Venezia 69: Fill the Void ( Lemale et Ha’Chal), recensione

A Venezia 69 è stato proiettato il film ebreo Lemale et Ha’Chal (Fill the Void) scritto e diretto da Rama Burshtein, nata a New York ma molto devota alla religione ebraico ortodossa, che cerca di promuovere nei suoi lungometraggi. Al centro di questo suo ultimo film il desiderio di matrimonio che investe tutte le donne della comunità da una certa età in poi.

Shira (Hadas Yaron) è la figlia più giovane di una famiglia di Tel Aviv e viene promessa ad un giovane coetaneo, ma la scomparsa violenta e improvvisa della sorella maggiore durante la festa del Purim, sconvolge i piani e il vedovo Yochay (Yiftach Klein) si ritrova a dover scegliere con chi passare il suo prossimo futuro. La defunta Esther ha perso la vita per dare alla luce il figlio di Yochay, e quando si preannuncia il trasferimento di quest’ultimo in Belgio per il suo nuovo matrimonio, la mamma di Shira si dispera al pensiero che il suo unico nipote vada a vivere così lontano dalla sua famiglia e si innescano diversi meccanismi fino alla scelta dell’unione di Yochay con la giovane Shira. Quella che dapprima sembra una decisione insolita e azzardata, si rivela fondata su un sentimento, e le cose prendono la giusta piega.

Lemale et Ha’Chal parla del rapporto tra uomo e donna all’interno della comunità ebraico ortodossa, molto spesso dipinta e interpretata dal resto del mondo in modo superficiale, e la regista Burshtein racconta una piccola storia sociale romanzata con un’illuminazione sfocata che ricorda alcune soap opera degli anni passati. I dialoghi, i costumi e i personaggi sono gli unici strumenti di cui la regista si serve per svelare qualcosa di più della sua cultura, e far conoscere alcuni riti tradizionali che contraddistinguono la comunità ultra – ortodossa. “Per i matrimoni l’ebraismo non prevede costrizioni. Nel mondo chassidico in cui questo film è ambientato, i genitori qualche volta propongono delle unioni per i loro figli, ma anche in quel caso la giovane coppia deve essere d’accordo” – ha affermato Rama Burshtein. Il risultato è un film senza dubbio educativo e interessante, poichè fa luce su un mondo spesso chiuso in se stesso e muto dal punto di vista culturale e artistico. Infatti se il mondo ebraico è molto attivo nella vita politica dei diversi paesi, non si può dire lo stesso per quanto riguardo la sua automonia espressiva e il settore dell’intrattenimento. Tuttavia questo film non convince, con dialoghi deboli e ripetitivi, un ritmo forzato e a tratti arenato in una fredda staticità, e inquadrature indecise realizzate quasi esclusivamente all’interno di quattro mura. Bocciato tecnimamente ma consigliato come documentario per saperne di più sulla realtà ebraica.