Vedendo il nuovo So Cosa hai Fatto abbiamo notato un dettaglio che ci è sembrato un omaggio al cinema di David Lynch. Cosa ne pensate?
Il 2025 segna il ritorno di una saga horror che sembrava ormai chiusa. So Cosa hai Fatto, reboot e sequel del celebre franchise slasher anni ’90, sorprende con un tono più cupo, introspettivo e visivamente ricercato. Qui la nostra recensione del film.
E guardando questo nuovo film al cinema, un dettaglio inatteso che ha catturato la nostra attenzione: una sequenza onirica che rievoca in modo evidente un momento iconico di un cult firmato David Lynch. Ci spieghiamo meglio.
Il cameo di Sarah Michelle Gellar, una scena déjà vu
La scena in questione si apre con una figura femminile di spalle, su un palco avvolto da tendaggi scuri e luci ovattate. La cinepresa indugia lentamente, creando un senso di attesa e spaesamento. Quando la donna si volta, è Sarah Michelle Gellar, che torna simbolicamente nei panni di Helen Shivers, il suo personaggio cult morto nel primo film del 1997.
Questo cameo costituisce un sogno di una delle nuove protagoniste di Southport, o meglio, un incubo, che secondo noi ricalca per atmosfera e composizione la famosa sequenza della “donna del termosifone” in Eraserhead. Se non la ricordate potete rivederla qui.
L’ambiente irreale, la teatralità del palcoscenico e il fatto che l’intera visione si svolga nella mente della protagonista Danica, interpretata da Madelyn Cline, fanno di questa scena qualcosa di più di un semplice cameo nostalgico. È una scelta quasi simbolica che collega due mondi apparentemente lontani: lo slasher adolescenziale e il cinema sperimentale e disturbante di Lynch.

Un linguaggio visivo che va oltre l’horror
La regista Jennifer Kaytin Robinson dimostra una consapevolezza visiva nel genere horror e non si limita a evocare il passato della saga o a strizzare l’occhio ai fan, ma costruisce un ponte visivo tra due forme di angoscia: quella viscerale e immediata del killer mascherato, e quella sottile, interiore, del trauma che ritorna nei sogni.
In entrambi i casi, il terrore nasce da qualcosa che non si può affrontare direttamente. Ecco allora che il palco con i tendaggi, il buio tagliato da luci teatrali e la figura femminile enigmatica diventano lo spazio della coscienza, dove si affaccia il rimosso.
Proprio come in Eraserhead, il sogno non offre risposte ma amplifica il senso di colpa e confusione. Invece di interrompere la narrazione, la visione con Helen la approfondisce, suggerendo che i veri fantasmi non sono quelli che inseguono fisicamente i protagonisti, ma quelli che si annidano nei ricordi, nei silenzi e nelle scelte non fatte.
Un omaggio nascosto che aggiunge spessore
Nel panorama dei film horror contemporanei, sempre più legati al fan service o alla spettacolarità visiva, un richiamo così intimo e colto spicca per originalità. La scena non viene spiegata, né evidenziata con enfasi.
Sta lì, come un frammento sfuggente, una citazione lasciata apposta per chi sa guardare oltre. E non è un caso che si tratti proprio di un sogno: come nei film di Lynch, anche qui la logica è sospesa, le immagini parlano per simboli e le emozioni prendono il posto della trama.
Quel momento, in cui Sarah Michelle Gellar appare su un palco di ombre e memoria con sopra la scritta “You can’t erase the past” (Non puoi cancellare il passato), riesce a legare passato e presente non solo della saga, ma del linguaggio cinematografico stesso. È un breve respiro poetico in un film che, altrimenti, corre su binari molto più convenzionali.