In concorso alla Mostra, Pietro Marcello racconta la “Divina” senza celebrazione né condanna: ecco la recensione.
Duse, diretto da Pietro Marcello, è uno dei titoli in concorso all’82ª Mostra del Cinema di Venezia e porta sullo schermo il ritratto intimo e contraddittorio di una delle figure più enigmatiche del teatro italiano: Eleonora Duse.
Il film, prodotto da Palomar insieme ad Avventurosa, Rai Cinema e partner internazionali, si avvale di una sceneggiatura firmata da Letizia Russo, Guido Silei e dallo stesso regista.
Al centro, naturalmente, la regina del teatro incarnata da Valeria Bruni Tedeschi, affiancata da Noémie Merlant (nei panni della figlia, Enrichetta Checchi), Fausto Russo Alesi (nientemeno che Gabriele D’Annunzio), ma anche Fanni Wrochna, Edoardo Sorgente, Vincenzo Nemolato e con la partecipazione speciale di Noémie Lvovsky.
Il racconto si concentra sugli ultimi anni di vita della “Divina”, quando, tra la fine della Grande Guerra e l’ascesa del fascismo, l’attrice sente il richiamo del palcoscenico come unica possibilità di riaffermare sé stessa.
Tra rovesci finanziari, fragilità personali e una salute ormai compromessa, Eleonora Duse affronta il tempo, la storia e i propri fantasmi con il teatro come unica arma di resistenza.
La leggendaria Eleonora Duse attraverso gli occhi di Pietro Marcello
La vicenda si apre con una Duse segnata dagli anni e dalle fatiche, ritiratasi a vita più appartata dopo una carriera leggendaria. Ma i tempi non le permettono di restare nell’ombra: la Grande Guerra ha cambiato il volto dell’Italia e l’ascesa del fascismo incombe come un’ombra sulle arti e sulle libertà individuali.
Quando improvvisi dissesti finanziari la costringono a una scelta radicale, Eleonora decide di tornare al teatro, non per vanità o nostalgia, ma per riaffermare un’identità che il mondo circostante minaccia di cancellare.
Ogni ritorno sul palco diventa un atto di resistenza, una sfida contro il disincanto e la fragilità fisica che ormai la accompagna. Nei rapporti personali, dagli affetti familiari fino ai legami con D’Annunzio, emergono tensioni irrisolte e una solitudine sempre più presente.
La sua parabola appare allora come il bilancio di una vita vissuta all’estremo: tra fallimenti e trionfi, tra applausi e ferite interiori. Il film la accompagna fino all’ultimo viaggio, segnato dalla convinzione che si possa rinunciare a tutto, ma non alla propria natura di artista.

La recensione
Duse di Pietro Marcello è un ritratto rispettoso e complesso, capace di restituire la grandezza e le contraddizioni di un’attrice che ha fatto la storia del teatro italiano. Il cineasta italiano sceglie una regia dal tono volutamente teatrale: composizioni rigorose, dialoghi costruiti come atti scenici e un ritmo che, in effetti, a tratti sembra più da palcoscenico che da cinema.
Questa medesima scelta, se da un lato sottolinea la dimensione artistica della protagonista, dall’altro rischia di appesantire il racconto, confinandolo in una gabbia formale che smorza l’impatto emotivo.
Valeria Bruni Tedeschi regge il film con la sua consueta presenza scenica: intensa e fragile allo stesso tempo, ma capace di dare corpo a una donna in lotta con sé stessa e con il tempo.
Eppure, il ritratto della “Divina” finisce per sovrapporsi troppo all’interpretazione dell’attrice: quella svagatezza, quella fragilità un po’ manierata che caratterizzano Bruni Tedeschi ritornano anche qui, rischiando di togliere profondità al personaggio.
Il film non assume le vesti né di una celebrazione né tantomeno di una condanna, ma resta neutrale. In altre parole, l’opera di Pietro Marcello rimane sospesa in una zona intermedia, osservando la Duse da lontano, più che raccontarla. Si lascia guardare, certo, ma con il passo un po’ televisivo di un film da prima serata, elegante e curato ma non davvero incisivo.