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Blade Runner torna al cinema: perché rivedere il cult con Harrison Ford

Il 14 ottobre 1982 Blade Runner di Ridley Scott arrivava per la prima volta nelle sale. A quasi 45 anni di distanza, torna sul grande schermo il 14, 15 e 16 aprile uno dei più celebri film di fantascienza della storia del cinema. 

Torna nelle sale italiane il capolavoro Blade Runner, nella versione Final Cut di Ridley Scott, con scene ampliate ed effetti speciali inediti rispetto alla versione dell’82. Un cult diventato modello cinematografico iconico e irripetibile, che ha ridefinito il genere fantascientifico.

Blade Runner, la versione Final Cut

Fino al 1990 di Blade Runner ne esisteva uno solo. Ma già nel 1992 ne spuntò una seconda versione. Ora ne esistono sette, in totale tra versioni scartate, tagli internazionali, versioni non autorizzate e infine censurate. Le principali sono però tre: la prima che andò in sala nel 1982, il director’s cut del 1992 che rimette a posto tutto quello che la Warner aveva originariamente cambiato e poi il final cut del 2007, che è quello che adesso torna al cinema. 

Se le differenze più evidenti a livello di trama sono quelle che compaiono tra la prima versione e la successiva Director’s Cut, quella del 2007 è considerata la versione definitiva del film e l’unica in cui a Scott è stata concessa totale libertà artistica. Rispetto al Director’s Cut, presenta delle modifiche estetiche minori, tra cui piani di transizione, sfondi migliorati e voci ri-sincronizzate. Inoltre l’immagine e il suono sono stati restaurati digitalmente e rimasterizzati.

Un film modificato più volte lungo 40 anni, da quella prima – fallimentare – uscita in sala. All’inizio, infatti, Blade Runner era stato un insuccesso e solo lentamente riuscì a garantirsi uno status di cult nel circuito home video.

Era amatissimo ma da pochi, era un film su cui esistevano molte “fan theories” perché pieno di buchi ed era un oggetto che doveva ancora fare il salto nella cultura mainstream. Insomma, si trattava di un film quasi sconosciuto, adorato solo da una ristretta comunità di cinefili e strenui appassionati di fantascienza. 

Un capolavoro di design

Tra i detrattori del film, all’inizio, ce n’era persino uno insospettabile: Harrison Ford. L’attore, infatti, aveva odiato la produzione, aveva litigato con Ridley Scott e per tanti anni ha parlato di Blade Runner come del suo film peggiore, come di un “esercizio di design sterile” che non aveva nient’altro da dire.

Con il tempo le sue opinioni sul film si sono ammorbidite, ma è proprio quella predominanza del “design” a costituire ancora oggi uno degli aspetti più appassionanti del film. Tutto il film di Ridley Scott sembra infatti attraversato dalla voglia di mostrare al pubblico tutte le soluzioni di design, arredamento e architettura messe in campo per ricreare i vicoli della città, i negozi, i mercati, gli interni delle abitazioni. 

Tutti gli elementi visivi del film sono stati pensati e disegnati per essere coerenti tra loro, in una visione olistica. Ma soprattutto, con la volontà di coniugare il massimo del futuribile (il film è ambientato 50 anni più avanti della sua data di realizzazione) con il gusto per il retro (ovvero con un tipo di cinema che si faceva 50 anni prima della sua data di realizzazione).

Come in Metropolis, i luoghi del potere, collocati in alto, hanno un design futuristico, mentre quelli popolari, che stanno sotto anche dal punto di vista urbanistico, sono caratterizzati da un design anni ’40 ispirato ad esempio a quello del Bradbury Building di Sumner Hunt con i suoi clamorosi interni in ferro battuto che somigliano a gabbie per uccelli.

Un modello per il futuro

Blade Runner, quindi, resta ancora oggi un film estremamente affascinante per l’idea vincente di mettere in scena una Los Angeles del futuro in cui le strade sono arredate come se fossero degli interni, all’insegna della densità sia umana che visiva. Un tema, quello della densità, che verrà ripreso diversi anni dopo da un altro grande regista: Steven Spielberg.

Il suo Minority Report nel 2001 proseguiva con intelligenza il discorso di questo futuro affollatissimo, stavolta però saturo non tanto di persone quanto di stimoli visivi e pubblicitari, in cui gli spazi pubblici (come ad esempio la metropolitana) venivano caratterizzati innanzitutto dall’affollamento di tanti elementi su schermo, che contribuivano a una grande densità.

Il film di Ridley Scott diede quindi il via a un nuovo filone cinematografico basato sugli adattamenti delle storie di Philip K. Dick: non solo Minority Report, appunto, ma anche Total Recall e A Scanner Darkly – Un oscuro scrutare. E la sua eredità è visibile anche in moltissimi altri granulosi film cyberpunk come Ghost in The Shell, L’esercito delle 12 scimmie, Strange Days, Dark City, Brazil e La città perduta. All’elenco si possono aggiungere tanti altri film, a cominciare da Il quinto elemento e, per certi versi, Matrix.

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Davide Sette
Davide Sette
Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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