modo di poter conoscere la vera identità dei suoi genitori biologici, solo dopo aver compiuto il centesimo anno di età.

Il duo inedito formato dal centenario Gustavo (Sergio Castellitto) e il giovane Giovanni (Valerio Lundini) è riuscito non solo a far divertire ed emozionare i giurati del Giffoni, ma anche a convincerli a votarlo come miglior lungometraggio per la sezione Generator +18 e portando il regista a ritirare il Gryphon Award lo scorso 29 luglio. Il regista Alessandro Bardani che abbiamo intervistato per NewsCinema, ci ha parlato della sua prima esperienza come regista cinematografico e di quanto sia importante parlare di questa storia divertente e commovente allo stesso tempo.

Il più bel secolo della mia vita

Il cast e il regista Alessandro Bardani – Fonte: Instagram

Intervista al regista Alessandro Bardani

Ciao Alessandro, la prima domanda che sono solita fare agli artisti che intervisto è: come stai?

In questo momento sono tanto contento quanto stanco. La promozione del film e Giffoni soprattutto che era la cosa principale per me, si è intersecata con altre due cose che faccio: la direzione artistica di Altra Scena Festival a Piombino, durante la quale abbiamo avuto Lillo, Vinicio Marchioni e due giornalisti di Piazza Pulita che ho intervistato, ovvero Nello Trocchia e Sara Giudice, per quanto riguarda la proiezione. E poi, il giorno dopo la premiazione avevo una serata con il magistrato Alfonso Sabella, con il quale sono in tour per una serata chiamata Il cacciatore di mafiosi. Si parla della carriera di Alfonso come magistrato dopo la strage di Via D’Amelio e Capaci, fino alla fine dell’ostracismo corleonese. Ripercorriamo questa vicenda da un punto di vista storico, giudiziario ma soprattutto umano, perché quando Alfonso è entrato nel poll aveva solo 29 anni.

Ora parliamo de film Il più bel secolo della mia vita. Nel 2015 hai scritto e diretto lo spettacolo teatrale con Giorgio Colangeli e Francesco Montanari. Oggi hai deciso di portare al cinema questa storia intensa e crudele se pensiamo che la Legge dei 100 anni, esiste davvero e non è stata inventata da te.

Pensa che tutti mi dicevano: “che cosa strana che ti sei inventato”. Non ho inventato niente. La legge è vera ed è il fulcro, la scatola emotiva nella quale si sviluppano i personaggi. All’interno si concentra tragedia e comicità, come del resto è la commedia all’italiana.

Vorrei chiederti cosa ti ha spinto a voler scegliere questa storia come opera prima, visto che è la tua prima regia. Hai portato una storia molto tosta, dove si ride ma si parla anche di morte.

È una storia che mi ha affascinato talmente tanto a teatro, che il passaggio al cinema è avvenuto grazie anche a Gabriele Mainetti che è uno dei produttori. Abbiamo iniziato a parlare di portarlo al cinema e voglio ringraziare due persone che abbiamo abbracciato e sono Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, due sceneggiatori che hanno scritto Gomorra insieme a Roberto Saviano. Gli è piaciuta la prima stesura della sceneggiatura che avevo scritto con Luigi Di Capua poi sono entrati loro e abbiamo trovato una grande quadra. Volevo lavorare con due persone che non fanno commedia di solito. Il più bel secolo della mia vita racchiude l’idea che ho del cinema: mischiare sacro e profano; mischiare la gioia e la tristezza, come nella vita. La morta è vissuta dal punto di vista di un centenario, che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo: quindi è importante non perdere tempo.

I protagonisti del film diretto da Alessandro Bardani

I protagonisti Sergio Castellitto e Valerio Lundini del film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani – Fonte: Instagram

Ricollegandomi a questa frase, vedendo il film pensi che presto o tardi finirà in tragedia, trattandosi di un centenario…

Volevo far vedere un centenario con tanta vita addosso ma a un passo dalla morte. Una delle frasi che mi piace particolarmente è “tanto c’è tempo” pronunciata da Gustavo, che significa c’è tempo di fare le cose. Credo che sintetizzi bene il personaggio di Gustavo anche in relazione al rapporto con Giovanni, quando discutono dopo il convegno e lui dice: “chi ama sbaglia”. Io allargherei questa frase con: “chi vive sbaglia”, poi l’importante è che vivi.

Gustavo è un centenario con lo spirito di un ragazzo, mentre Giovanni è un giovane con un animo da anziano…

– Loro sono due uomini che hanno reagito alla stessa ferita in maniera diametralmente opposta. Il film racconta di un centenario che guarda in avanti e di un ragazzo di trent’anni che guarda indietro. La cosa importante è che loro vengono da due background diversi: Giovanni è figlio di una generazione che ha tempo di avere tanti dubbi e di farsi tante domande. La generazione di Gustavo – personaggio ispirato a mio nonno e a quel mondo un po’ stile Franco Califano – non poteva perdere tempo in paranoie mentali, perché era impegnata a sopravvivere più che vivere. E quando ha conosciuto il benessere, ha capito quanto era importante il poter vivere, scegliere e stare tranquilli. Aver vissuto esperienze che li hanno segnati, gli hanno fatto vedere il mondo da una certa angolatura. Come dice anche Brunori Sas nel brano La vita com’è, colonna sonora del film: “la fine del mondo l’hai vista in un secondo”.

L’esperienza di lavora con Sergio Castellitto e Valerio Lundini che li vedo come il giorno e la notte, ma forse sotto certi punti di vista sono simili tra loro, cosa puoi dirmi a riguardo?

Hai detto una cosa verissima. Io conoscono Valerio Lundini da vent’anni e lui segue i social dello spettacolo. Essendo stato il direttore artistico per tre anni del Teatro Parioli a Roma della sezione Off, io proposi Valerio molto prima di tutto. Lo proposi anche per un altro festival che facevamo con Francesco Montanari. Io sono il primo fan di Valerio, da sempre, da molto prima che esplodesse. Io Valerio ce lo avevo sotto al naso, ma sai quando non ci pensi? Pensavamo ad altri attori, poi mi sono detto: “ma c’è Valerio! Proviamo Valerio.”

Quando ho incontrato Sergio Castellitto e ci siamo messi a parlare dell’altro attore co-protagonista, io gli ho detto una serie di nomi di altri attori e senza influenzarlo, lui ha subito detto: “Valerio Lundini. Me lo ha fatto conoscere mio figlio Pietro. È un genio assoluto.” Mettere due mondi così apparentemente diversi in realtà sono legati da una cosa sola: sono due eccellenze in quello che fanno. Avere un vero attore di esperienza come Castellitto, vicino a un ‘non attore’ come Lundini che si è rivelato più attore di altri attori, è stato come mischiare sacro e profano. Valerio ha dato una grande personalità al personaggio di Giovanni, un po’ surreale. Quando Sergio parla del film come di una favola ha ragione, perché non è facile incontrare un centenario e Giovanni dal carattere sicuro e rigido, ma dal modo di fare fiabesco.

Scena dal film Il più bel secolo della mia vita

Una scena del film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani – Fonte: Instagram

La reazione dei social e dei giovani al trailer del film

Insieme a Sergio Castellitto e Valerio Lundini, a dare una connotazione materna, accogliente alla storia è stata l’attrice Carla Signoris. Com’è nato questo ruolo?

Carla Signoris è stata grandissima, soprattutto nella scena insieme a Sergio Castellitto. Per me è stato un privilegio conoscerla ed ha dato una grande umanità al film, che è dedicato ai miei genitori. Infatti i genitori di Giovanni si chiamano Massimo e Gianna e quando abbiamo girato la scena di cui ti parlavo prima, guardavo il monitor e piangevo come un bambino, perché sostanzialmente, lei ha dato una grande umanità al personaggio e aveva il nome di mia mamma. Devo dire che l’ho scritto ricordando mia madre e quando lei lo ha interpretato è stato grandioso. Carla ha donato l’amore incondizionato di una donna nei confronti di suo figlio, che anche se adottato è pur sempre suo figlio. Poi c’è da dire che è stata molto brava ad entrare in punta di piedi e lasciare il segno nella storia, sebbene sia incentrata sul rapporto tra Gustavo e Giovanni.

Al momento dell’uscita del trailer, curiosando sui social mi è capitato di leggere dei commenti come: “non avevo capito che il vecchio era Castellitto”. A tal proposito, vorrei chiederti com’è nato il look e il trucco che è stato applicato per renderlo un perfetto centenario, che tra l’altro non ha intaccato in alcun modo l’espressività

Ho voluto lavorare fortemente con il truccatore Andrea Leanza – che ha trasformato Pierfrancesco Favino in Craxi – e insieme a lui, a concepire il look di Castellitto è stata Denise Boccacci. Con Andrea ci siamo conosciuti tanti anni fa e devo dire che ha fatto davvero un lavoro egregio. Quando ha fatto la prova trucco per la prima volta e ha girato la poltrona, eravamo io e Gabriele Mainetti e quel momento non me lo scorderò mai. Lo avevo davanti e ho detto subito: “è lui”.

Prima di lasciarti, vorrei chiederti qualcosa sull’esperienza vissuta al Giffoni Film Festival che tra l’altro si è conclusa nel migliore dei modi con la vittoria nella sezione Generator +18.

La vittoria è stata la ciliegina sulla torta, ma il momento più alto è stato il momento della proiezione con tutti i ragazzi. Aver ricevuto anche domande scomode, spigolose, il fatto che si sono comportati come un pubblico retrò, applaudivano durante la proiezione, ridevano, è stato veramente un meraviglioso tsunami, come ho voluto definirlo. I ragazzi sono stati fantastici. Il calore anche dopo la premiazione, mi hanno fatto delle domande, chiesto delle foto, è stato davvero bello. Un ufficio stampa che ci era stato mi disse: “Ale guarda che il Giffoni è un’esperienza che non dimenticherai mai”. Ed è vero, è stato un meraviglioso vortice, l’atmosfera che si respira lì è meravigliosa e spero di portare anche altri lavori.

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Venezia 80: il ritorno di Roman Polanski | Le interviste al cast di The Palace

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Il Cast di The Palace a Venezia 80 (Credits: Giorgio Zucchiatti/Biennale di Venezia)

Il Cast di The Palace a Venezia 80 (Credits: Giorgio Zucchiatti/Biennale di Venezia)

Al Lido di Venezia abbiamo incontrato l’affiatato e variegato cast di The Palace, nuovo film di Roman Polanski che arriverà nelle sale italiane il 28 settembre con 01 Distribution.

All’80esima Mostra del Cinema di Venezia è il giorno di The Palace: nuovo film di Roman Polanski, novant’anni compiuti da pochissimo. Una commedia assurda, nera e provocatoria, sullo sfondo della fine del 1999: non solo l’epilogo di un secolo, ma la fine di un intero e controverso millennio, con la paura del Millennium Bug che aleggia su tutti quanti.

«Il 1999 è l’anno in cui Yeltsin se ne va dalla Russia dopo averla svenduta all’Europa. È l’inizio della fine. Da quel momento arriverà Putin e darà in mano la Russia ad un manipolo di oligarchi e di miliardari arroganti. È un turning point fondamentale, che coincide anche con un momento di speranza, poi tradita ovviamente, in cui si pensava che il mondo sarebbe stato diverso e migliore. Putin sosteneva in televisione che non ci sarebbero state più guerre, come è documentato», ci spiega Luca Barbareschi, che di The Palace è anche produttore, oltre a comparire nel film con il personaggio di Bongo (pornoattore ormai in pensione, che viene ricordato solo da erotomani anche loro avanti con l’età).

Fanny Ardant al photocall per The Palace (Credits: Giorgio Zucchiatti/Biennale di Venezia)

Fanny Ardant al photocall per The Palace (Credits: Giorgio Zucchiatti/Biennale di Venezia)

La scelta di inserire il film, come anche lo scorso L’Ufficiale e la Spia, nella selezione ufficiale del festival (se pur fuori concorso) ha suscitato alcune polemiche, considerando i trascorsi di Polanski e la sua situazione giudiziaria non ancora risolta. Polemiche che lo stesso Barbareschi affronta di petto: «È assurdo che la Francia si sia piegata al politicamente corretto e abbia deciso di tradire uno dei suoi eroi. The Palace non ha attualmente una distribuzione francese e allora io mi chiedo cosa sia cambiato dallo scorso film, che hanno riempito di César (l’Oscar francese, ndr). Stesso discorso vale per le piattaforme streaming, che continuano ad ospitare i film di Polanski e monetizzare su di essi».

Parole dure arrivano anche da Fanny Ardant, amica di Polanski, con cui ha già lavorato in passato, che nel film veste il ruolo di una Marchesa fin troppo attaccata al suo chihuahua. «Come avviene oggi per tutte le cose, questa ondata moralizzatrice è cominciata dall’America e le democrazie europee hanno seguito a ruota come dei cagnolini», ha attaccato la Ardant. «Polanski è un amico, lo amo molto. Con lui avevo lavorato sul palcoscenico teatrale, quindi lo conoscevo già come un formidabile regista di attori e attrici. Quando ho letto la sceneggiatura, non ho avuto dubbi. Anche perché un personaggio così comico come la Marchesa non lo avevo mai interpretato».

Roman Polanski e Luca Barbareschi sul set del film (fonte: Biennale)

Roman Polanski e Luca Barbareschi sul set del film (fonte: Biennale)

«Quello di Polanski è cinema ai massimi livelli. Lavorare con lui è stato come assistere un maestro artigiano nella propria bottega. Come trovarsi nella bottega di Leonardo o di un grande pittore del passato. La sua cura nei dettagli è totale. E alla fine, anche quando le sue richieste sembravano assurde, andava a finire che aveva sempre ragione lui», commenta Fortunato Cerlino. «Nel mio caso, ad esempio, ha insistito con il costumista affinché spostasse tutti i bottoni della giacca che indossavo di qualche millimetro più in basso. Perché secondo lui, anche quello faceva la differenza. Ed è così. Il vestito, dopo la modifica, cadeva effettivamente meglio».

Di aneddoti come questi, che raccontano la totale dedizione di Polanski e l’attenzione anche al più piccolo dei dettagli, ne abbiamo raccolti da tutti i membri del cast. «Anche nel caso del personaggio della Marchesa, ha voluto rivedere personalmente il costume», ha aggiunto Fanny Ardant. «All’inizio il suo abbigliamento era molto più borghese, essendo uno dei pochi personaggi ad essere realmente nobile e non un’arricchita. Polanski ha insistito invece per il cuoio e per un look più rock n’roll, tipico di chi vuole dimostrare ancora grande vitalità nonostante l’età che avanza. È un personaggio che amo molto perché ha anche una sua malinconia. Nel Palace è da sola, non ha amici. E ha solo due grandi amori: quello per i cani e quello per i maschi».

Oliver Masucci al photocall per The Palace (Credits: Giorgio Zucchiatti/Biennale di Venezia)

Oliver Masucci al photocall per The Palace (Credits: Giorgio Zucchiatti/Biennale di Venezia)

«Noi eravamo esausti alla fine delle riprese, ma Polanski invece era ancora attivo e lucido anche dopo una faticosa giornata di lavoro. Ha 90 anni, ma noi lo abbiamo visto mettersi a quattro zampe e sgusciare sotto i tavoli del ristorante con il suo viewfinder come farebbe un ragazzino. Tutti noi abbiamo fatto molti film, ma con Polanski sembra di tornare nuovamente esordiente», racconta Joaquim de Almeida. «Gira sul set sempre con il suo viewfinder e con delle forbicine, che in un’occasione ha utilizzato per accorciarmi un po’ i capelli».

Anche Milan Peschel ha scherzato su questo controllo totale del regista su ogni compartimento del film (luci, costumi, sonoro): «Ho recitato quasi sempre senza scarpe, per accentuare la mia piccola statura rispetto alle altissime modelle russe di cui, da un certo punto del film, vengo circondato. Invece le scarpe, per le scene in cui dovevo indossarle, le sceglieva direttamente Roman».

Mattatore e vero protagonista di The Palace è però il pazientissimo e instancabile manager dell’hotel, superbamente interpretato da Oliver Masucci, che ci racconta forse l’aneddoto più clamoroso tra i tanti ascoltati: «In uno degli ultimi giorni, Polanski era stato ricoverato in ospedale a causa di un’infezione. Ha costruito la scena da girare dalla sua camera, con uno schermo a distanza, ma quando si è trattato di dare il ciak e controllare la ripresa, è venuto direttamente lui sul set, con l’ago della flebo ancora nel braccio. Se non è voglia di fare cinema, questa…».

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