Mank | il nuovo film di David Fincher è il capolavoro tanto atteso di questo 2020?

David Fincher, con il suo nuovo, attesissimo, Mank, disponibile su Netflix, descrive l’età dell’oro di Hollywood come un susseguirsi di cialtronerie e racconta la grande industria cinematografica statunitense come un covo di individui biechi a cui interessa pochissimo l’esito artistico o anche solo la realizzazione di qualcosa di buono.

Mank | il mito di Orson Welles

La nuova opera di David Fincher è capace di saltare tra presente e passato in modi strani e inattesi ma sempre significativi, di descrivere molto bene il potere nella sua forma più pura, di usare e sfruttare il mito di Orson Welles per la rinascita idealista di Hermann J. Mankiewic, il protagonista del film (e sceneggiatore di Quarto Potere). Ma è chiaro fin da subito che quella raccontata in Mank non è solo la storia della realizzazione del film più noto di Orson Welles e nello specifico di come il suo sceneggiatore abbia prima vissuto, poi messo in sceneggiatura (unendo finzione a realtà) i temi fondamentali di quel film passato alla storia, ma è anche pensata per somigliare nella struttura, nei richiami e in molte soluzioni ad esso (e per estensione al cinema di quell’epoca).

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Un’opera di straordinario artigianato

Senza alcun dubbio Mank è un’opera di straordinario artigianato. Lo scenografo Donald Graham Burt e la costumista Trish Summerville prendono spunto da Welles, evocando il glamour e la grinta della California degli anni ’30 e dei primi anni ’40 con il loro estro ormai consumato, decadente. La colonna sonora, mutevole e cangiante, composta da Trent Reznor e Atticus Ross si muove tra le influenze di Bernard Herrmann e la big band jazz di quegli anni. Le abili transizioni di scena e le dissolvenze del montatore Kirk Baxter sono un gustoso elemento nostalgico, così come il sound design monofonico d’epoca che completa il pacchetto “retrò deluxe”. Ma è Erik Messerschmidt (già direttore della fotografia per Mindhunter) a dominare il film. Mank, ripreso digitalmente con la tecnologica “Hi-Dynamic Range”, vive soprattutto grazie alle sue sontuose immagini in bianco e nero e all’attenzione posta da Fincher e dai suoi collaboratori nel richiamare anche visivamente il capolavoro di Welles (dal chiaroscuro alla messa a fuoco).

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Quella di David Fincher è un’operazione nostalgia portata al massimo livello di sofisticazione, un’imitazione del cinema anni ‘40 che tuttavia appare sempre falsa, perché per quanto possa emulare la pellicola con il digitale, usare le librerie di suoni dell’epoca, inquadrature dell’epoca, musiche d’epoca e luci dell’epoca, il film è pieno di soluzioni di scrittura contemporanee e retto da un tipo di recitazione modernissima.

Cosa manca?

La costante ossessione alla citazione diventa però facilmente attaccabile quando ci si rende conto che Mank non ha niente a che vedere con il film di Welles di cui racconta la genesi: non è l’indagine su un uomo grande, che il tempo e il sistema hanno svuotato di ogni ideale come modo per criticare un Paese che ne consente l’ascesa, ma semmai la storia di un uomo piccolissimo che ha fatto qualcosa di grande subendo pressioni e venendo continuamente sballottato dalle circostanze, essendo incapace di controllarle. Mankiewicz qui è un sottoprodotto di Hollywood che, per una volta nella vita, decide di combinare qualcosa di vero e significativo, ed è disposto a distruggersi per rimanere in piedi fino all’ultima ripresa. Proprio questa evidente differenza tra i due lavori rende forse meno comprensibile (al di là del raffinato estetismo) la scelta di voler assomigliare così tanto a quel modello aureo. Anche perché Mank trova la sua meraviglia proprio in quei momenti in cui riesce a dire qualcosa di nuovo e, soprattutto, di diverso.

Mank | il nuovo film di David Fincher è il capolavoro tanto atteso di questo 2020?
3.8 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora