The Souffleur è un’elegante meditazione visiva sul tempo che passa, curata nella forma ma fragile nel contenuto.
Presentato nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, The Souffleur segna il ritorno del regista argentino Gastón Solnicki con un’opera intima e visionaria, sospesa tra realismo e allegoria.
Con un cast che annovera Willem Dafoe, Lilly Lindner e Stephanie Argerich, il film si propone come una riflessione malinconica sul tempo che passa, sulla memoria e sulla fragilità delle istituzioni che custodiscono le nostre vite.
Realizzato tra Austria e Argentina, The Souffleur si inserisce nella tradizione del cinema europeo che pone attenzione tanto agli spazi e agli oggetti quanto alle emozioni dei personaggi.
Con la fotografia raffinata di Rui Poças e il montaggio di Ana Godoy e Alan Martin Segal, Solnicki costruisce un racconto che si muove tra il personale e il politico, tra la concretezza degli ambienti e il loro imminente svanire.
The Souffleur: la sinossi
Al centro di The Souffleur c’è Lucius, interpretato da Willem Dafoe, uomo che ha trascorso trent’anni della propria vita a gestire uno storico hotel nel cuore di Vienna. Quell’edificio, più che un luogo di lavoro, è per lui una casa, un rifugio, il simbolo di un mondo che sembrava poter resistere immutato.
La sua esistenza viene sconvolta quando scopre che l’hotel è stato venduto a un costruttore argentino deciso a demolirlo e a ridisegnarne le fondamenta secondo logiche di profitto.
Con l’aiuto della figlia e di un manipolo di fedeli dipendenti, Lucius intraprende una lotta disperata per preservare ciò che resta del suo passato. Non si tratta però di una resistenza lineare: quella che prende forma è una crociata fatta di deviazioni, sotterfugi e ossessioni, una vera e propria battaglia paranoica che mescola spionaggio, intrighi e atti di ribellione quotidiana.
Il film non si limita a raccontare la storia di un uomo, ma restituisce anche il ritratto di un mondo in dissoluzione: l’hotel, con i suoi corridoi, le stanze e i volti che lo abitano, diventa metafora di un’epoca che svanisce sotto i colpi del cambiamento.
In bilico tra cronaca e allegoria, The Souffleur riflette sulla perdita, sulla necessità di conservare la memoria e sul conflitto inevitabile tra ciò che è destinato a sparire e ciò che cerca di sopravvivere.

La recensione: buona la forma, meno la sostanza
The Souffleur è un film che sceglie la via della sottrazione. La narrazione procede con estrema lentezza, affidandosi più alle immagini che alle parole: i dialoghi sono ridotti all’osso, mentre a guidare lo spettatore è soprattutto la voce fuori campo del personaggio interpretato Willem Dafoe.
La sua disperazione di fronte alla perdita dell’hotel – luogo che è insieme rifugio, memoria e unica casa conosciuta – non viene raccontata in maniera esplicita, ma filtrata attraverso l’estetica ricercata del film.
Ogni inquadratura (spesso di tipo frontale) e ogni scelta visiva diventa il vero luogo in cui si manifesta il dolore di Lucius, più che nella trama stessa. Questa centralità delle immagini rende il lavoro di Gastón Solnicki un’esperienza visiva affascinante, costruita su dettagli, atmosfere e contrasti cromatici.
Tuttavia, proprio questa scelta rischia di lasciare il racconto in sospeso. L’idea di fondo – lo scontro generazionale tra vecchio e nuovo, tra un mondo che svanisce e un altro che avanza – resta accennata, senza trovare uno sviluppo pieno.
L’albergo come metafora di un passato che non può sopravvivere al presente è potente, ma resta sullo sfondo. Ne risulta un film più forte nella forma che nel contenuto: elegante, controllato e capace di restituire con efficacia il senso di perdita, ma meno incisivo sul piano narrativo.
In altre parole, The Souffleur affascina per la sua estetica raffinata, ma lascia la sensazione di un’opera che preferisce evocare piuttosto che raccontare, mantenendo le sue promesse a metà strada.