roBOt Fest 08: Industrial Soundtrack For the Urban Decay, un viaggio nella storia ed estetica della musica industriale

Come gli anni scorsi, la sezione Screenings del roBOt Festival 08 offre una selezione interessante di documentari, lungometraggi e altri contributi video che raccontano la fusione tra musica e arte come manifesti di creatività e innovazione. In particolare ho avuto il piacere di vedere Industrial Soundtrack For the Urban Decay di Amèlie Ravalec e Travis Collins, presentato in collaborazione con Fondazione MAST e Biografilm Festival nella prima giornata del festival bolognese che anima ogni anno la suggestiva location del Palazzo Re Enzo e Piazza Maggiore.

Questo documentario permette di fare un viaggio nella storia ed estetica della musica industriale, attraverso un montaggio dinamico e completo di materiali di repertorio, interviste a Throbbing Gristle, Cabaret Voltaire, Boyd Rice e altri esponenti di un genere che oggi sta guadagnando un’improvvisa popolarità. I titoli di testa suggeriscono la dimensione ruvida e metallica di una musica fatta di rumori catturati nella quotidianità delle fabbriche e di una realtà lavorativa tra povertà e caos. Il suono che ne deriva racchiude il disagio, la fatica e il sudore di quella parte della società dedita al duro lavoro in cui se non ti sporchi le mani non vai avanti. La musica industriale  diventa così il riflesso della gente che ha lavorato e lavora ancora oggi in quel settore in cui l’acciaio, il fuoco, i metalli e un orario di lavoro estenuante producono qualcosa di diverso tra gli anni ’’60 e ’70. Industrial Soundtrack For the Urban Decay racconta come ogni oggetto diventasse in quegli anni uno strumento musicale, dai tubi in acciaio ai contenitori di alluminio o secchi di plastica. Nel corso degli anni ’60 si sono registrati una serie di esperimenti in tal senso, con un’eco poi negli anni ’70, mentre anche il mondo dell’arte e dello spettacolo prendevano varie strade per lasciare il segno.

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Avevamo una mentalità iconoclasta” suggerisce un esponente della musica industriale ai suoi esordi, sottolineando la voglia di questo genere di andare oltre le regole e lanciare un grido contro la borghesia, per scioccarla e privarla delle sue certezze. Era un periodo di “sovraccarico sensoriale” che, in epoca moderna, si è tradotto in una musica più popolare e riconosciuta, utilizzata spesso anche per la composizione di colonne sonore dei film (vengono citati Il Corvo e Sin City). La cultura generale ha inciso sulla formazione e diffusione della musica industriale, dalla corrente artistica del dadaismo che studiava “la reazione all’assurdo per renderlo più umano”, all’influenza di artisti come Andy Warhol o Salvador Dalì in un momento storico in cui tutti erano alla ricerca di qualcosa di nuovo ed erano in vena di lasciarsi andare alla sperimentazione. O ancora la celebre tecnica del “cut – up” (ritagliare parole dai giornali e poi incollarle insieme per comporre frasi e pensieri diversi) che era stata tradotta in musica e suoni da alcuni estimatori del genere. Il risultato di tutto ciò era una musica minimalista, potente e con un’ inesauribile energia che coinvolge ancora oggi il pubblico e i numerosi appassionati. 

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