Rambo – Last Blood è il capitolo più schematico e violento della saga

Dopo quella chiusura perfetta della saga che era (o doveva essere) John Rambo del 2008, ultimo sfogo cinematografico di una violenza implacabile ma allo stesso tempo immobile ed immobilizzante (dietro ad una torretta fissa), questo quinto capitolo del franchise, che già dal titolo, Last Blood, vorrebbe chiudere una vicenda cominciata nel 1982 con First Blood, non poteva che essere superfluo ed eccedente. Sylvester Stallone sembra quasi ammettere e riconoscere questa condizione di “inutilità”: il suo Rambo nel 2019 non è più icona (scompare la celebre bandana, che aveva conservato persino in Birmania) ma personaggio apolide tornato a casa (Arizona) solo con il corpo. È come se il personaggio avesse subito una regressione e fosse tornato (cinematograficamente) al suo esordio, incarnazione di confusione e disagio. A quel personaggio che non aveva nulla della complessità di Travis Bickle o Nick Chevatorevich, vittime anche loro ma con le quali era impossibile empatizzare fino in fondo, ma che trovava la sua forza proprio nella rinuncia di qualsiasi sfumatura, reduce esasperato ma anche personaggio con il quale schierarsi. 

Così anche Last Blood utilizza la sua estrema linearità per eliminare la complessità del reale e porre lo spettatore davanti ad una domanda semplice e diretta: davvero la violenza di Rambo può essere considerata liberatoria, giustificabile per tutti i drammi che sono venuti prima di essa? E quanto quella stessa violenza non è invece un elemento asfissiante per lo stesso personaggio che la perpetra? Si tratta di una domanda talmente assoluta (quindi slegata dal passato specifico del personaggio) che per rispondere non è necessario neanche che questo Rambo sia effettivamente lo stesso personaggio dei precedenti quattro episodi. 

Anche le evidenti problematicità politiche (il film è praticamente la realizzazione delle fantasie trumpiane e sembra una testimonianza cinematografica della necessità di un muro al confine tra Messico e America) non esistono se si analizza Last Blood attraverso quel criterio di essenzialità per cui non trova spazio alcuna riflessione che non sia quella sulla violenza e sull’utilizzo della stessa come strumento. Al personaggio di Rambo, nel capitolo più banale e semplice della sua saga, non rimane altro che la violenza. Una violenza a cui il film diretto da Adrian Grunberg ci prepara (maldestramente) per tutta la prima ora, ma che quando esplode è solo superficialmente appagante, in realtà infruttuosa e futile. Questa progressiva riduzione del personaggio ad una brutalità primordiale esclude a priori qualsiasi possibilità di analizzare il film attraverso parametri “ideologici” (per la prima volta anche Rambo non ha alcun principio da affermare) che invece richiederebbero un approfondimento strutturalmente impossibile da ottenere. 

Sylvester Stallone (co-sceneggiatore insieme a Matthew Cirulnick) ha accettato un film più dozzinale e ha estremizzato componenti da sempre presenti nei film della saga (la totale asimmetria delle forze in campo e la descrizione di una umanità bieca che non perde occasione per ricordarlo) per esaltare la predisposizione alla violenza del suo personaggio, attraverso un film schematicamente diviso in un lungo preambolo e in un conseguente sfogo che il film vorrebbe rendere giustificabile ma che alla fine, forse per motivazioni che esulano dalla volontà degli autori, non ci appare davvero come tale. Anche il fatto che Rambo conduca le sue vittime nel luogo che ha costruito per vivere (sotto terra, ma soprattutto sotto una casa dignitosa e accogliente che dovrebbe essere anche sua ma che sente di non meritare) e che sembra già inevitabilmente preparato per una eventuale carneficina, ci suggerisce che forse è lo stesso protagonista ad essere senza speranza come il mondo in cui vive. 

Rambo: Last Blood – TRAILER

Rambo – Last Blood è il capitolo più schematico e violento della saga
50 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora