Venezia 75, 22 Luglio: la strage di Utøya in un thriller di insperata complessità

Nei primi 30 minuti di 22 Luglio, il film di Paul Greengrass sul doppio attentato in Norvegia avvenuto nel 2011, è concentrata tutta l’azione di un’opera che decide di esibire immediatamente la violenza di un atto efferato per poi cambiare completamente tono e virare sul dramma. Il regista statunitense è bravo a narrare la tragedia personale di una delle vittime, il cui punta di vista sarà quello scelto per esporre i fatti, come se ci trovassimo in un thriller. Il giovane Viljar riesce a salvarsi dal massacro, ma alcune schegge del proiettile che gli ha perforato la testa sono impossibili da estrarre chirurgicamente e talmente vicine al tronco cerebrale da essere potenzialmente fatali nel malaugurato caso si dovessero muovere dalla loro posizione. Greengrass è bravissimo quindi a rendere su schermo la fragilità di questo ragazzo messo in pericolo dai suoi stessi movimenti (e protagonista di una sequenza in motoslitta perfetta nel modo in cui costruisce la tensione).

Non solo, il clima tipicamente gelido della Norvegia costituirà un ulteriore elemento di difficoltà che questo giovane, già così affaticato da una difficile riabilitazione e costretto a muoversi lentamente nella neve con una stampella, dovrà affrontare ogni giorno.

22 Luglio: un thriller complesso e profondo

La complessità di 22 Luglio emerge soprattutto nel modo in cui Greengrass descrive a chi guarda le idee aberranti di un folle che per ovvie ragioni non può avere giustificazioni ma che comunque crede fermamente di essere dalla parte giusta della Storia. Nel corso del film ci si riferirà a questi nuovi movimenti estremisti, che hanno radici in contesti moderni e quindi strettamente legati alla nostra contemporaneità, con il loro nome specifico (gli accoliti di Breivik sono noti come I Cavalieri Templari, ma non saranno gli unici fanatici ad essere nominati) o attraverso riferimenti a “gruppi di estrema destra”.

Il termine “nazismo” verrà utilizzato una sola volta, a dimostrazione dello sforzo del regista di non ridurre un fatto così complesso a simboli appartenenti al passato. Così anche il famoso saluto nazista nell’aula di tribunale (che è forse l’immagine più nota all’opinione pubblica dello stragista norvegese) sarà svuotato di senso e sembrerà solo il gesto a favore di camera di un esibizionista.

22 Luglio: un film sulla dignità di uno Stato

Tutto il film è quindi pervaso da un senso di obbedienza alle regole dello Stato (l’avvocato che deve difendere Breivik perché così vuole la legge, i genitori delle vittime che si stringono attorno al Primo Ministro del loro Paese) che lascia stupefatti. Persino al terrorista saranno concesse tutte le garanzie di un processo giusto come da norma in uno Stato che si professa progressista. Quindi Breivik sarà tutelato da leggi volute da quelle stesse persone che vorrebbe eliminare scientificamente dalla sua nazione (per qualche secondo si vedrà anche la sua cella di isolamento, spaziosa e dotata persino di scrivania e televisione, cosa comune nelle carceri norvegesi). 

Il film si concluderà con un processo in cui gli unici a professarsi colpevoli saranno le vittime, che si sentiranno in colpa per non essere riuscite a salvare un amico o per non aver trattenuto le lacrime durante la loro testimonianza. Sta tutta lì la forza di un film in cui si avverte sempre l’impegno del regista a non spettacolarizzare un fatto così doloroso, decidendo invece di mostrare quanto possa essere dignitosa la reazione dei singoli e della collettività ad una tragedia di tale portata.