Venezia 69: Izmena, la recensione

Un uomo va a farsi un check-up e, durante la visita, la dottoressa gli rivela che a soffrire di un disturbo è lei: suo marito la tradisce con la moglie del paziente. Questa la vicenda intorno a cui Kirill Serebrennikov ha costruito il plot di Izmena- Betrayal, film in concorso al 69. Festival di Venezia. La sconcertante rivelazione fatta dalla dottoressa, un’algida Franziska Petri, al suo paziente (Dejan Lilic) finisce per accendere la miccia di una vendetta tragica, che farà abbattere implacabile la falce della morte sui destini dei due coniugi fedifraghi.  Il film potrebbe terminare così, ma Serebrennikov e Natalia Nazarova, sceneggiatori di Izmena, danno un seguito a questa storia, così vediamo ciò che rimane di uno strana complicità uomo-donna, sorta in seguito ad un duplice omicidio passionale. Eros e Thanatos si mischiano all’interno di un’atmosfera che richiama, ma che non si configura completamente come noir. Il genere che può contenere meglio questa pellicola russa molto particolare è il thriller di ispirazione hitchcockiana e depalmiana, con una buona dose di dramma dal  sottofondo spietato alla Dostoevskij.

La regia sceglie delle soluzioni che attirano senz’altro l’attenzione, come l’inserimento di due o tre finali diversi, espressi attraverso metafore visive d’impatto, ma che lasciano un senso di incompletezza nello sviluppo dell’unità narrativa. Ciò dimostra da un lato l’originalità di  Kirill Serebrennikov nell’uso di certi codici legati all’universo della suspense, ma dall’altro mettono in luce la sua capacità non ancora completamente matura di usare tali codici. Se il primo colpo di scena (l’incidente del SUV) ha una sua logica visiva e narrativa, che si chiarisce pochi minuti dopo, il piano sequenza in cui la Petri si cambia d’abito, dando avvio alla seconda parte del film, non risulta così chiaro ed incisivo. Cineasti come David Lynch e Brian De Palma ci hanno abituato, nell’ambito del thriller, ad impianti narrativi non lineari, in più di un caso totalmente sconvolti e assoggettati ad una espressione visiva dei concetti e delle emozioni. Il regista russo è dotato di una buona stoffa, ma nel caso di Izmena gli elementi propri del thriller visionario, sebbene siano presenti, sembrano più un divertissement del regista che degli elementi dotati di significante e significato compiuti.

Il personaggio più riuscito è sicuramente quello interpretato da Franziska Petri, che,  grazie alla sua fisicità, si presta ad incarnare la donna algida, tipica dell’immaginario hitchcockiano. Perfino l’acconciatura, uno chignon che assume forme diverse nel corso del film, costituisce un legame con il maestro del brivido. La drammaturgia la avvolge con un intenso alone di mistero, poiché instilla nello spettatore il dubbio che la protagonista sia l’unica mente di un crimine efferato.

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