Venezia 72 – Man Down, la recensione del film con Shia LaBeouf

Clint Eastwood, Oliver Stone e Francis Ford Coppola sono solo alcuni dei registi che hanno trattato un tema complesso come le conseguenze fisiche e mentali che i reduci della guerra devono affrontare. Un tema che Dito Montiel, l’autore di Guida per riconoscere i tuoi santi, sviluppa in Man Down, il film con Shia LaBeouf, Jai CourtneyKate Mara e Gary Oldman presentato nella sezione Orizzonti alla 72° edizione della Mostra del Cinema di Venezia. LaBeouf interpreta Gabriel Drummer, un giovane marine arruolato in Afghanistan che ha una bella moglie (Kate Mara), un figlio ed un amico su cui poter contare (Jai Courtney); ma la guerra che si trova costretto a combattere non è solo quella contro il fronte nemico ma anche quella contro se stesso. Un tragico fatto cambia improvvisamente il suo modo di percepire la realtà bloccandolo in un limbo che lo porta ad affrontare il lungo e difficile dialogo con il Capitano Peyton (Gary Oldman) e, allo stesso tempo, l’impossibile ricerca della moglie e del figlio, sperduti in un mondo post-apocalittico caratterizzato solo da morte e distruzione.

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Nel 2008 Gerald McMorrow, forte di un cast composto da Ryan Philippe ed Eva Green,  esordì alla regia con Franklyn, un bizzarro noir sviluppato tra due realtà parallele. Un’opera interessante e originale di cui Montiel riprende la struttura narrativa per raccontare la storia di Gabriel, un soldato portato dai traumi della guerra a perdere qualsiasi tipo di contatto con il suo passato, presente e futuro. Quale siano la realtà e l’immaginazione in Man Down non ci è dato saperlo fino al finale, il momento in cui Montiel tenta di dipanare la complessa e, fin troppo imbrogliata, matassa sviluppata nel corso del film. Le molteplici linee narrative e temporali smorzano l’attenzione sulla storia principale eliminando quell’effetto sorpresa che sarebbe dovuto essere il punto di forza di Man Down, un film in cui il ricco potenziale non viene espresso nel modo giusto. Se nelle precedenti opere Montiel si limita a raccontare attraverso un approccio classico, in Man Down sospende la storia di Gabriel tra una realtà ed una immaginazione che avrebbero avuto bisogno di una sceneggiatura più solida e di una regia più a fuoco per risultare pienamente convincenti. L’eccesso di narrazione finisce così col confondere piuttosto che intrigare e allo spettatore non resta che godere della seducente fotografia di Shelly Johnson per giustificare la visione di Man Down; un film che, pur giocando carte vincenti come l’intensa interpretazione di Shia LaBeouf e l’accattivante regia di Montiel, resta una scommessa vinta solo in parte.