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Twin Peaks, surrealismo e risposte a metà nel quarto episodio

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Attenzione, spoiler ! Il 21 maggio 2017 sarà ricordato come il giorno dello storico ritorno di Twin Peaks sul piccolo schermo, dopo una estenuante attesa lunga venticinque anni (QUI trovate la nostra recensione dei primi episodi). Dopo essere arrivati alla quarta puntata, ci sembra doveroso tracciare alcuni punti fermi di una trama che sembra diventare sempre più intricata, tra nuovi personaggi, pseudo-cloni e doppelgänger. Non solo abbiamo imparato qualcosa in più su Dougie Jones (che sembra essere una creazione del “doppio” di Cooper) ma abbiamo assistito anche all’introduzione di nuovi personaggi, come quello di Wally Brando (Michael Cera), il figlio stralunato di Andy e Dick. Il nome è dato dal fatto di essere nato, almeno secondo i suoi genitori, lo stesso giorno di Marlon Brando. Questo significherebbe che Wally ha visto la luce il 3 aprile 1989, circostanza però impossibile se si considera che al termine della seconda stagione della serie Lucy viene mostrata incinta da solo un mese. Se questa incongruenza sia davvero dovuta a qualcosa, o semplicemente alla scarsa intelligenza dei due genitori, non è ancora dato saperlo. Nella scena della “colazione” di Dougie Jones, inoltre, i più attenti hanno notato un’altra piccola stranezza: un gufo di porcellana poggiato sulla credenza alle spalle del personaggio. È o non è quello che sembra ?

Il quarto episodio cerca di dare risposta ad alcuni interrogativi che sono stati aperti durante le scorse puntate. Mike, ad esempio, mette al corrente Cooper di essere stato “ingannato” dal suo doppelgänger, che ha fatto in modo che Dougie Jones finisse nella Loggia al posto suo. Lo spirito spiega al protagonista che adesso uno fra lui ed il suo “doppio” deve necessariamente morire. Ma sembra esserci anche una stretta connessione fra gli omicidi avvenuti in Sud Dakota ed i metodi usati dal “doppio” di Cooper. Primo fra tutti il gigantesco buco lasciato dal proiettile usato per uccidere (identico a quello che vediamo sulla faccia di Phyllis Hastings). Adesso il malvagio doppelgänger si è mostrato a Cole, ma non sappiamo ancora se quello che ha riferito agli agenti corrisponda anche solo parzialmente alla realtà. Anche nella scena dell’interrogatorio alcuni utenti si sono sbizzarriti, divertendosi a riascoltare le parole al contrario e scovando così un piccolo easter egg

La “rosa blu”

Dopo qualche apprezzamento al fondoschiena della bella agente Preston (Chrysta Bell), Gordon Cole spende qualche minuto per un breve briefing della situazione con il suo fidato compagno Albert Rosenfield. Ed è una grande concessione di sceneggiatura, considerando la quantità di stranezze che i personaggi di Twin Peaks sono disposti a tollerare senza porsi tante domande (come dimostra anche l’atteggiamento della povera Naomi Watts, che sembra non accorgersi che il marito giri per casa con una cravatta arrotolata attorno alla testa). Ancora una volta viene ripreso il mistero della “rosa blu”, nominata in apertura del terzo episodio dalla gigantesca testa fluttuante del Maggiore Briggs. Quello di Laura Palmer, secondo la terminologia usata dalla FBI per le indagini irrisolvibili, è un caso “rosa blu”. Ma i considerevoli rimandi a Philip Jeffries (l’agente interpretato da David Bowie in Fuoco cammina con me) ci suggeriscono una stretta connessione con il caso di cui si parla nel prequel cinematografico, anche quello riguardante una misteriosa “rosa blu”. Per rinfrescarvi la memoria, ecco un piccolo ripasso. 

Le parole di Gordone Cole sembrano essere quelle di ogni spettatore seduto sul divano al termine della puntata: “Devo ammetterlo, non sto capendo assolutamente nulla di questa situazione”. Tempo al tempo, le risposte arriveranno nelle prossime puntate. 

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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The Last of Us: recensione no spoiler della prima stagione | Tiriamo le somme

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La recensione di The Last of Us – Newscinema.it

La prima stagione di The Last of Us è giunta al termine con il nono episodio in onda su NowTv e Sky. Dopo averla vista tutta, settimana dopo settimana, vi diciamo cosa ne pensiamo in una video recensione.

Si è conclusa da poco la prima stagione di The Last Of Us, la serie targata HBO ispirata all’omonimo videogioco che ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Suddivisa in nove episodi di durata variabile e ambientata in un mondo post-apocalittico, The Last of Us continuerà con la seconda stagione già confermata.

Noi l’abbiamo vista tutta e nella video recensione qui sotto potete scoprire cosa ne pensiamo. Analizziamo pro e contro, condividiamo il nostro punto di vista su vari dettagli della serie e vi mostriamo anche un curioso video in cui è montato il videogioco con la serie in modo alternato per sottolineare la fedeltà di questa con il materiale originale.

La video recensione della prima stagione di The Last Of Us

The Last of Us: di cosa parla la serie

La serie HBO si svolge 20 anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire di nascosto Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante attraverso gli Stati Uniti nel quale i due dovranno dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.

Tra le star della prima stagione troviamo Pedro Pascal e Bella Ramseynei panni dei due protagonisti principali insieme a  Gabriel Luna, nel ruolo di Tommy, Anna Torv che interpreta Tess, Nico Parker è Sarah, Murray Bartlett è Frank, Nick Offerman è Bill, Melanie Lynskey è Kathleen, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene, Jeffrey Pierce interpreta Perry, Lamar Johnson è Henry, Keivonn Woodard è Sam, Graham Greene è Marlon ed Elaine Miles riveste i panni di Florence. Fanno parte del cast anche Ashley Johnson e Troy Baker (qui trovate la guida ai personaggi della serie).

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YOU 4: un professore che vive a South Kensington? | Gli errori dell’ambientazione inglese

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La locandina di You – Newscinema.it

La seconda parte della quarta stagione di You comincerà il 10 Marzo su Netflix. In attesa dei nuovi episodi andiamo ad analizzare alcuni errori della sua ambientazione londinese. 

La quarta stagione di You è iniziata circa un mese fa e il 9 marzo riprenderà anche la seconda parte. Dopo aver lasciato gli Stati Uniti e la sua vecchia vita, Joe Goldberg (Pen Badgley) si è trasferito a Londra, dove ha rubato l’identità di un professore universitario. Tutta la nuova stagione si svolge, quindi, nella capitale inglese, ma i fan hanno notato diversi errori sull’ambientazione europea che non si vedevano dai tempi di Emily in Paris.

Joe “ama” camminare

Nella serie, Joe dichiara che non gli dispiace camminare un po’ per recarsi al lavoro. Tuttavia, la distanza tra l’università nell’East London e il suo appartamento nel South Kensington è semplicemente ridicola. Per arrivare da un punto all’altro camminando, infatti, occorrono due ore: quattro, se si considera andata e ritorno. Una persona che percorre quattro ore a piedi tutti i giorni per andare a lavorare non è molto realistico.

Un professore che vive nel South Kensington

Dopo essersi trasferito, Joe smette di essere un bibliotecario e si trasforma in un docente universitario molto stimato. Per quanto un professore universitario possa essere una professione redditizia, è altamente improbabile che uno stipendio del genere basti per permettersi un appartamento come quello di Joe.

Il South Kensington è uno dei quartieri più costosi di Londra, dove un trilocale costa in media tra i due e i tre milioni di sterline. In un’intervista a Wired, l’attore ha spiegato che Joe può pagare la casa grazie all’eredità di Love, ma appare comunque una cifra improbabile.

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L’appartamento di Joe – Newscinema.it

Un camino in ogni angolo

Si può notare che praticamente ovunque vada, Joe si ritrovi in un luogo dove c’è un camino, quasi a volere restituire un’ambientazione londinese vittoriana. Tuttavia, oggi a Londra i camini nelle case non sono così tanti, quasi il contrario. A partire dal 1956, infatti, il governo ha iniziato una campagna per eliminarli, in modo da diminuire il tasso di inquinamento e fumo nelle zone pubbliche.

L’esagerazione dello slang

Senza dubbio, lo slang inglese è molto popolare ed esistono tantissimi meme e parodie sulle differenze tra l’inglese e l’americano. Tuttavia, gli scherzi e le incomprensioni nella serie su questo fatto sono semplicemente esagerate. Basti pensare alla scena in cui Joe si trova in aula e non capisce che cosa si intenda con la parola “pants“. Un’intuizione non così difficile da comprendere, considerato il contesto.

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Incastrati 2: la recensione della serie Netflix | Ficarra e Picone alzano l’asticella

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Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)

Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)

La seconda stagione di Incastrati, serie Netflix ideata da Ficarra e Picone, prosegue sulla strada tracciata dalla prima, ovvero quella di ironizzare sulla dipendenza fanatica da serie tv, ma stavolta affina i propri meccanismi narrativi e lascia più spazio ai comprimari per emergere.

Lo schema logico della seconda stagione di Incastrati è identico a quello della prima: partendo dall’irriverente premessa, comicamente insolente verso lo stesso formato (quello seriale) scelto per inscenare le solite vicende di paese e di criminalità più o meno organizzata, Ficarra e Picone innescano una lunga una catena di equivoci e disavventure che sono il pretesto per fare satira sulla ‘cupola’ mafiosa, sulle sue connivenze con la “società civile” e sui meccanismi grotteschi che regolano il mondo dell’informazione che deve raccontarla.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Salvo Ficarra, nonostante tutto quello che è successo nella prima stagione, è ancora “incastrato” da un prodotto televisivo di pura invenzione (estremamente semplicistico e dozzinale come la media dei prodotti su piattaforma). E anche in questa seconda stagione, la serie entra ed esce dalla fittizia centrale di polizia dell’ispettore Jackson, protagonista di The Touch of the Killer e poi del sequel The Look of the Killer, che sia Salvo che sua ex-moglie Ester (per sentirlo più vicino dopo la separazione) seguono assiduamente.

Stavolta questo sottotesto è ancora più esplicito, le due serie (quella finta e quella vera) dialogano in maniera molto più serrata e sono sempre più frequenti i momenti in cui Ficarra e Picone si fermano per riflettere sui tempi delle serie tv, per giocare sugli stereotipi di quel tipo di narrazione, sugli incroci spesso assolutamente inverosimili tra la trama poliziesca e le vicende sentimentali dei protagonisti.

E persino per scherzare sulle diverse tipologie di prodotto televisivo e i diversi target di pubblico a cui questi si rivolgono (Robertino, il figlio di Agata, è appassionato di The Body Language, un’altra serie tv, molto più moderna e sofisticata di quella di cui è appassionato Salvo).

Incastrati | il ritorno su Netflix di Ficarra e Picone

I due comici siciliani lasciano maggiore spazio agli attori secondari, facendo emergere pian piano, in poche ma fondamentali scene, i personaggi di Tony Sperandeo nei panni di Cosa Inutile, quello di Sergio Friscia nel ruolo del retorico giornalista locale Sergione e soprattutto quello del procuratore capo Leo Gullotta (la sua entrata in scena è il vero punto di svolta di tutta la stagione).

Approfondendo questi comprimari, la seconda stagione di Incastrati ne guadagna in complessità, spesso ribaltando il giudizio che su di loro gli spettatori avevano maturato nelle prime puntate (c’è sempre qualcosa di peggio in agguato) e liberando quelle che inizialmente erano solo maschere grottesche dalla loro bidimensionalità, lavorando invece di sfumature per renderle drammaturgicamente interessanti.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)

Come spesso è accaduto poi nella carriera di Ficarra e Picone, bravissimi nel mettere in scena senza sconti le piccolezze dei loro connazionali, anche in Incastrati ci sono scene che involontariamente dialogano direttamente con l’attualità e con la cronaca degli ultimi mesi (quasi profetica, ad esempio, tutta la sottotrama del medico che agevola la latitanza di Padre Santissimo), fino ad arrivare a un finale che sembra essere stato scritto appositamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (e che, invece, è “solo” frutto della penna di due autori sempre più raffinati).

Ancora una volta, Incastrati trova il modo di collegarsi direttamente a quel cinema di Rosi, Damiani e Germi, che Ficarra e Picone consapevolmente citano e indicano come loro stella polare. Eppure, questa seconda stagione della serie Netflix, se pur non sempre eccellente nella fattura registica e nel ritmo della narrazione, fa emergere la maturazione autoriale di due comici che hanno ormai le idee chiarissime sul loro lavoro e sul tipo di racconto che vogliono fare.

Le nuove sei puntate di Incastrati dimostrano come l’incursione seriale di Ficarra e Picone non sia stata solo un “capriccio” per presentarsi come moderni e salire sul carro del vincitore (le serie sul cinema?), ma come sia in realtà un coerente nuovo tassello della loro poetica.

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