Julieta, la recensione del nuovo dramma femminile di Pedro Almodovar

Applausi poco convinti a Cannes per il nuovo film di Pedro Almodovar, Julieta, che sarà nelle sale italiane dal 26 Maggio 2016. La Spagna lo ha visto in anteprima con scarso successo, anche a causa dell’influenza della questione dei Panama Papers che ha coinvolto direttamente il regista spagnolo e suo fratello. “La stampa spagnola ci ha descritto come protagonisti di questa vicenda, ma in realtà siamo state solo delle comparse” ha spiegato Almodovar durante la conferenza stampa del film. Adriana Guerte ed Emma Suarez sono due volti della stessa donna, protagonista di un dramma al femminile che si sviluppa nell’arco di due filoni temporali tra passato e presente.

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Julieta è una professoressa di liceo che ha perso tutti i contatti con la figlia da molti anni. Quando, per le strade di Madrid, incontra una vecchia amica della ragazza, prendono nuovamente vita i ricordi e la nostalgia, e la donna comincia a scrivere una lunga lettera, ripercorrendo la sua storia familiare dal concepimento alla separazione. Almodovar è sempre stato affascinato dall’universo femminile, e anche in questa occasione costruisce l’intera storia intorno ad una donna vulnerabile e vittima di una serie di eventi intensi e dolorosi. L’idea del film viene da tre racconti brevi della scrittrice Premio Nobel Alice Munro, adattati per il grande schermo dal regista di capolavori come Tutto su Mia Madre e Parla con Lei. Ma questa volta il risultato non è convincente. La struttura narrativa è sconnessa e più simile a quella di una telenovela, anche se El Pais ha riconosciuto la sceneggiatura come “una delle migliori di Pedro Almodovar”. Il film risulta alquanto superficiale e approssimativo, presentando questo rapporto madre-figlia in cui l’amore si trasforma bruscamente in mancanza di fiducia e rancore. La protagonista che soffre per il dolore della perdita e una sindrome graduale di abbandono, sembra essere l’unica in grado di emozionarsi ed emozionare, mentre gli altri personaggi sembrano freddi ed impassibili togliendo intensità al film. Il cinema di Almodovar si riconosce nella fotografia accesa di tinte estreme con una predominanza di rosso e blue che sottolinea ancora una volta l’esplicita influenza della cultura pop e degli anni ’70 che hanno formato l’autore. Ma la formula del cosiddetto “almodramma” non trova la sua realizzazione seguendo una serie di regole sbagliate e imperfette. Negli ultimi anni Almodovar sembra aver dimenticato l’intensità e lo spessore di un cinema d’autore riconosciuto, ma speriamo che presto possa ritrovare la creatività e l’ispirazione per tornare al suo stile unico ed irresistibile.

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