Serie tv
Un Mamma per Amica: di nuovo insieme, la recensione del terzo episodio
La serie più social dell’anno continua a far discutere. Stiamo parlando di Una Mamma per Amica: Di nuovo insieme, il cui terzo episodio (come i due precedenti) è disponibile su Netflix. Il Revival che porta la firma di Amy Sherman Palladino, continua ad inanellare una vicenda brillante, intimistica, nostalgica e al passo con i tempi, ma Summer – questo il titolo dell’episodio – non regge il confronto con i precedenti capitoli, tanto è vero che il ritorno di Jess (Milo Ventimiglia) stupisce ma non troppo. La serie comincia già a sentire il peso degli eventi? Assolutamente no, anche perché il prodotto rimane ancora molto valido e denso di chiavi di lettura, ma alcune lungaggini narrative impediscono alla serie tv di compiere il vero salto di qualità. Alla fine il terzo episodio del Revival fa scendere, sul cuore del pubblico, un velo di infinita tristezza.
Rory e la sindrome della trentenne insoddisfatta
E’ un’estate di malinconia e rimpianti per la sfuggente Rory. Una volta che la giovane ragazza Gilmore ha capito che il suo sogno di diventare una giornalista affermata è svanito nel nulla, si crogiola in un mare di commiserazione. La sua vita è in stand-by. Mente a se stessa e soprattutto mente a tutti gli abitanti della città che, oramai, hanno intuito il motivo del suo ritorno. In completa balia di se stessa, anche la pseudo relazione amorosa con Logan, cade vittima dell’indole autodistruttiva di Rory.
Non basta il caffè di Luke, non basta la vicinanza di Lorelai, la ragazza non sa come raggiungere il fine ultimo, tanto è vero che in un momento di follia, decide di candidarsi come direttore per il giornale di Stars Hollow, solo per calmare la sua incredibile insoddisfazione. Il ritorno, tra l’altro del tutto inaspettato, di Jess che riesce a smuovere la coscienza di Rory, portando la giovane finalmente a razionalizzare sulle proprie capacità. E’ un sviluppo quello della ragazza Gilmore, discontinuo, farraginoso e per nulla esaltante, un percorso di crescita reso ancora più complicato se relazionato alla dura realtà sociale e lavorativa che stanno vivendo i giovani di oggi e Rory, nel rispecchiare tutte le caratteristiche più particolari, perde l’appeal e la sua immancabile verve comica.
La causa di tutto questo non solo è ricondotta ad alcune scelte di stile, ma si nota un certo accanimento verso il suo personaggio come se, la creatrice dello show, volesse a tutti i costi rompere con la tradizione del passato.
Lorelai, fuggire o restare?
Anche Lorelai non riesce a stare al passo con tutto questo. Anche lei è insoddisfatta della vita, non riesce a stare al passo di Luke, non riesce in nessun modo a riallacciare un rapporto con sua madre (l’unica che si è rimboccata le maniche) e, soprattutto, sfoga la sua rabbia repressa nei riguardi di un bizzarro musical organizzato da Taylor, inimicandosi così l’intero tessuto cittadino di Stars Hollow.
È un momento imbarazzante per Lorelai, traspaiono molte (troppe) emozioni represse dalle sue azioni; è una donna che ha perso anche lei un obbiettivo, è sobillata dai problemi della figlia, dal rimorso per non aver amato abbastanza suo padre, tanto è vero che arriva a compiere un gesto inconsulto che mina il rapporto con Rory e Luke. Lorelai parte, fugge via, senza affrontare i problemi, credendo che intraprendendo un viaggio a contatto con la natura, potrebbe aggiustare le cose. Servirà a qualcosa questo folle gesto?
Il ritorno di Jess, il momento più alto dell’episodio
Ma l’episodio 3 di Una Mamma per Amica: Di nuovo insieme, nonostante queste incongruenze, raggiunge il suo apice con il ritorno di Jess. Il personaggio più amato dai fan, il bad boy redento, è l’unico che con la sua sferzante vena comica, è capace di mettere apposto le cose, di far rinsavire Rory e rompere un ingranaggio che, alla lunga, stava rendendo troppo pensate la narrazione della serie. La sua comparsata è fugace ma intensa, una ventata di colore in un’estate da incubo.
Il terzo capitolo quindi colpisce per intensità e drammaticità; si continua a scavare profondo nei sentimenti di Rory e Lorelai ma, alcune scelte di stile, impediscono al Revival di brillare come dovrebbe. La rappresentazione del musical e dei suoi imbarazzanti siparietti ad esempio, rendono l’episodio discontinuo; oltre 20 minuti di canti e balli assolutamente inutili, sono messi a caso nella narrazione come per diluire il tempo del racconto ed, inevitabilmente, cade l’attenzione del pubblico. Ma c’è ancora Fall da analizzare e, se queste sono le premesse, l’ultimo episodio del Revival potrebbe distruggere ulteriormente le nostre certezze.
Serie tv
The Last of Us: recensione no spoiler della prima stagione | Tiriamo le somme

La recensione di The Last of Us – Newscinema.it
La prima stagione di The Last of Us è giunta al termine con il nono episodio in onda su NowTv e Sky. Dopo averla vista tutta, settimana dopo settimana, vi diciamo cosa ne pensiamo in una video recensione.
Si è conclusa da poco la prima stagione di The Last Of Us, la serie targata HBO ispirata all’omonimo videogioco che ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Suddivisa in nove episodi di durata variabile e ambientata in un mondo post-apocalittico, The Last of Us continuerà con la seconda stagione già confermata.
Noi l’abbiamo vista tutta e nella video recensione qui sotto potete scoprire cosa ne pensiamo. Analizziamo pro e contro, condividiamo il nostro punto di vista su vari dettagli della serie e vi mostriamo anche un curioso video in cui è montato il videogioco con la serie in modo alternato per sottolineare la fedeltà di questa con il materiale originale.
La video recensione della prima stagione di The Last Of Us
The Last of Us: di cosa parla la serie
La serie HBO si svolge 20 anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire di nascosto Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante attraverso gli Stati Uniti nel quale i due dovranno dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.
Tra le star della prima stagione troviamo Pedro Pascal e Bella Ramseynei panni dei due protagonisti principali insieme a Gabriel Luna, nel ruolo di Tommy, Anna Torv che interpreta Tess, Nico Parker è Sarah, Murray Bartlett è Frank, Nick Offerman è Bill, Melanie Lynskey è Kathleen, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene, Jeffrey Pierce interpreta Perry, Lamar Johnson è Henry, Keivonn Woodard è Sam, Graham Greene è Marlon ed Elaine Miles riveste i panni di Florence. Fanno parte del cast anche Ashley Johnson e Troy Baker (qui trovate la guida ai personaggi della serie).
Serie tv
YOU 4: un professore che vive a South Kensington? | Gli errori dell’ambientazione inglese

La locandina di You – Newscinema.it
La seconda parte della quarta stagione di You comincerà il 10 Marzo su Netflix. In attesa dei nuovi episodi andiamo ad analizzare alcuni errori della sua ambientazione londinese.
La quarta stagione di You è iniziata circa un mese fa e il 9 marzo riprenderà anche la seconda parte. Dopo aver lasciato gli Stati Uniti e la sua vecchia vita, Joe Goldberg (Pen Badgley) si è trasferito a Londra, dove ha rubato l’identità di un professore universitario. Tutta la nuova stagione si svolge, quindi, nella capitale inglese, ma i fan hanno notato diversi errori sull’ambientazione europea che non si vedevano dai tempi di Emily in Paris.
Joe “ama” camminare
Nella serie, Joe dichiara che non gli dispiace camminare un po’ per recarsi al lavoro. Tuttavia, la distanza tra l’università nell’East London e il suo appartamento nel South Kensington è semplicemente ridicola. Per arrivare da un punto all’altro camminando, infatti, occorrono due ore: quattro, se si considera andata e ritorno. Una persona che percorre quattro ore a piedi tutti i giorni per andare a lavorare non è molto realistico.
Un professore che vive nel South Kensington
Dopo essersi trasferito, Joe smette di essere un bibliotecario e si trasforma in un docente universitario molto stimato. Per quanto un professore universitario possa essere una professione redditizia, è altamente improbabile che uno stipendio del genere basti per permettersi un appartamento come quello di Joe.
Il South Kensington è uno dei quartieri più costosi di Londra, dove un trilocale costa in media tra i due e i tre milioni di sterline. In un’intervista a Wired, l’attore ha spiegato che Joe può pagare la casa grazie all’eredità di Love, ma appare comunque una cifra improbabile.

L’appartamento di Joe – Newscinema.it
Un camino in ogni angolo
Si può notare che praticamente ovunque vada, Joe si ritrovi in un luogo dove c’è un camino, quasi a volere restituire un’ambientazione londinese vittoriana. Tuttavia, oggi a Londra i camini nelle case non sono così tanti, quasi il contrario. A partire dal 1956, infatti, il governo ha iniziato una campagna per eliminarli, in modo da diminuire il tasso di inquinamento e fumo nelle zone pubbliche.
L’esagerazione dello slang
Senza dubbio, lo slang inglese è molto popolare ed esistono tantissimi meme e parodie sulle differenze tra l’inglese e l’americano. Tuttavia, gli scherzi e le incomprensioni nella serie su questo fatto sono semplicemente esagerate. Basti pensare alla scena in cui Joe si trova in aula e non capisce che cosa si intenda con la parola “pants“. Un’intuizione non così difficile da comprendere, considerato il contesto.
Serie tv
Incastrati 2: la recensione della serie Netflix | Ficarra e Picone alzano l’asticella

Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)
La seconda stagione di Incastrati, serie Netflix ideata da Ficarra e Picone, prosegue sulla strada tracciata dalla prima, ovvero quella di ironizzare sulla dipendenza fanatica da serie tv, ma stavolta affina i propri meccanismi narrativi e lascia più spazio ai comprimari per emergere.
Lo schema logico della seconda stagione di Incastrati è identico a quello della prima: partendo dall’irriverente premessa, comicamente insolente verso lo stesso formato (quello seriale) scelto per inscenare le solite vicende di paese e di criminalità più o meno organizzata, Ficarra e Picone innescano una lunga una catena di equivoci e disavventure che sono il pretesto per fare satira sulla ‘cupola’ mafiosa, sulle sue connivenze con la “società civile” e sui meccanismi grotteschi che regolano il mondo dell’informazione che deve raccontarla.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)
Salvo Ficarra, nonostante tutto quello che è successo nella prima stagione, è ancora “incastrato” da un prodotto televisivo di pura invenzione (estremamente semplicistico e dozzinale come la media dei prodotti su piattaforma). E anche in questa seconda stagione, la serie entra ed esce dalla fittizia centrale di polizia dell’ispettore Jackson, protagonista di The Touch of the Killer e poi del sequel The Look of the Killer, che sia Salvo che sua ex-moglie Ester (per sentirlo più vicino dopo la separazione) seguono assiduamente.
Stavolta questo sottotesto è ancora più esplicito, le due serie (quella finta e quella vera) dialogano in maniera molto più serrata e sono sempre più frequenti i momenti in cui Ficarra e Picone si fermano per riflettere sui tempi delle serie tv, per giocare sugli stereotipi di quel tipo di narrazione, sugli incroci spesso assolutamente inverosimili tra la trama poliziesca e le vicende sentimentali dei protagonisti.
E persino per scherzare sulle diverse tipologie di prodotto televisivo e i diversi target di pubblico a cui questi si rivolgono (Robertino, il figlio di Agata, è appassionato di The Body Language, un’altra serie tv, molto più moderna e sofisticata di quella di cui è appassionato Salvo).
Incastrati | il ritorno su Netflix di Ficarra e Picone
I due comici siciliani lasciano maggiore spazio agli attori secondari, facendo emergere pian piano, in poche ma fondamentali scene, i personaggi di Tony Sperandeo nei panni di Cosa Inutile, quello di Sergio Friscia nel ruolo del retorico giornalista locale Sergione e soprattutto quello del procuratore capo Leo Gullotta (la sua entrata in scena è il vero punto di svolta di tutta la stagione).
Approfondendo questi comprimari, la seconda stagione di Incastrati ne guadagna in complessità, spesso ribaltando il giudizio che su di loro gli spettatori avevano maturato nelle prime puntate (c’è sempre qualcosa di peggio in agguato) e liberando quelle che inizialmente erano solo maschere grottesche dalla loro bidimensionalità, lavorando invece di sfumature per renderle drammaturgicamente interessanti.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)
Come spesso è accaduto poi nella carriera di Ficarra e Picone, bravissimi nel mettere in scena senza sconti le piccolezze dei loro connazionali, anche in Incastrati ci sono scene che involontariamente dialogano direttamente con l’attualità e con la cronaca degli ultimi mesi (quasi profetica, ad esempio, tutta la sottotrama del medico che agevola la latitanza di Padre Santissimo), fino ad arrivare a un finale che sembra essere stato scritto appositamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (e che, invece, è “solo” frutto della penna di due autori sempre più raffinati).
Ancora una volta, Incastrati trova il modo di collegarsi direttamente a quel cinema di Rosi, Damiani e Germi, che Ficarra e Picone consapevolmente citano e indicano come loro stella polare. Eppure, questa seconda stagione della serie Netflix, se pur non sempre eccellente nella fattura registica e nel ritmo della narrazione, fa emergere la maturazione autoriale di due comici che hanno ormai le idee chiarissime sul loro lavoro e sul tipo di racconto che vogliono fare.
Le nuove sei puntate di Incastrati dimostrano come l’incursione seriale di Ficarra e Picone non sia stata solo un “capriccio” per presentarsi come moderni e salire sul carro del vincitore (le serie sul cinema?), ma come sia in realtà un coerente nuovo tassello della loro poetica.
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