Dopo alcuni film indipendenti come Kill Your Darlings, Silent House o La Fuga di Martha, la giovane attrice Elizabeth Olsen è stata coinvolta in grandi produzioni come The Avengers: Age of Ultron, nel quale interpreta Scarlet Witch, e il recente Godzilla diretto da Gareth Edwards. In questo film, nelle sale italiane dal 15 Maggio, la Olsen è una infermiera sposata con un soldato (Aaron Taylor-Johnson) e madre di un bambino di quattro anni, che vive a San Francisco, quando la gigantesca creatura comincia a minacciare l’incolumità degli esseri umani, compresa la sua piccola e preziosa famiglia. L’attrice ha raccontato alla rivista Screen Rant alcuni dettagli della sua esperienza sul set di questo film, ricco di effetti speciali e con un cast di alto livello che comprende Bryan Cranston, Ken Watanabe, Juliette Binoche e Aaron Taylor Johnson.
E’ la prima volta che lavori con il CGI?
Sì, assolutamente. La prima volta che lavoro in questo modo, anzi, non avevo nemmeno il green screen, ma solo una linea da seguire con gli occhi e l’immaginazione.
Quando eri sul set con Joss (Whedon) ti sentivi come una professionista? Quale differenza hai riscontrato tra quel film e Godzilla?
In Godzilla la differenza è che dovevo reagire a qualcosa che non esisteva, mentre in The Avengers interagisco con qualcosa e qualcuno. Questa per me è la differenza principale.
C’è un modo diverso di recitare in un monster movie rispetto ai film indipendenti e low budget?
In realtà, non abbiamo fatto così tante scene. Gareth proviene dallo stesso tipo di film che ho fatto io, quindi non ho davvero mai sentito quella sensazione di essere fuori luogo. Penso a questa esperienza come due grandi sfide: una è stata lavorare con un bambino. L’altra sono stati gli aspetti tecnici di un lavoro con tanti effetti speciali, quindi la tempistica e il movimento della fotocamera, e trovare la libertà in questo.
Per parlare un po’ di più di questa esperienza sul set con un bambino, puoi dirci meglio come hai creato con lui un legame o altri dettagli?
Certo. Avevamo un bambino di quattro anni che interpretava un bambino di quattro anni. Infatti Carson [Bolde] e sua madre e io abbiamo iniziato a scambiarci email già prima di essere a Vancouver. Poi sono stata con lui tutti i giorni. E’ stato molto facile, è un bambino molto estroverso, e quindi è stato molto facile relazionarsi con lui, abbiamo giocato molto. Penso che Aaron [Taylor-Johnson] ha fatto il contrario, in realtà, perché non è riuscito a vederlo spesso [nel film]. E quindi lì c’ è stata molta improvvisazione. Tuttavia per quanto mi riguarda, mi piacerebbe farlo di nuovo.
Com’ è muoversi dalla setta indie e affrontare grandi franchise come The Avengers e Godzilla, e passare quindi dall’altra parte della barricata? Come descriveresti questa esperienza?
E’ stato incredibile fare interviste di gruppo con persone che sono di una generazione diversa dalla mia. Con Bryan [Cranston] e Ken [Watanabe]. Soprattutto il punto di vista di Ken, il modo in cui parla di Godzilla con tanto amore, poiché è parte della cultura del suo paese. E rappresenta qualcosa di molto più grande di quanto non sia per la cultura americana. Anche per Bryan, era il suo film preferito da bambino. Quindi io mi sono sentita come se non fossi cresciuta con la generazione che ha amato Godzilla. Per esempio mi è piaciuto Star Wars. Quello è stato il mio Godzilla, suppongo. Ed è fantastico essere parte della storia. Soprattutto per questo film, perché siamo stati supportati dalla Toho, dalla società di produzione originale.
Come è Gareth con gli attori? Come è stato lavorare con lui?
Beh, io penso che la grande forza di Gareth sia proprio la sua capacità di lavorare con il cast, e far convivere la narrazione con la grande dose di effetti speciali. Penso spesso che, quando si fanno questi grandi film, film d’azione, tutto ciò che ha a che fare con gli effetti speciali, è difficile ottenere grandi storie, e trovare professionisti che riescono a guidare bene i personaggi nella storia. Gareth viene dal mondo degli effetti speciali, ma ama anche le parti narrative. Invece di lavorare in una società di produzione, ha lavorato per una società di effetti speciali, e così ha avuto fiducia sia nella parte visiva, che nel lavoro con gli attori, facendoli sentire parte della storia. Non mi sono mai sentita sopraffatta o oscurata dagli effetti speciali . Non erano una presenza molto forte o invadente, ma solo un supporto. Penso sia davvero raro questo, quando si lavora con un grande studio cinematografico.
Fonte: ScreenRant