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Taboo, la recensione della serie tv con Tom Hardy

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E’ da non perdere la nuova serie tv in onda in Inghilterra dal 7 Gennaio su BBC One e dal 10 negli Usa su F/X. Stiamo parlando di Taboo, la miniserie con Tom Hardy (ideata e prodotta dallo stesso attore visto in Revenant), che inaugura una nuova e fiorente stagione televisiva. Infatti lo show che vede fra i produttori Ridley Scott e che è sceneggiato da Steven Knight, apre ufficialmente la stagione invernale dell’universo televisivo straniero.  Se l’ultima parte del 2016 ha regalato pochi guizzi e sparute emozioni (fatta eccezione per l’arrivo di Westworld), Taboo fa presagire che il nuovo anno sarà pieno denso di novità eclatanti. La serie che vede in Tom Hardy il suo iconico protagonista, non delude le aspettative prefissate; in bilico fra drama in costume ed una storia di redenzione e vendetta, Taboo con poche e semplice mosse, riesce a colpire il cuore dello spettatore proiettando il pubblico in un mondo a noi lontanissimo, in una Londra virulenta e sucida, dove prende vita una complicata e sanguinolenta saga familiare.

Ambientata nel 1814 in un momento di grande tensione internazionale per il regno britannico (il colonialismo stava per raggiunge il suo apice), Taboo si apre con il ritorno in patria di James Delaney. Avventuriero e marinaio espertissimo, James, dopo che ha vissuto 10 anni in Africa, fa ritorno a Londra per riscuotere una cospicua eredità. Il giovane, di poche parole e con sguardo sfuggente, dovrà difendersi dalle calunnie del cognato che, in ogni modo, vuole estrometterlo dalla linea di successione, ma soprattutto dovrà affrontare a testa alta la compagnia Britannica delle Indie Orientali. Il padre di James infatti ha lasciato al figlio (illegittimo) in eredità un lembo di terra fondamentale per il piano espansionistico dell’Inghilterra. James però, nonostante gli impedimenti, non molla la presa.

It’s Tom Hardy Show!

Forse la serie non avrebbe avuto lo stesso impatto se Tom Hardy non fosse stato il protagonista, eppure nonostante qualche imperfezione, Taboo colpisce nel segno. Diciamoci la verità, non è certamente un prodotto innovativo ed il fil rouge non è esente da difetti, ma grazie ad un buon lavoro sui personaggi e sulle ambientazioni, lo show prodotto dal notissimo attore americano, riesce a splendere di luce propria. Tom Hardy infatti ritrae un uomo perverso, pieno di luci ed ombre, che non ha paura dei poteri forti (se così vogliamo chiamarli), un personaggio sfaccettato, che sa nascondere le sue debolezze e si presenta come un uomo duro, vigoroso e vendicativo.

Sguardo schivo, barba incolta e con indosso un lungo cappotto di lana, James Delaney è un personaggio a tutto tondo, abile seduttore e uomo dai mille talenti. Una serie quindi costruita sulle abili spalle dell’attore che ha re-inventato il mito di Mad Max (e che ha diviso lo schermo con Leonardo Dicaprio), l’unico che avrebbe potuto rendere sexy ed accattivante una storia di vedetta, violenza e redenzione.

Realtà e finzione storica si confondono in un racconto torbido e malsano

Non è solo il fascino e la bravura di Tom Hardy a rendere tale la nuova serie anglo/americana, ma è la trama in se che rende la miscela molto accattivante. Mixare audacemente alcuni fatti storicamente accaduti – come la corsa al colonialismo che nel 1800 ha interessato tutte le più grande potenze europee ed internazionali – e un racconto intimistico  a tratti visionario, ha permesso al plot stesso di esplorare nuovi orizzonti e far compiere a Taboo il salto di qualità. Perché non basta mettere in scena un racconto storicamente attendibile, ma la parte fondamentale è saper sviluppare sia i personaggi che la trama. Anche se Taboo, di primo impatto, sembra essere una serie monodimensionale (tutta focalizzata sullo sviluppo di James Delaney), ha il pregio di ampliare il suo raggio d’azione.

I fatti realmente accaduti lasciano spazio ad una saga familiare perversa e contorta, ad un racconto intimistico sviluppato con cognizione di causa, ad un malessere interiore che esplora il lato oscuro della natura umana. Poche produzioni riescono a ponderare queste particolarità, Taboo vince una scommessa che si credeva persa in partenza. Sono previsti 8 episodi da un’ora ciascuno.

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The Last of Us: recensione no spoiler della prima stagione | Tiriamo le somme

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La recensione di The Last of Us – Newscinema.it

La prima stagione di The Last of Us è giunta al termine con il nono episodio in onda su NowTv e Sky. Dopo averla vista tutta, settimana dopo settimana, vi diciamo cosa ne pensiamo in una video recensione.

Si è conclusa da poco la prima stagione di The Last Of Us, la serie targata HBO ispirata all’omonimo videogioco che ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Suddivisa in nove episodi di durata variabile e ambientata in un mondo post-apocalittico, The Last of Us continuerà con la seconda stagione già confermata.

Noi l’abbiamo vista tutta e nella video recensione qui sotto potete scoprire cosa ne pensiamo. Analizziamo pro e contro, condividiamo il nostro punto di vista su vari dettagli della serie e vi mostriamo anche un curioso video in cui è montato il videogioco con la serie in modo alternato per sottolineare la fedeltà di questa con il materiale originale.

La video recensione della prima stagione di The Last Of Us

The Last of Us: di cosa parla la serie

La serie HBO si svolge 20 anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire di nascosto Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante attraverso gli Stati Uniti nel quale i due dovranno dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.

Tra le star della prima stagione troviamo Pedro Pascal e Bella Ramseynei panni dei due protagonisti principali insieme a  Gabriel Luna, nel ruolo di Tommy, Anna Torv che interpreta Tess, Nico Parker è Sarah, Murray Bartlett è Frank, Nick Offerman è Bill, Melanie Lynskey è Kathleen, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene, Jeffrey Pierce interpreta Perry, Lamar Johnson è Henry, Keivonn Woodard è Sam, Graham Greene è Marlon ed Elaine Miles riveste i panni di Florence. Fanno parte del cast anche Ashley Johnson e Troy Baker (qui trovate la guida ai personaggi della serie).

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YOU 4: un professore che vive a South Kensington? | Gli errori dell’ambientazione inglese

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La locandina di You – Newscinema.it

La seconda parte della quarta stagione di You comincerà il 10 Marzo su Netflix. In attesa dei nuovi episodi andiamo ad analizzare alcuni errori della sua ambientazione londinese. 

La quarta stagione di You è iniziata circa un mese fa e il 9 marzo riprenderà anche la seconda parte. Dopo aver lasciato gli Stati Uniti e la sua vecchia vita, Joe Goldberg (Pen Badgley) si è trasferito a Londra, dove ha rubato l’identità di un professore universitario. Tutta la nuova stagione si svolge, quindi, nella capitale inglese, ma i fan hanno notato diversi errori sull’ambientazione europea che non si vedevano dai tempi di Emily in Paris.

Joe “ama” camminare

Nella serie, Joe dichiara che non gli dispiace camminare un po’ per recarsi al lavoro. Tuttavia, la distanza tra l’università nell’East London e il suo appartamento nel South Kensington è semplicemente ridicola. Per arrivare da un punto all’altro camminando, infatti, occorrono due ore: quattro, se si considera andata e ritorno. Una persona che percorre quattro ore a piedi tutti i giorni per andare a lavorare non è molto realistico.

Un professore che vive nel South Kensington

Dopo essersi trasferito, Joe smette di essere un bibliotecario e si trasforma in un docente universitario molto stimato. Per quanto un professore universitario possa essere una professione redditizia, è altamente improbabile che uno stipendio del genere basti per permettersi un appartamento come quello di Joe.

Il South Kensington è uno dei quartieri più costosi di Londra, dove un trilocale costa in media tra i due e i tre milioni di sterline. In un’intervista a Wired, l’attore ha spiegato che Joe può pagare la casa grazie all’eredità di Love, ma appare comunque una cifra improbabile.

you newscinema

L’appartamento di Joe – Newscinema.it

Un camino in ogni angolo

Si può notare che praticamente ovunque vada, Joe si ritrovi in un luogo dove c’è un camino, quasi a volere restituire un’ambientazione londinese vittoriana. Tuttavia, oggi a Londra i camini nelle case non sono così tanti, quasi il contrario. A partire dal 1956, infatti, il governo ha iniziato una campagna per eliminarli, in modo da diminuire il tasso di inquinamento e fumo nelle zone pubbliche.

L’esagerazione dello slang

Senza dubbio, lo slang inglese è molto popolare ed esistono tantissimi meme e parodie sulle differenze tra l’inglese e l’americano. Tuttavia, gli scherzi e le incomprensioni nella serie su questo fatto sono semplicemente esagerate. Basti pensare alla scena in cui Joe si trova in aula e non capisce che cosa si intenda con la parola “pants“. Un’intuizione non così difficile da comprendere, considerato il contesto.

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Incastrati 2: la recensione della serie Netflix | Ficarra e Picone alzano l’asticella

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Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)

Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)

La seconda stagione di Incastrati, serie Netflix ideata da Ficarra e Picone, prosegue sulla strada tracciata dalla prima, ovvero quella di ironizzare sulla dipendenza fanatica da serie tv, ma stavolta affina i propri meccanismi narrativi e lascia più spazio ai comprimari per emergere.

Lo schema logico della seconda stagione di Incastrati è identico a quello della prima: partendo dall’irriverente premessa, comicamente insolente verso lo stesso formato (quello seriale) scelto per inscenare le solite vicende di paese e di criminalità più o meno organizzata, Ficarra e Picone innescano una lunga una catena di equivoci e disavventure che sono il pretesto per fare satira sulla ‘cupola’ mafiosa, sulle sue connivenze con la “società civile” e sui meccanismi grotteschi che regolano il mondo dell’informazione che deve raccontarla.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Salvo Ficarra, nonostante tutto quello che è successo nella prima stagione, è ancora “incastrato” da un prodotto televisivo di pura invenzione (estremamente semplicistico e dozzinale come la media dei prodotti su piattaforma). E anche in questa seconda stagione, la serie entra ed esce dalla fittizia centrale di polizia dell’ispettore Jackson, protagonista di The Touch of the Killer e poi del sequel The Look of the Killer, che sia Salvo che sua ex-moglie Ester (per sentirlo più vicino dopo la separazione) seguono assiduamente.

Stavolta questo sottotesto è ancora più esplicito, le due serie (quella finta e quella vera) dialogano in maniera molto più serrata e sono sempre più frequenti i momenti in cui Ficarra e Picone si fermano per riflettere sui tempi delle serie tv, per giocare sugli stereotipi di quel tipo di narrazione, sugli incroci spesso assolutamente inverosimili tra la trama poliziesca e le vicende sentimentali dei protagonisti.

E persino per scherzare sulle diverse tipologie di prodotto televisivo e i diversi target di pubblico a cui questi si rivolgono (Robertino, il figlio di Agata, è appassionato di The Body Language, un’altra serie tv, molto più moderna e sofisticata di quella di cui è appassionato Salvo).

Incastrati | il ritorno su Netflix di Ficarra e Picone

I due comici siciliani lasciano maggiore spazio agli attori secondari, facendo emergere pian piano, in poche ma fondamentali scene, i personaggi di Tony Sperandeo nei panni di Cosa Inutile, quello di Sergio Friscia nel ruolo del retorico giornalista locale Sergione e soprattutto quello del procuratore capo Leo Gullotta (la sua entrata in scena è il vero punto di svolta di tutta la stagione).

Approfondendo questi comprimari, la seconda stagione di Incastrati ne guadagna in complessità, spesso ribaltando il giudizio che su di loro gli spettatori avevano maturato nelle prime puntate (c’è sempre qualcosa di peggio in agguato) e liberando quelle che inizialmente erano solo maschere grottesche dalla loro bidimensionalità, lavorando invece di sfumature per renderle drammaturgicamente interessanti.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Come spesso è accaduto poi nella carriera di Ficarra e Picone, bravissimi nel mettere in scena senza sconti le piccolezze dei loro connazionali, anche in Incastrati ci sono scene che involontariamente dialogano direttamente con l’attualità e con la cronaca degli ultimi mesi (quasi profetica, ad esempio, tutta la sottotrama del medico che agevola la latitanza di Padre Santissimo), fino ad arrivare a un finale che sembra essere stato scritto appositamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (e che, invece, è “solo” frutto della penna di due autori sempre più raffinati).

Ancora una volta, Incastrati trova il modo di collegarsi direttamente a quel cinema di Rosi, Damiani e Germi, che Ficarra e Picone consapevolmente citano e indicano come loro stella polare. Eppure, questa seconda stagione della serie Netflix, se pur non sempre eccellente nella fattura registica e nel ritmo della narrazione, fa emergere la maturazione autoriale di due comici che hanno ormai le idee chiarissime sul loro lavoro e sul tipo di racconto che vogliono fare.

Le nuove sei puntate di Incastrati dimostrano come l’incursione seriale di Ficarra e Picone non sia stata solo un “capriccio” per presentarsi come moderni e salire sul carro del vincitore (le serie sul cinema?), ma come sia in realtà un coerente nuovo tassello della loro poetica.

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