Venezia 69. Passion, la recensione

Christine (Michelle McAdams) e Isabelle (Noomi Rapace), lavorano gomito a gomito in un’azienda di marketing. Mentre la seconda è una brillante pubblicitaria, la prima è il suo capo che non perde occasione per rubarle le idee migliori. Tra le due si sviluppa così uno strano rapporto dalla facciata amichevole, ma dal fondo sempre più competitivo. Isabelle, incoraggiata dalla sua assistente Dani (Karoline Herfurth), alza il tiro contro Christine, che dopo poco viene uccisa da un misterioso assassino con indosso un’inquietante maschera. Il ritorno a Venezia di Brian De Palma con un thriller, il genere che più lo rappresenta, non è stato molto gradito dalla stampa, che ha definito Passion un film freddo, tanto che molti hanno sostenuto che il regista americano farebbe meglio a prendersi una lunga pausa. Si tratta di giudizi un po’ troppo frettolosi: Passion non è un banale remake di Crime d’amour, diretto nel 2010 da Alain Corneau, ma contiene in sé un lavoro di rielaborazione complesso di molti temi e codici depalmiani: il doppio fisico e mentale presente in Body Double e Sisters, lo split screen utilizzato per delineare un’atmosfera di suspense e confondere lo spettatore in un momento cruciale del film, la riflessione sulla figura della donna, che attraversa tutta la filmografia thriller di De Palma.

Lo stesso Brian ha definito quest’opera “un film con e per donne”, rendendo manifesto il suo intento: portare a termine la sua riflessione sull’universo femminile, che negli anni ’80 considerava la donna l’oggetto del desiderio maschile, mentre oggi la considera, nel caso in cui entri in gioco un potere forte, causa della rovina di se stessa e fulcro delle perversioni peggiori del nostro secolo. Detto ciò, pare superficiale definire Passion un’opera misogina, sarebbe più giusto concentrare la discussione sul grande senso di colpa che emerge da questo film. L’aspetto tecnico è forse più interessante della trama:  dopo ventidue anni, ossia dall’epoca di Raising Cain, ritroviamo un De Palma padrone della macchina da presa, che usa come un pennello nelle sue mani. Notevole l’incastro della narrazione tra la realtà e il sogno. L’uso dello split screen è un’emozione ritrovata, in cui Brian unisce le immagini di un balletto contemporaneo (Il pomeriggio di un fauno su musiche di Debussy) a quelle dell’omicidio. La particolarità sta nel fatto che l’allungamento dell’una o dell’altra parte dello schermo crea confusione proprio nel momento dell’omicidio.Le musiche di Pino Donaggio confermano il sodalizio artistico che lo lega a De Palma da anni e conferiscono la giusta atmosfera prima serena, poi via via sempre più cupa e ansiogena. Infine la fotografia è stata affidata José Luis Alcaine, uomo aficionado di Almodòvar, con grande esperienza nel cogliere la bellezza delle donne. Colpisce l’interpretazione della McAdams, calatasi perfettamente nei panni della donna bipolare dal fascino algido. Deludente invece Noomi Rapace, sempre monocolore in un ruolo non troppo complicato.