News
Jesus Christ Superstar al Sistina, conferenza stampa con Ted Neeley
Il Venerdì Santo, 18 Aprile, debutta al Teatro Sistina di Roma lo spettacolo Jesus Christ Superstar, la versione teatrale del celebre film omonimo del 1973. Se vedendo i manifesti per strada, vi siete chiesti se ci sarà sul palco il vero Ted Neeley, vi confermiamo subito che l’attore e cantante indimenticabile nel ruolo di Gesù nel film di Norman Jewison, tornerà sul palcoscenico della città eterna, in carne ed ossa, per riprendere il ruolo che lo ha reso una leggenda nel mondo dello spettacolo. La conferenza stampa di presentazione si è aperta con l’annuncio ufficiale della scelta di Feysal Bonciani per interpretare l’importante ruolo di Giuda, nel film ricoperto da Carl Anderson. “Volevo rendere omaggio al film scegliendo un Giuda di colore. Il film sembra sempre vivo e attuale” ha dichiarato Massimo Piparo, regista dello spettacolo.
Ted Neeley, che sembra non aver mai abbandonato il ruolo di Gesù, nella carriera come nella vita, ha ringraziato tutta la squadra italiana per questa opportunità e ha dichiarato: “E’ un onore essere qui in questa città con voi, è il sogno di una vita. Sono felice di lavorare al Sistina con Massimo e tutto il gruppo artistico fantastico. Anche se ho interpretato questo ruolo molte volte, trovo sempre qualcosa di nuovo. Quelli che vedranno lo spettacolo vedranno un nuovo spettacolo mai visto fin’ora. Speriamo di meritare la loro approvazione con la nostra performance” e, dando uno sguardo indietro, ha raccontato: “Questo personaggio rappresenta amore, fede, speranza, dolcezza e viene dall’anima come la figura di Gesù come essere umano. Ritratto negli ultimi 7 giorni della sua vita, come figlio di Dio. Ero un batterista rock del Texas e ho conosciuto il teatro in California con la mia band, ma la guerra del Vietnam ha sciolto il nostro gruppo, e così ho seguito degli amici ad un provino a teatro. I miei amici mi hanno spinto sul palco dicendo ‘canta qualcosa’. Il regista era nel pubblico e mi ha chiesto una seconda canzone per dimostrare la mia passione. Ho fatto For One in My Life di Steve Wonder e il regista ha detto: ‘Potresti cantare una canzone d’amore per mostrare l’estensione vocale e la passione’. Così ho fatto la stessa canzone ma nella versione di Tony Bennet. Hanno scelto me per le note molto alte che raggiungevo e fui preso per Hair. Poi lui mi portò con se, e la mia vita cambiò per un provino“.
Tra i protagonisti scelti per la messa in scena italiana di uno dei musical più famosi e amati di tutti i tempi, ci sono Paride Acacia, Emiliano Geppetti, Shel Shapiro nei panni di Caifa, e Simona Molinari per l’unico ruolo femminile, quello di Maddalena. La vera novità è la partecipazione dei Negrita, sia per la colonna sonora, sia per l’interpretazione di Pau il frontaman, nei panni di Ponzio Pilato. Oltre agli attori, saranno sul palco un’orchestra dal vivo di 12 elementi e 24 acrobati, trampolieri e ballerini che animeranno la scena dall’inizio alla fine. “Sono emozionata per questo ruolo, il più dolce di tutto il musical che può rischiare di non essere interpretato bene. Ma essere Maddalena vicino a Neeley, è facile. Di Maddalena mi piace che all’inizio si avvicina a Gesù come è abituata, in maniera carnale, e quando lui non risponde in modo carnale, si sente donna. Partecipare a questo musical è come una ricerca per se stessi” ha dichiarato la Molinari, mentre Shapiro ha affermato: “Ho visto Jesus Christ Superstar a teatro nel 1978 poi ho visto il film al cinema ed era più compiuto. Secondo me è un segno di speranza, il racconto della più grande storia mai raccontata. Massimo è riuscito a ridare quell’innocenza del teatro, mitigando la tecnologia. Non cade nella trappola hollywoodiana. Sono felice di essere qui“.
“A Broadway protestavano tutte le sere, e la gente riempiva l’intera strada, bloccando il traffico della zona. Mi avvicinavo alla gente chiededogli se avvesero visto lo spettacolo e mi dicevano di no. Quindi chiedevo di entrare come loro ospiti e dirgli poi cosa non gli fosse piaciuto. Poi tutti lo hanno amato e sono tornati anche con amici a vederlo più volte. Questi fenomeni sono avvenuti anche in altri posti negli Stati Uniti e ha aumentato la nostra soddisfazione. Ho avuto una grande opportunità, di fare delle ricerche in questi anni. Ho imparato le storie della Bibbia da bambino, in Texas c’erano Chiese ovunque. All’età di 10-12 anni ero un’autorità sull’argomento, per la mia generazione. Ho consultato i testi del Mar Morto, il Vangelo agnostico e tante nuove fonti per crescere in questo senso. Quindi ho approfondito l’interpretazione del mio personaggio. Essere qui è la ciliegina sulla torta. Ringrazio Massimo Piparo” ha concluso Ted Neeeley, confermando la grande attesa che ruota intorno a questo spettacolo, prodotto dalla Peep Arrow Entertainment e per la prima volta in Europa.
Cinema e Cultura
Il film che ha fatto diventare vegetariano Guillermo Del Toro
Rivedendo un vecchio documentario del 2003 abbiamo catturato una rivelazione del regista Guillermo Del Toro che ci ha fatto sorridere. Volevamo condividerla con voi perchè forse non l’avete mai sentita.
Il documentario in questione è opera di Mike Mendez e Dave Parker all’interno del progetto Masters of Horror dedicato a esplorare i maestri del genere che hanno lasciato un segno nella storia del cinema del brivido.
Nell’estratto video pubblicato su YouTube proprio da Mendez, si parla di Tobe Hooper e del suo capolavoro che non passa mai di moda, Non Aprite quella Porta.
La rivelazione di Guillermo Del Toro
Un cult degli anni 70 a cui sono seguiti altri film dando vita a una saga molto amata, oltre che remake più moderni. Uno tra gli slasher movie più visti e analizzati dagli appassionati che ha influenzato anche alcuni lungometraggi che sono usciti dopo.
“Uno dei film che ha avuto un impatto pratico sulla mia vita è stato Non Aprite quella Porta. Dalla prima volta che l’ho visto per quattro anni sono stato totalmente vegetariano, non mangiavo più carne. Poi un giorno mangiai tre polli interi in un solo pasto e sono tornato come prima” afferma Del Toro che appare nel documentario tra i professionisti del cinema intervistati.
Del Toro ha costruito gran parte della sua filmografia sul fantasy horror, con molti mostri inquietanti, storie misteriose, sangue e una buona dose di surreale. Tuttavia i registi spesso prendono ispirazione da colleghi e artisti per stimolare la loro creatività.
Non Aprite quella Porta torna al cinema: le date ufficiali
Non Aprite quella Porta torna al cinema per festeggiare i 50 anni del cult di Tobe Hooper che ha fatto venire gli incubi al pubblico e agli addetti ai lavori per anni. Il 23, 24 e 25 Settembre sarà possibile rivedere questa avventura spaventosa sul grande schermo grazie a Midnight Factory.
Gossip
Il dramma di Colin Farrell: la sua famiglia ha esigenze speciali
La rivelazione è arrivata all’improvviso, la famiglia di Collin Farrel ha esigenze alquanto particolari. Ecco quello che in pochi sanno.
Collin Farrel classe 1976, probabilmente uno degli attori di Hollywood più apprezzati di sempre. Un talento eccezionale il suo, che lo ha portato ad interpretare un gran numero di ruoli differenti. Attore irlandese ha preso parte a pellicole veramente iconiche come Miami Vice, ma anche L’inganno, Il sacrificio del cervo sacro e molte altre ancora.
Nato a Dublino, viene da una famiglia molto numerosa, considerando che è l’ultimo di 4 fratelli. Il papà era un noto calciatore degli anni ’60. Insieme ai genitori, alle sorelle e al fratello, quando aveva appena 10 anni si è trasferito a Castleknock un quartiere residenziale dell’Irlanda. La mamma decide di iscriverlo a un corso di danza, anche se lui nutre il desiderio di diventare un calciatore proprio come il papà.
A 17 anni poi, decide di fare il primo provino e da quel momento in poi parte il suo grande successo come attore. Una personalità di spicco nel mondo del cinema mondiale, con una carriera che gli ha riservato non pochi successi. Impegnato sul fronte sociale è il portavoce delle Special Olympics.
La spinta verso il sociale Collin Farrel la riceve dall’interno della sua famiglia. Ecco poi quello che in pochi sanno.
La famiglia di Collin Farrel con esigenze speciali
Difficilmente Collin Farrel rilascia interviste e soprattutto con molta difficoltà parla della sua vita privata. All’interno della sua famiglia Collin Farrel vive un problema non indifferente e forse proprio questo lo porta ad essere particolarmente vicino alle problematiche sociali che possono vivere le altre famiglie.
Probabilmente sono in pochi a conoscere questo aspetto dell’attore. L’attore nel 2003 ha avuto il suo primo figlio, James. Adesso il ragazzo ha quasi 21 anni ma la sua malattia lo porta ad aver bisogno di un’assistenza particolare. Infatti James soffre della Sindrome di Angelman.
Un duro colpo per l’attore
Non è stato semplice per lui e la modella Kim Bordenave con cui aveva una relazione, accettare la diagnosi che ha toccato il loro primo figlio. Un problema che ha portato l’attore a smettere di bere, per essere un padre presente. Una decisione indispensabile per riuscire ad essere un buon papà per il ragazzo.
La malattia che ha toccato la famiglia Farrel è un raro disturbo genetico che comporta un ritardo nello sviluppo psicomotorio. Proprio da questa esperienza è nata la Colin Farrell Foundation. “Non voglio far sembrare che io sia il padre perfetto, faccio casini a destra e a manca ma almeno devi essere presente per fare casini, quindi ci sono e sì, sono due cose collegate. La mia sobrietà e i miei figli…”.
Festival
Venezia 81 | il nostro commento ai premi e a questa edizione del festival
Si può essere finalmente felici del Leone d’Oro vinto da Pedro Almodóvar per il suo primo lungometraggio in lingua inglese.
Dopo una carriera paragonabile a poche altre, all’età di 75 anni, ha vinto il suo primo premio principale in uno dei grandi festival del mondo (nonostante i tanti film eccellenti e i capolavori di quest’ultima fase della sua filmografia, come per esempio Dolor y Gloria, premiato a Cannes “solo” con la Palma a Banderas per miglior attore”).
Il fatto che questo premio sia arrivato per La stanza accanto, un film bello, unico, che affronta con luminosa frontalità il tema dell’eutanasia, non è che un ulteriore elemento di cui essere contenti. Al di là dell’indiscutibile valore de La stanza accanto, però, tutto era già stato ampiamente previsto, preso atto della qualità medio-bassa del Concorso di quest’anno e della presenza di un unico vero altro contendente al Leone d’Oro: l’epopea di The Brutalist immaginata da Brady Corbet, uno degli autori che – va riconosciuto – il festival di Venezia ha cullato fin dall’inizio, con il folgorante esordio de L’infanzia di un capo.
Corbet, alla fine, si è dovuto “accontentare” del Leone d’Argento per la miglior regia, scavalcato nel palmarès da Vermiglio di Maura Delpero (alla sua seconda opera), che si è inaspettatamente – ma meritatamente – aggiudicato il Gran premio della giuria: uno dei cinque titoli italiani in Concorso, probabilmente l’unico, insieme a Queer di Guadagnino, capace di convincere e arrivare anche ad un pubblico straniero.
Luca Guadagnino, nonostante sia tornato a casa a mani vuote con la sua audace trasposizione di Burroughs (che, evidentemente, ha diviso la giuria guidata da Isabelle Huppert), si può dire comunque soddisfatto per la vittoria di April di Dea Kulumbegashvili, di cui è co-produttore.
Il lungometraggio della giovane regista georgiana ha ricevuto il premio speciale della giuria (quello che generalmente viene riservato a opere più “sperimentali” e meno canoniche) ed è stato forse uno dei pochissimi titoli del Concorso a creare un vero e proprio dibattito. Il resto, infatti, è passato sotto gli occhi degli spettatori senza suscitare grandi emozioni (positive o negative che fossero), fatta eccezione per Joker: Folie à Deux, che inevitabilmente ha catalizzato moltissime attenzioni, non troppo lusinghiere, e suscitato legittimi dubbi sulla sua collocazione in Concorso.
Come ormai avviene da diversi anni, molto più appassionanti e discusse sono state le visioni fuori concorso di Baby Invasion di Harmony Korine e di Broken Rage di Takeshi Kitano (arrivato al festival all’ultimissimo momento utile e per questo, a quanto pare, non in competizione).
Eppure la vera sezione che quest’anno ha realmente galvanizzato il pubblicato è stata quella dedicata alle serie televisive: Disclaimer di Alfonso Cuarón e M – Il figlio del secolo sono state, a detta di tutti, le cose più audaci e interessanti del festival, capaci di entusiasmare molto più dei film in Concorso. Anche Families like ours di Vinterberg e The New Years di Sorogoyen, se pur ad un livello inferiore, sono comunque state seguite, apprezzate e commentate molto più di tanti altri lungometraggi.
Più che un sintomo dello stato del cinema, forse, un sintomo dello stato della Mostra del Cinema. I festival, ovviamente, si fanno con i film che ci sono, e l’andamento delle varie edizioni dipende da cosa è stato prodotto durante l’anno, da cosa c’era a disposizione e dalle trattative con le distribuzioni.
Ma l’impressione, specialmente dando un’occhiata alla line-up degli altri festival della stagione come Telluride e Toronto, è che quest’anno sia sfuggita più di un’occasione. A Venezia, ad esempio, non si sono visti titoli molto attesi come: Eden di Ron Howard, The End di Joshua Oppenheimer, K-Pops! di Anderson .Paak, The Life of Chuck di Mike Flanagan e Relay di David Mackenzie, solo per citarne alcuni.
Persino autori spesso di casa alla Mostra del Cinema, come Uberto Pasolini e Mike Leigh, quest’anno sono finiti altrove. E come accaduto lo scorso anno, quando la première fuori dal Giappone de Il Ragazzo e l’Airone fu ospitata a Toronto e non a Venezia, anche stavolta il festival canadese ha deciso di accogliere uno dei film d’animazione più attesi: The Wild Robot di Chris Sanders.
Decisamente più breve e lineare il commento sulle Coppe Volpi. Considerando il peso di Isabelle Huppert (e il suo temperamento tutt’altro che conciliante), presidente di giuria e unica attrice, insieme alla cinese Zhang Ziyi, tra i giurati, è facile pensare che la scelta sia stata quasi esclusivamente in capo a lei, che ha deciso di premiare il connazionale Vincent Lindon per Jouer avec le feu (film molto tradizionale che si regge tutto sulle spalle dell’attore) e, in maniera molto controversa, Nicole Kidman per Babygirl, uno dei film che più ha polarizzato il giudizio degli spettatori (l’attrice, inoltre, non è tornata al Lido per ritirare il premio a causa della morte improvvisa della madre).
Insomma, quest’anno, nella “competizione” tra festival, la Mostra del Cinema di Venezia non è sicuramente quella che ne esce meglio in termini di qualità e varietà della propria proposta, specialmente se si ripensa al Concorso, quello davvero eccezionale, dello scorso Festival di Cannes.
La speranza, per lo meno, è che questo palmarès così atipico possa almeno avvantaggiare al botteghino film come Vermiglio, in arrivo il 19 settembre nelle sale italiane. Un film non propriamente mainstream che può godere adesso di rinnovata attenzione dopo la vittoria al festival, così come The Brutalist, che, forte del premio alla regia e delle buone recensioni ottenute, potrebbe suscitare la curiosità del pubblico nonostante la durata (3 ore e mezza).
-
Festival5 giorni ago
Venezia 81: Queer, conferenza stampa | Guadagnino: “Chi siamo quando siamo da soli”
-
Festival4 giorni ago
Venezia 81 | Horizon: Capitolo 2, prosegue l’epica e ambiziosa saga di Kevin Costner
-
Festival4 giorni ago
Venezia 81 | Los años nuevos di Rodrigo Sorogoyen è una delle serie migliori dell’anno
-
Festival4 giorni ago
Venezia 81: Takeshi Kitano fa ridere il festival con il nuovo Broken Rage
-
Festival4 giorni ago
Joker: Folie à Deux, un film con le idee molto chiare sul suo protagonista, ma non basta
-
Festival1 settimana ago
Venezia 81: The Order, la recensione | Credere in un’idea sbagliata può portare al fanatismo più devastante
-
Recensioni2 giorni ago
Love Lies Bleeding, la recensione | Inseguendo un sogno di libertà
-
Festival5 giorni ago
Venezia 81: The Brutalist, uno dei film favoriti per la corsa al Leone d’Oro