Venezia 69: Spring Breakers, la recensione

Abbiamo visto in occasione della 69 edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia uno dei film più irriverenti e scandalosi dell’anno: Spring Breakers. Scritto e diretto da Harmony Korine e interpretato da James Franco, Selena Gomez, Vanessa Hudgens, Ashley Benson e Rachel Korine, Spring Breakers racconta “l’epica” odissea di quattro giovani collegiali disposte a tutto pur di passare la famosa vacanza di primavera (il titolo prende spunto dallo spring break) al di la di ogni limite umano. Trovatesi improvvisamente a corto di denaro Faith (Selena Gomez), Brit (Ashley Benson), Candy (Vanessa Hudgens) e Cotty (Rachel Korine) svaligiano un ristorante e iniziano quella che avrebbe dovuto essere la vacanza della loro vita, una esperienza lontana dalle noie quotidiane e ricca di feste folli, droga, alcol e orgie. Tra un droga party e un rave sulla spiaggia le quattro finiscono però nelle mani di Alien (James Franco), un losco rapper che decide di coinvolgerle nel suo pericoloso giro di criminalità. Riusciranno a ritornare sulla retta via? O si perderanno nei meandri della parte più selvaggia del loro essere?

A distanza di quattordici anni dal suo esordio, Gummo, Harmony Korine torna a rivisitare la società e l’ideologia americana confezionando uno dei film più estremi, strampalati e assurdamente attraenti di questa 69 edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Supportato da un team di giovani stelline caste e pure dello show business statunitense (Selena Gomez e Vanessa Hudgens in primis venendo dal team della Disney) Korine realizza un’ opera dalle due facce: la prima è quella che fa da prologo al film, caratterizzata da uno stile estremamente videoclipparo (rallenty, riprese patinate, colori eccessivi) e costituita da musica assordante, scene di sesso e nudi espliciti in una dimostrazione lampante del “sano” modus vivendi delle nuove generazioni. La seconda è invece quella che si affaccia quando meno te lo aspetti, costituita da piano sequenza infiniti, voice over (non a caso molti hanno associato questa opera a To The Wonder di Malick) e riprese tipicamente indipendenti (il vero stile di Korine) in una brillante metafora di ciò che ancora c’è di puro (poco ma la speranza è l’ultima a morire) e sano nella società moderna. Ma andiamo più a fondo. Perché scegliere le più caste ragazze dello show business americano e inserirle in un contesto fatto di sesso, droga e rock and roll? Perché Korine vuole sottolineare la stupidità della ideologia americana, basata su occhio non vede e cuore non duole e perfettamente incarnata nelle giovani dive che devono per forza rimanere vergini fino al matrimonio (anche se non lo sono più dal college), che devono avere un aspetto semplice e casto (non sia mai che spunti una foto sexy, sacrilegio) e che se riescono ad avere un fidanzatino bambolotto (Justin Bieber e Zac Efron, quando la realtà supera la finzione) idolo delle teenagers di tutto il mondo è ancora meglio. E in questo contesto, le pupe del film di chi possono essere fan? Il suggerimento è presente nel nome di uno dei personaggi delle ragazze, precisamente quello interpretato da Ashley Benson, Brit. Ebbene si l’incarnazione ideale della ascesa e conseguente discesa (e ri-conseguente ascesa? Purtroppo questo Korine non lo analizza) del sogno americano non può che essere la diva del pop Britney Spears, simbolo di tutto ciò che di più perfetto e ben confezionato (modus pacchetto regalo di natale) ci poteva essere nei “mitici” anni ’90, primi 2000. Infatti le quattro ragazze canticchiano Baby One More Time e Everytime, i successi più casti della diva pop e non sia mai i pezzi del momento della sua discesa negli inferi e nella perdizione, il “tragico” momento in cui aveva dimostrato a tutto e tutti di essere, ahimè che orrore, umana. E tutto questo Korine lo concretizza in una delle scene cult del film (Trash? Scult? In ogni caso non può non rimanere impressa), il momento in cui il rapper criminale Alien (James Franco praticamente travestito da Sean Paul e Pitbull) canta la dolce Everytime sullo sfondo di una delle più violente sparatorie del film in una lampante e allo stesso tempo geniale dimostrazione che anche il più estremo dei gesti, filtrato da immagini patinate, rallenty e giusta musica può apparire normale e per niente spaventoso, addirittura divertente.

Oltre alla critica della società americana Korine inserisce una analisi sulle nuove generazioni, perennemente in cerca di un brivido per sfuggire alle noie e banalità quotidiane. Fino a che punto bisogna spingersi per divertirsi? Le quattro ragazze iniziano facendo disegni sconci su un foglio, continuano giocando come bambine in una casa, proseguono rapinando un ristorante con pistole ad acqua (per partecipare a party di sesso e droga) e finiscono per fare una strage munite di mitra. Alcune non se la sentono di andare avanti sostenendo come un disco rotto di non aver partecipato ad una vacanza di primavera per fare cose così terribili. Altre invece proseguono, si fermano sostenendo di voler cambiare ma poi continuano imperterrite la loro discesa nella oscurità. Quello che Korine cerca di sottolineare è che nel mondo non tutto è bianco o nero. Le quattro ragazze sono selvagge ma questo non vuol dire che siano cattive. Sono delle ragazzine educate ma questo non impedisce loro di diventare le più rozze, cattive e dure criminali (la scena e lo slang di Vanessa Hudgens e Ashley Benson nella rivisitazione della rapina dall’interno del gruppo sono straordinari) sulla faccia della terra. E Faith (Selena Gomez), pur essendo la più casta del gruppo non vuol dire sia la migliore, come dimostrano le continue bugie che racconta ai familiari sulle sue vacanze primaverili, fatte di castità, brave persone e spirito religioso. Spring Breakers è un film intelligente, stupido, leggero, duro, bello, brutto, trash, cult. È come una vacanza di primavera in cui non sai mai cosa possa succedere. È un film che al di la delle apparenze rappresenta meglio le gioie e gli orrori di gran parte della società moderna.