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Il nuovo film di Xavier Dolan, La mia vita con John F. Donovan, esordio “americano” di un giovane regista che ha fatto proprio dello sguardo “adolescenziale” sull’esistenza il marchio di fabbrica del suo cinema (tutti i personaggi, anche quelli adulti, sembrano vivere le proprie vicende con quei sentimenti inarrestabili che caratterizzano, e spesso fagocitano, i ventenni), comincia attraverso un’intervista condotta da una rigida giornalista, che vorrebbe trovarsi altrove pur di non dover scrivere l’articolo che le è stato assegnato, con uno scrittore che ha appena pubblicato in un libro la sua lunga corrispondenza epistolare con il divo John F. Donovan, morto prematuramente all’età di 29 anni. Nei film di Dolan c’è sempre un “personaggio terzo”, ovvero uno che a prima vista non sembra avere la necessità di urlare i propri sentimenti come invece fanno tutti gli altri protagonisti, che gridano e alzano la voce per rimarcare la propria presenza in scena. È un personaggio che solitamente si trova nella posizione più scomoda possibile, fra le tensioni opposte degli altri comprimari. Osserva dall’esterno e assorbe tutte le emozioni che si riversano su di lui, restituendole allo spettatore e comunicando ciò che gli altri trattengono. In questo caso, il “personaggio terzo” è proprio la giornalista interpretata da Thandie Newton, in grado, come Marion Cotillard in È Solo La Fine Del Mondo, di inventare espressioni di impossibile descrizione, che sarebbero fuori contesto in un qualsiasi altro film non diretto da Dolan.

Il tema principale de La mia vita con John F. Donovan è l’impossibilità di raccontare se stessi se non in relazione con gli altri. Come la lunga intervista di Rupert Turner è per definizione dipendente dal personaggio di Donovan (senza di lui l’intera narrazione non esisterebbe) ma anche dall’interlocutrice che lo sta ascoltando (senza la quale non esisterebbe l’intervista), così le lettere dell’attore interpretato da Kit Harington svelano i segreti della sua identità sempre mettendo il ragazzo in relazione con le persone che lo circondano (la madre, come avviene in tutti i film di Dolan, il fratello, gli amanti e ovviamente i fan). Pur essendo di fatto un “cinema di solitudine”, nel cinema di Dolan (e specialmente in questo film) sembra impossibile immaginare i personaggi realmente soli, perché sempre circondati da persone con le quali (volenti o nolenti) devono interagire. Avendo a disposizione un cast di prim’ordine (ma all’appello manca Jessica Chastain, eliminata totalmente in fase di montaggio), Dolan si prende la libertà di indugiare anche per minuti interi sui loro volti, isolandoli dal contesto e mostrandoceli soli. Ma è solo un trucco cinematografico.

Pur essendo chiara “exploitation” d’autore, La mia vita con John F. Donovan, nonostante i numerosi difetti e la produzione travagliata, evidente dal montaggio parecchio farraginoso, è un passo falso di un regista che firma forse il suo film più sincero, dal quale emerge una chiara difficoltà ad accettare la propria età, che per tutti i personaggi rimane spesso oggetto di mistero o di dissimulazione. Donovan, quasi trentenne, interpreta sul piccolo schermo un ragazzo di 17 anni, e l’età attribuita nel film al piccolo Rupert (Jacob Tremblay) viene messa in discussione persino da alcuni personaggi del film (a causa della sua capacità di linguaggio e di scrittura, inusuale per un bambino di quell’età). Dolan rifiuta quindi la precisione dei dati anagrafici, alla quale preferisce l’indeterminazione e l’incertezza degli slanci emotivi, quelli che in ogni occasione guidano personaggi che sembrano poter legittimare i propri sentimenti solo esprimendoli platealmente.

Kit Harington, pur non brillando per capacità di adattamento a ruoli molto complessi, riesce ad aderire ad un personaggio che (per sua fortuna) può esistere solo in un film di Dolan. Uno che per comunicare un sentimento (l’amore, ad esempio) deve necessariamente esprimere quello opposto (l’odio). Nel cinema di Dolan, la recitazione degli attori segue regole non applicabili ovunque, ma solo in quel determinato contesto ideato dal regista, nel quale i protagonisti procedono sempre nella direzione contraria a quella che solitamente si sceglierebbe per raggiungere determinati obiettivi o per esprimere determinate emozioni. La mia vita con John F. Donovan è l’opera di un Dolan ipertrofico, incapace di gestire la materia a sua disposizione (rifugiandosi spesso nella reiterazione dei suoi segni distintivi, che però perdono di significato e potenza) e di sporgersi sull’abisso del patetismo melodrammatico senza lasciarsi inghiottire da esso. Ma si tratta comunque di un passaggio forse necessario per la carriera di un regista dall’innegabile (quanto precoce) talento. Anche le cadute servono. 

La mia vita con John F. Donovan, la recensione del film di Dolan con Kit Harington
3.3 Punteggio
Pro
Imperfetto ma sincero, Realmente commovente in alcuni momenti
Contro
Sceneggiatura confusa, Evidenti problemi di montaggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

 

 

Recensioni

Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri | una action comedy divertente come una serata tra amici

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Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri | una action comedy divertente come una serata tra amici
3.6 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora
Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves

Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves

Il nuovo film dedicato al gioco da tavolo Dungeons & Dragons torna alla vera essenza di quel fenomeno, ovvero la dimensione goliardica e festosa di una serata tra amici, e allo stesso tempo riesce a dire qualcosa di molto serio sul tentativo del cinema americano di creare universi paralleli in cui rifugiarsi per evadere da quello reale.

Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri è uno di quei film anni ’80 in cui l’umorismo conta più dell’azione. Uno di quelli in cui i personaggi principali sembrano uscire da situazioni difficili e rischiose sempre attraverso la soluzione più ridicola e non quella più coraggiosa o eccitante.

Una scena di Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves (fonte: IMDB)

Una scena di Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves (fonte: IMDB)

Non deve sorprendere, considerando i precedenti lavori di Jonathan Goldstein e John Francis Daley, già registi di Game Night e sceneggiatori di Spider-man: Homecoming e Piovono Polpette 2: autori dalla scrittura ironica e precisa, specializzati in action comedy che qui, al primo film con un budget davvero sostanzioso, non tradiscono le aspettative e consegnano un film che torna alla vera essenza del gioco da cui trae ispirazione.

La chiave di tutto è comprendere che il mondo di Dungeons & Dragons è decisamente più rilevante della storia che si svolge al suo interno. D&D ha avuto successo perché i suoi giocatori erano interessati al viaggio e non tanto al risultato finale delle loro peripezie. È un sistema di gioco che le persone hanno amato per decenni, anche senza il bisogno di una tavola o del monitor di un computer davanti: è innanzitutto un passatempo tra amici, un pretesto per condividere qualche ora di scemenze gloriose ed esilaranti. Ed è esattamente quello che fa L’Onore dei Ladri.

Chris Pine è in forma smagliante nei panni del bardo-avventuriero Edgin Darvis, leader di un clan di irresistibili ladri. Al suo fianco c’è Holga (Michelle Rodriguez), una barbara dalla grande tenacia e determinazione. Li incontriamo già imprigionati dopo un fallito tentativo di rapina. Non sono cattivi, di per sé, comunque il viaggio che li attende li condurrà a mettere in discussione la propria etica.

Dungeons & Dragons | tra avventura e commedia

Lungo la strada, si alleano con uno stregone (Justice Smith) e un druido (Sophia Lillis, che ruberà probabilmente il cuore di ogni appassionato giocatore), e sul loro percorso incontreranno vari nemici, maghi, paladini, guerrieri non morti, draghi obesi, bestie improbabili, illithid, impostori e lurker.

Una scena di Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves (fonte: IMDB)

Una scena di Dungeons & Dragons: Honor Among Thieves (fonte: IMDB)

Uno dei tocchi brillanti in sceneggiatura è quello che costringe questa variamente assortita combriccola a divagare dall’obiettivo principale per impelagarsi in tantissime missioni secondarie sempre più bizzarre. L’obiettivo principale è quello di salvare la figlia di Edgin, Kira (Chloe Coleman), imprigionata nella torre del castello.

Ma, per farlo, avranno bisogno di un oggetto magico, che è nascosto in un caveau, ma per entrare nel caveau avranno bisogno di un elmo incantato, ma per ottenere l’elmo dovranno ingegnarsi con un po’ di negromanzia, ma per farlo… e così all’infinito.

In questo modo, Dungeons & Dragons: L’Onore dei Ladri trova la sua dimensione ideale: quella di un enorme gioco cinematografico che invita il pubblico a passare due ore di spensieratezza con lui, accettando, proprio come avviene in una sessione del gioco di ruolo, le imprecisioni, le ingenuità, le soluzioni grossolane, le scelte non propriamente razionali che si prendono solo per provare ad alzare ancora di più l’asticella del divertimento.

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Louis Tomlinson. All of Those Voice: dagli 1D alla carriera solita | La recensione

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louis tomlinson

La locandina di Louis Tomlinson. All of Those Voices

Louis Tomlinson. All of Those Voices | Dagli 1D alla carriera solita: recensione in anteprima del film evento
3.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

In anteprima al cinema, in contemporanea all’evento mondiale, mercoledì 22 marzo 2023, Louis Tomlinson. All of Those Voices è l’atteso film-documentario incentrato sulla storia e sulle vicende di uno dei membri degli amatissimi One Direction. Distribuito da Nexo Digital, il film torna in sala il 25 e il 26 marzo.

Ripercorrendo le tappe che lo hanno condotto dalla giuria di X-Factor ai palcoscenici di tutto il mondo, Louis Tomlinson si racconta e si svela davanti alla macchina da presa. Ne risulta un viaggio emozionante, pieno di sorprese e di messaggi positivi.

louis tomlinson

Louis Tomlinson – Fonte Foto: Ansa

Diretto da Charlie Lightening, già regista di As It WasLouis Tomlinson. All of Those Voices porta i fan a distanza ravvicinata dalla figura dell’artista. Originario di Doncaster, classe 1991, Louis ha fatto parte, per cinque anni, di una delle boyband più fenomenali di sempre.

Era il 2010, quando i giudici di X-Factor decisero di unirlo a un gruppo di altri ragazzi – Niall Horan, Zayn Malik, Liam PayneHarry Styles – donandogli una nuova, irripetibile e imperdibile, occasione.

Da quel momento, il nome One Direction è entrato nelle case di milioni di persone, creando un vero e proprio fenomeno mondiale. Album venduti, classifiche scalate, concerti sold out. La realtà dell’allora diciannovenne Louis è cambiata per sempre.

Louis Tomlinson. All of Those Voices | Il racconto post One Direction

Nonostante il successo, la fama e le soddisfazioni, il percorso della boyband si è concluso sin troppo presto, lasciando in Louis sentimenti complessi e contraddittori. Il documentario mostra bene quanto il ragazzo abbia sofferto in seguito alla decisione di sciogliere il gruppo.

Dopo la fatica nel tentativo di trovare un suo posto all’interno della band, veder cancellato tutto il lavoro e le possibilità lascia una sensazione di amarezza, delusione, smarrimento. Circondato da amici sinceri e da una famiglia numerosa e molto unita, Louis ritrova la sua strada.

Ma non mancano le difficoltà, lungo il percorso, attraverso le quali è facile comprendere la grande umanità che lo caratterizza. Louis Tomlinson appare un giovane come tanti, con un sogno e con un dono, ma anche con delle qualità da non dare per scontate.

Un omaggio che è anche un regalo

Umile, sensibile, riconoscente e generoso, l’artista sa bene quali sono i valori da onorare e tramandare. Il progetto diviene così, al tempo stesso, un omaggio alla figura di un giovane cantautore e un regalo fatto ai fan, che hanno la possibiltà di conoscerlo più a fondo, di scoprirne il lato più intimo, e di entrarvi, se possibile, ancora più in sintonia.

Le vicende di Louis Tomlinson fanno riflettere su quanto sia importante creare legami veri, basati sulla condivisione e sulla fiducia, su come il successo non sia esattamente alla portata di tutti, ma bisogna guadagnarselo, senza mai dimenticare le responsabilità e la gratitudine nei confronti di chi lo sostiene. Godiamocela finché dura.

Usando filmati casalinghi, interviste e backstageLouis Tomlinson. All of Those Voices racconta una storia emblematica ed emozionante, dai quali i fan rimarranno estasiati. Ma attenzione, anche chi ha poca dimestichezza con gli One Direction e con una simile realtà, potrà trovare spunti non indifferenti.

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Recensioni

Un fantasma in casa: la recensione del nuovo film con David Harbour

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un fantasma in casa

David Harbour e Anthony Mackie in Un fantasma in casa

Un fantasma in casa: la recensione del nuovo film con David Harbour
3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Disponibile su Netflix e diretto da Christopher Landon, Un fantasma in casa è una divertente commedia, a metà tra l’horror e il sovrannaturale, con David Harbour protagonista. La pellicola si basa sul racconto breve di Geoff Manaugh, intitolato Ernest.

Sulla falsariga di film come Sospesi nel tempo e S.O.S. fantasmiUn fantasma in casa riprende le suggestioni del passato e le adatta ai tempi moderni. Gli elementi classici, alla base di progetti come questo, ci sono tutti.

un fantasma in casa

Erica Ash e David Harbour in una scena di Un fantasma in casa

A partire da una casa infestata, un evento tragico che ha scatenato l’apparizione del fantasma, una famiglia ignara che si ritrova, suo malgrado, a fare i conti con la presenza sovrannaturale, una risoluzione dal quale trarre conclusioni non scontate.

Come appare chiaro, la nuova proposta di Netflix sfrutta la popolarità dei nomi del cast: in primis quello di David Harbour, amatissimo protagonista di Stranger Things, a cui si affiancano il supereroe Marvel, Anthony Mackie, e la star di The White Lotus, Jennifer Coolidge.

Una piccola curiosità riguarda la scelta di Harbour per la parte del fantasma. Pare, infatti, che l’attore abbia accettato di buon grado, ma non senza timori, la sfida di interpretare un ruolo che non prevedeva l’uso della parola.

Un fantasma in casa | La trama del film su Netflix

Un anno dopo la fuga dei precedenti proprietari, la famiglia Presley finisce per trasferirsi in una casa molto accogliente, luminosa, ampia, ma popolata da un fantasma di nome Ernest (Harbour). Se il figlio maggiore, Fulton (Niles Mitch), sembra adattarsi molto facilmente, anche grazie al suo inseparabile smartphone, per il minore, Kevin (Jahi Winston) le cose non vanno così lisce.

un fantasma in casa

Jahi Winston, Isabella Russo e David Harbour in Un fantasma in casa

In seguito all’ennesima discussione con il padre (Mackie), il ragazzo sale in soffitta, deciso a esplorare la sua nuova abitazione e, probabilmente, a trovare uno spazio che sia solo suo. Qui fa il suo primo incontro con Ernest. Ma, piuttosto che esserne spaventato, l’apparizione lo diverte molto e gli fa perdere di vista la rabbia nei confronti del genitore.

È così che si instaura tra i due un rapporto di amicizia e confidenza, che spingerà poi Kevin a scoprire la storia di Ernest, di modo da potergli dare finalmente un po’ di pace e liberarlo dalla sua prigionia.

Dalla commedia ai temi importanti

Un fantasma in casa parte dall’essere una semplice commedia, per arrivare a parlare di tematiche più importanti. Un esempio su tutti è, senza dubbio, il discorso della famiglia, della genitorialità e del rapporto tra padre e figli. Non a caso, lo stesso Ernest si rivelerà, nel corso della narrazione, un padre a sua volta.

Quando nasce un figlio, cambia completamente la percezione di colui o colei che diventa genitore, Da quel momento, ogni gesto, pensiero e decisione verrà guidato dal desiderio di proteggere e rendere felice. Ma non è sempre tutto così immediato e naturale.

L’amicizia tra Ernest e Kevin non fa che mettere in luce alcune delle difficoltà affrontate sia dall’adulto che dal teenager. Il punto di incontro esiste, ma servono tanto impegno, pazienza e volontà, per raggiungerlo e renderlo stabile.

L’horror che diverte

Mentre si parla di famiglia e si mostrano le dinamiche all’interno di una casa all’apparenza serena, la storia va avanti anche seguendo la linea thriller. Ed è, forse, questa commistione a rendere il progetto godibile e accattivante da diversi punti di vista.

Da non sottovalutare, inoltre, l’utilizzo degli effetti speciali, che permette di giocare con i generi cinematografici in maniera piuttosto intelligente. Punte di horror vengono toccate in alcuni (pochi) momenti, e ricordano cult come La morte ti fa bella. Ovviamente, a farla da padrona è la chiave comica, sebbene si apprezzino simili inserti.

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