Le Brio, una brillante commedia oltre i pregiudizi

Neila Salah (la sorprendente Camélia Jordana che ha ottenuto per questo ruolo il Premio César per la migliore promessa femminile) è cresciuta a Créteil. Ragazza giovane e determinata con il sogno nel cassetto di diventare avvocato di successo, si iscrive alla prestigiosa università di Panthéon-Assas a Parigi. Ma la sua provenienza dalla banlieue parigina e il suo status di “beur” (immigrati arabi di seconda generazione – francesi ma di fatto non integrati), la rende da subito facile bersaglio delle attenzioni del professor Pierre Mazard (un bravissimo Daniel Autiel), uomo cinico e smaccatamente razzista che non perde occasione per aggredire verbalmente chi non è, o non la pensa, come lui.

Un acceso confronto dialettico

A causa dell’iniziale scontro in aula, il professore sarà però costretto a fare ammenda al suo comportamento preparando Neila per una gara di retorica, da sempre vetrina prestigiosa e di lancio per gli alunni più dotati e meritevoli. Il lungo percorso di formazione, ricco di schermaglie dialettiche e studio dei segreti del linguaggio (in un interessante viaggio tra idee e letteratura che intreccia Schopenhauer, Badaulaire, Barthes), si rivelerà infine costruttivo per entrambi, costretti in qualche modo a uscire dalla loro zona di confort e a fare i conti con l’altro, apparentemente diverso eppure così “vicino”. Il superamento dei limiti imposti dal pregiudizio sociale e culturale sarà dunque motivo di crescita tanto per la giovane Neila quanto soprattutto per l’insofferente e cinico professore.

Camelia Jordana nel film Le Brio

Le Brio: la recensione del film di Yvan Attal

Transitato per il Biografilm Festival 2018, Le Brio dell’attore e regista francese Yvan Attal sfrutta assai bene lo strumento linguistico e dialettico all’interno dell’entourage scolastico per affrontare il tema sempre pressante di quei limiti e pregiudizi che non favoriscono l’integrazione culturale, ma che anzi ne motivano quell’insofferenza spesso maturata e sfociata in violenza, aggressione, come dimostrano i tanti recenti casi di cronaca internazionale. La banlieue incarnata da Neila e l’istituzione francese più retrograda e integralista simboleggiata dal professore si scontrano dunque in Le Brio (ovvero la verve, il talento) affrontando un lungo percorso che porterà entrambi a una maggiore comprensione (non solo dell’altro ma anche di sé), un compromesso esistenziale alimentato dallo strumento fondamentale della conoscenza. Perché è proprio il fatto di non conoscere, di ‘ignorare’ modi e costumi altrui a far insorgere quella paura endemica che poi muta facilmente in insofferenza e rifiuto.

Grazie a un uso puntuale e sapiente dei dialoghi e della scrittura, il regista francese contestualizza qui assai bene gli ambienti in cui la storia si muove (i ragazzi della banlieue, l’università, le aule dove si tiene il concorso di retorica) così come descrive nel profondo i due protagonisti con le loro forze e le loro ombre, entrambi vittime di un sistema sociale del pregiudizio che sembra averli messi ‘uno contro l’altro’ senza alcun reale motivo e senza alcuna reale consapevolezza. Le Brio trova dunque il suo messaggio e il suo valore proprio nel loro graduale cambiamento, in quel lento entrare in empatia con il mondo inizialmente ostico dell’altro, all’interno di uno scambio linguistico e relazionale che tende a recuperare la semplicità delle parole spesso sacrificata all’altare della forma e della retorica. Quella stessa retorica protagonista del film e che poi nel dibattito tra verità e capacità di convincimento lascerà il passo alla prima, riaffermando il valore delle cose semplici e di un relazionarsi sempre allo stesso livello, spogli di quell’abito che ben di rado fa davvero il monaco.