Festival
Parlare di Cinema a Castiglioncello dal 18 al 22 giugno
Parlare di cinema a Castiglioncello, la manifestazione diretta da Paolo Mereghetti che quest’anno si terrà dal 18 al 22 giugno, festeggia la sua nona edizione e per l’occasione propone un programma tutto al femminile. “Dopo che anche la politica si è accorta del peso determinante delle donne e sta correndo ai ripari – dichiara il direttore artistico – resta solo il cinema a fare da fanalino di coda nel riconoscere il ruolo e l’importanza femminile nella nostra fabbrica dell’immaginario”. Relegate per anni in ruoli fondamentali ma “nascosti” (le segretarie di edizione, le montatrici) o usate solo per la loro avvenenza, riducendole spesso a funzioni puramente ancillari, le donne stanno pian piano riconquistando posizioni e riconoscimenti anche nell’industria cinematografica. Una volta le registe in Italia si contavano sulle dita di una mano e per le produttrici non serviva nemmeno quella. Adesso il numero di chi si mette dietro la macchina da presa è in costante aumento, e alcune delle più belle sorprese cinematografiche degli ultimissimi anni sono state prodotte da donne. Per questo Parlare di cinema a Castiglioncello ha deciso di invitare a dialogare col pubblico solo presenze femminili: registe, produttrici e naturalmente attrici, a ricordarci che l’“altra metà del cielo” è sempre più risplendente. La manifestazione prenderà il via martedì 18 giugno con l’inaugurazione della mostra fotografica “Anima Gemella – ritratti di attrici sul set”. Oltre cinquanta immagini – dedicate alle attrici al lavoro in questi ultimi anni – che mettono in luce non solo la bellezza e l’intensità delle protagoniste, ma anche la fatica e l’attenzione che l’impegno di attrice comporta.
Ospite d’onore della giornata sarà Laura Morante per raccontare sia la sua carriera di attrice che il suo esordio dietro la macchina da presa. La manifestazione le renderà omaggio iniziando le proiezioni al Cinema Castiglioncello con “Ciliegine”, da lei diretto e interpretato, e a seguire “Appartamento ad Atene” opera prima del promettente Ruggero Dipaola, in cui è protagonista. Tra i film selezionati, come da tradizione, numerosi sono gli esordi e quest’anno tutti opera prima di donne. Oltre ai due film di apertura verranno proiettati nel corso della manifestazione: lo struggente “Miele” di Valeria Golino, il divertente “Amiche da morire” di Giorgia Farina e “Nadea e Sveta” di Maura Delpero, delicato racconto di due amiche moldave emigrate in Italia per lavorare. Nell’incontro di venerdì 21 giugno dal titolo “Una sola donna al comando: esordire al femminile”, Paolo Mereghetti dialogherà sul tema proposto con Cristiana Capotondi, Maura Delpero, Giorgia Farina, Sabrina Impacciatore e altri ospiti.
Sabato 22 giugno a concludere la manifestazione e ad approfondire il tema sollevato dal direttore artistico si terrà l’incontro dal titolo “Viaggiare Sole – il cinema italiano non è un paese per donne? Dietro le quinte di un’avventura al femminile” in cui Piera Detassis – direttore del magazine di cinema Ciak – affronterà il tema con protagoniste e realizzatrici del film “Viaggio sola” di Maria Sole Tognazzi. Interverranno la regista, la protagonista Margherita Buy e la produttrice Donatella Botti. Infine nel programma, come di consueto, sono previsti incontri di cinema rivolti agli studenti e agli appassionati a cura di Antonello Catacchio. Protagonistiquest’anno saranno il cinema di Lina Wertmüller e un’appassionante lezione dedicata alle professioniste del cinema di Hollywood. Completano il programma alcuni titoli proiettati in seconda serata legati alla retrospettiva “Anima Gemella”: “Appartamento ad Atene” di Ruggero Dipaola (martedì 18, il Dvd sarà in noleggio dal 20 giugno distribuito dalla 30 Holding.); “18 anni dopo” (mercoledì 19); “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini (giovedì 20); “Notte prima degli esami” di Fausto Brizzi (venerdì 21).
Festival
Black Flies: l’incubo urbano di due anime che vagano in una cupa realtà | Recensione

La recensione di Black Flies – Newscinema.it
Abbiamo visto in anteprima Black Flies a Cannes 2023 ed ecco la nostra recensione.
Presentato in concorso al Festival di Cannes 2023, il lungometraggio diretto da Jean-Stéphane Sauvaire si sviluppa in 120 minuti e vede protagonisti Sean Penn nel ruolo di Gene Rutkovsky e Tye Sheridan in quello di Ollie Cross.
Basato sul romanzo di Shannon Burke I corpi neri (2008), segue la storia del giovane paramedico Ollie Cross, il quale accompagna la guardia medica notturna Gene Rutkovsky in giro per le violente strade di New York. Situazioni al limite della sopportazione umana e imprevisti dietro l’angolo, metteranno alla prova questi due professionali operatori medici, forgiando anche un legame che andrà oltre al normale rapporto tra colleghi.
Black Flies: un thriller compatto
Immediatamente esplosivo e compatto, il film inizia prosegue e si conclude seguendo una linea ansiogena che non lascia modo allo spettatore di concepirlo diversamente. Per tutta la sua durata, questo dramma dalle venature thriller investe intensamente tanto gli occhi quanto le corde emotive di chi guarda.
Ciò che ne esce è principalmente una connessione di anime differenti, capace di crescere ma anche incupirsi. Da un lato c’è un veterano, un mentore scheggiato da traumi ormai radicati nel profondo, mentre dall’altro troviamo la nuova recluta, il novellino che gli farà da partner, mosso da venerazione ed enorme stima nei confronti del capo medico.
Lavorare a testa bassa seguendo il classico percorso di formazione, studiando e imparando sul campo, questo è il destino che Ollie vorrebbe seguire, ma ahimè la vita a volte sceglie per te e lo stravolgimento di trama sarà all’ordine del giorno. Crude realtà, situazioni instabili, un’imprevista ondata di momenti stressanti. Il lungometraggio è capace di definire davvero bene le difficoltà di questo lavoro.

Black Flies – Newscinema.it
Sean Penn e Tye Sheridan strepitosi
Sean Penn e Tye Sheridan risultano perfettamente calati nei panni dei loro personaggi ma ancor più riescono a rendere credibile quel profondo feeling che contraddistingue il rapporto. Varie meteore vagano attorno ad essi, come Michael Pitt dal temperamento impulsivo, carismatico e giustamente odioso e un Mike Tyson, inutilmente sprecato.
Esplicito visivamente e coraggioso nelle tematiche, affronta depressione e sensi di colpa incessanti, strattonandoti con poca gentilezza all’interno di una ragnatela narrativa che si sviluppa tra disturbi interiori. Luci intense, sirene persistenti e un impianto sonoro determinante che sfocia in vette assordanti, riportano allo spettatore il profondo disagio di Ollie.
Un incubo urbano
Se il ritmo da un lato dona identità e definisce un clima solido e ben caratterizzato, il film non si dimentica di controbilanciare, mostrandoci la pace e la calma in un contesto più intimo, riservato, quando Ollie entra in questo limbo staccato dal caos lavorativo, distraendosi nel silenzio dell’amore, tra carezze e silenzi che compensino la frenesia.
Sean e Tye sotto la mano di Jean-Stéphane Sauvaire, trovano dunque lo spiraglio giusto, quella finestra accessibile che li rende le mosche nere del titolo, insetti sporchi che vagano su un mondo di cupe realtà.
Festival
Dall’alluvione in Emilia Romagna a Cannes 2023: il nostro viaggio impossibile on the road (VIDEO)

Dall’alluvione in Emilia Romagna a Cannes – Newscinema.it
Siamo partiti da Ravenna in macchina per raggiungere il Festival di Cannes 2023 e in questo vlog vi portiamo con noi in questa avventura.
Il 19 Maggio 2023 l’Emilia Romagna era nel pieno dell’alluvione e noi dovevamo partire da Ravenna per raggiungere il Festival di Cannes 2023. Ci siamo chiesti per giorni cosa fare perchè molte strade erano chiuse e noi avevamo programmato il viaggio in macchina che, in condizioni normali, si fa in circa sei ore e mezza.
Abbiamo deciso di tentare la sorte e provare in nome della passione per il cinema e per non perdere alcuni giorni di festival tra film, incontri con star e tanto altro. Così siamo partiti in tarda mattinata da Ravenna, cercando di raggiungere l’autostrada. E non è stato facile, come potete vedere dal vlog qui sotto.
Da un cinema trasformato in centro di acc0glienza a Cannes 2023
Siamo partiti in macchina la mattina del 19 Maggio 2023 per arrivare intorno a mezzanotte sulla Croisette dove poi siamo rimasti alcuni giorni per seguire il celebre Festival dedicato al cinema da ormai 76 anni. Il nostro viaggio è iniziato dal Cinema City di Ravenna, trasformato per l’emergenza alluvione in un centro di accoglienza per le persone evacuate e sfollate dai vari piccoli centri intorno alla città.
Un luogo che di solito regala emozioni ed è un rifugio dalla triste e stressante realtà quotidiana, questa volta è diventato un rifugio pratico e confortevole per coloro che avevano bisogno di un posto asciutto e sicuro dove poter sopravvivere e rimettere insieme i pezzi. Da lì abbiamo proseguito finendo in strade completamente sommerse, facendo marcia indietro più volte e provando altre vie per poter andare avanti.
Un viaggio infinito
Un’avventura ricca di imprevisti, pause forzate, traffico, pioggia ininterrotta…alla fine ce l’abbiamo fatta e sul canale YouTube MADROG CINEMA, come sui nostri profili Instagram e TikTok trovate varie foto e video della nostra esperienza a Cannes 76 tra impressioni sui film, incontri con star di Hollywood e tanto altro.
Se ti piacciono i video che trovi sul canale non dimenticare di iscriverti e attivare la campanella così sarai avvisato ogni volta che aggiungeremo un nuovo contenuto. Questo viaggio alla fine è andato bene, ma al posto delle sei ore e mezza previste normalmente per questo tratto ci abbiamo impiegato circa 12 ore. Però per il cinema questo e altro!
Festival
Cannes 76: Killers of the Flower Moon, la degenerazione del gangster movie scorsesiano

Una scena di Killers of the Flower Moon (fonte: Festival de Cannes)
Negli ultimi trent’anni, Martin Scorsese ha indagato con il suo cinema i meccanismi, le dinamiche, gli accordi e le procedure attraverso le quali il crimine funziona come uno Stato dentro lo Stato, regolato da leggi non basate sul diritto ma su un codice specifico che si impara solo crescendo in quel mondo. Anche Killers of the Flower Moon, in un modo o nell’altro, parla di questo.
Nella contea omonima dello Stato dove sono stati costretti a trasferirsi dal governo Usa, contrariamente alle altre tribù di nativi d’America, gli Osage sono diventati ricchissimi grazie ad un accordo che ha lasciato loro i diritti di sfruttamento del sottosuolo gonfio di petrolio. Questi nativi miliardari, scopriremo presto, non controllano però veramente il proprio patrimonio, che viene loro elargito con il contagocce dai «guardiani» bianchi sulla base di richieste motivate e documentate.
A Fairfax, la famiglia Hale fa il bello e il cattivo tempo, organizzando matrimoni di convenienza per accaparrarsi l’eredità degli Osage, ma anche imbastendo improvvisate frodi assicurative e depredando le tombe dei defunti. Insomma, dei ladri di polli la cui superbia, nonché la convinzione di essere antropologicamente superiori agli indigeni con cui convivono, li condurrà progressivamente, finanche inconsapevolmente (essendo gli assassini interessati solo al contingente, incapaci di avere contezza dell’insieme), allo sterminio di una popolazione. La banalità del male, declinata in tutta la sua rozzezza.

Una scena di Killers of the Flower Moon (fonte: Festival de Cannes)
Con il procedere della narrazione, man mano che gli obiettivi della famiglia diventano sempre più sanguinosi e spietati, Killers of the Flower Moon comincia ad assumere le sembianze di un film di Scorsese: gradualmente mette lo spettatore nelle condizioni di riconoscere i movimenti, le soluzioni di montaggio, le inquadrature tipiche del suo cinema. E proprio la riconoscibilità di quel modello renderà evidente la sostanziale differenza tra i gangster che abbiamo conosciuto lungo tutta la sua filmografia e questi gretti e dozzinali arraffoni: la differenza tra forza e potere (capacità dell’uomo di determinare la condotta di altri uomini) e il dominio (la malattia del potere, la malattia della forza).
Tanto il capitale che il potere, quanto più si accumulano senza strutturarsi socialmente, tanto più tendono a scadere in dominio, a porre le condizioni per una realtà umana che risulta generalmente aberrante, inconscia violazione, dilapidare cieco, tragica efferatezza. Killers of the Flowers Moon rappresenta in questo senso la “sclerotizzazione” del modello scorsesiano, imponendosi come potere malato che pretende la dipendenza dei sottoposti, attraverso cui percepiamo la ferocia di ogni singola uccisione o azione criminale: la sua deliberata crudeltà.
Retrospettivamente, quindi, riconosciamo la violenza manifesta e illegale della mafia di Goodfellas o anche di The Irishman come qualcosa di rudimentale, approssimativo, rispetto a quella ideologizzata, agguerrita, sostanzialmente razzista, che viene esercitata nel film dai gruppi dominanti a scapito della popolazione indigena. Diventa così fondamentale l’aspetto “virale” di questa nuova opera, la morte come patologia ereditaria, che diventa contagiosa e si diffonde come un’epidemia nel villaggio, decimandolo nel giro di qualche anno. Il dominio è, in questo senso, un fenomeno parassitario, incapace di vita autonoma ma costretto a infettare, sfruttando le energie e gli apparati delle vittime, per sopravvivere e propagarsi.
Viene meno, in questo caso, anche la mitizzazione del “codice”, quel legame ancestrale, umano, profondissimo e silenzioso, che spesso ha legato i criminali di Scorsese ai loro boss, che mai, in alcun modo, venivano messi in discussione o traditi (emblematico in questo è proprio The Irishman). Quel rispetto delle regole, quel senso di riconoscenza che faceva accettare ogni ordine impartito, anche quelli più feroci e dolorosi, in Killers of the Flower Moon è praticamente assente, perché assente è il concetto di famiglia, di clan. Il rapporto che lega Ernest Burkhart (Leonardo DiCaprio) allo zio Ernest (Robert De Niro) non segue quelle logiche lì, perché a mancare è il senso di affiliazione e di appartenenza (che invece accomuna, in contrapposizione fortissima, la comunità Osage).
Killers of the Flower Moon | un affresco epico e corale
Da spettatori assistiamo all’esecuzione di un lunghissimo piano, tappa dopo tappa, lungo dieci anni. Lo osserviamo, come sempre avviene nei film di Scorsese, dal punto di vista degli aguzzini, di cui comprendiamo la mediocrità, la totale mancanza di capacità. Se DiCaprio è una semplice pedina degli eventi, abituato ad obbedire perché la ritiene la soluzione più facile e meno impegnativa, anche il “Re” (così viene chiamato dai suoi sudditi) De Niro si rivelerà, alla fine, troppo arrogante e sicuro di sé per rendersi conto dei tantissimi errori grossolanamente commessi, molto meno raffinato di quello che vorrebbe far credere.

Una scena di Killers of the Flower Moon (fonte: Festival de Cannes)
In questo affresco epico e corale, che segue il passaggio di un decennio, il cambiamento dei costumi, l’evoluzione delle relazioni e delle tecniche di sopraffazione, Scorsese trova anche il modo di raccontare un’altra forma di potere, quella che ha a che fare con la capacità di reagire e la capacità di modificare l’inerzia: il potere del narratore, dell’avveduto e attento affabulatore. Tra i sensi estremi di possibilità, potenzialità e capacità di compiere, realizzare, è significativa quella radice che in alcune lingue fa coincidere il potere col generare e col creare.
Il modo in cui Scorsese sceglie di raccontare le ultimissime battute della vicenda dei suoi personaggi, mettendosi peraltro in scena in prima persona, sta lì a dimostrarlo. Il potere, quello della macchina-cinema e del regista che la conduce, deve agire mutualmente maieutico, anche alle maggiori dimensioni, tenere conto degli altri (delle vittime vere e di quelle del meccanismo narrativo) per non diventare anch’esso dominante, considerare anche la responsabilità dell’agire nei riguardi del pubblico. Il potere (nel senso di “essere capace di”, “capacità di azione”) in sé non è affatto negativo: la sua carica positiva dipende dalla sua capacità di aprirsi a comunicare. Come fa, ad esempio, un cineasta alla soglia degli ottant’anni, consapevole della sua potenza, della sua influenza, ma sempre impegnato in un dialogo autentico con gli spettatori.
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