Festival
Venezia 69: The Iceman, la conferenza stampa
Si è tenuta questa mattina alla 69edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia la conferenza stampa di uno dei film più attesi dell’anno: The Iceman. Diretto da Ariel Vromen e interpretato da un cast stellare composto da Chris Evans, James Franco, Michael Shannon, Winona Ryder, David Schwimmer e Ray Liotta, The Iceman narra la storia vera dello spietato serial killer e uomo di famiglia Richard Kuklinski, responsabile tra il 1954 e 1985 di alcuni tra i più brutali omicidi della storia criminale. Potete trovare qui sotto le domande poste dalla stampa internazionale al regista Ariel Vromen e al cast del film:
Come si è preparato per rappresentare la storia di uno dei maggiori serial killer di tutti i tempi?
Michael Shannon: Richard Kuklinski era una persona ignota e misteriosa. Mi sentivo intimidito nel cercare di catturare la complessità di questo personaggio.
Ariel Vromen: Michael Shannon è un attore che non ha bisogno di essere diretto, sul set conosceva già il personaggio e la storia in tutti i dettagli. Inoltre quando lavora si chiude nel suo personaggio e non parla molto. Per quanto riguarda il resto del cast Ray Liotta è una leggenda e sono troppo felice di aver potuto collaborare con lui in questo film. L’abbinamento di Ray e Michael nello stesso film è incredibile.
Winona Ryder: Con Michael non sai mai cosa succederà ed è proprio questa spontaneità imprevista che rende il film speciale. Michael ti afferra alla gola e ti catapulta nella scena permettendoti di essere al centro del film. Con lui ho vissuto una esperienza eccitante e ricca di generosità. È stato proprio il suo approccio ad aver reso la scena unica.
Nel film è ammirevole la ricreazione di un terrore invisibile, più terrificante ma meno esplicito di quello che troviamo solitamente:
Ariel Vromen: In questo film abbiamo voluto ricreare delle sensazioni raccontando la storia di un outsider e della sua duplicità. Questa è una storia nella quale più persone possono identificarsi.
Cosa le è piaciuto del personaggio reale di questa storia? Cosa la ha affascinata?
Ariel Vromen: Il personaggio reale era un personaggio forte dotato di una straordinaria personalità e unico nel suo genere. È stato interessante analizzarlo a fondo.
Michael Shannon: Ogni volta che penso a Kuklinski penso alla sua infanzia e alla sua difficoltà di detestarsi così tanto. È proprio questo il fattore che rende la storia così spaventosa. Se fosse stato trattato diversamente sarebbe andata magari in un altro modo.
Come riesce ogni volta a mantenere un approccio fresco al suo personaggio, il gangster?
Ray Liotta: È il nostro lavoro. Se abbiamo una scena molto spaventosa da girare alle otto del mattino bisogna studiare, applicare un metodo. Bisogna trasferire la rabbia nella scena.
Michael Shannon: Non si può riflettere molto su una scena, ecco perché si chiama recitazione perché non si pensa. Ray mi ha aiutato molto. Non penso che una persona sana di mente possa fare quello che ha fatto questo criminale. Bisogna essere sconnessi, dissociati per capire il suo punto di vista, annullarsi.
Che cosa l’ha attirata di questo personaggio e che cosa la spinge ad accettare o meno un ruolo?
Winona Ryder: Sono stata attratta da questa storia perché ho trovato profondamente interessante interpretare un ruolo così diverso. L’ho dovuto affrontare da un punto di vista speciale, unico. Il mio personaggio si trovava in una sensazione di profondo diniego. Inoltre ho sempre voluto lavorare con Michael, sono una sua grande fan e questo sicuramente mi ha attirato del film. Oltre alla grande ambiguità del mio personaggio, noi recitiamo e interpretiamo qualcuno di diverso da noi. Non riesco ancora a capire quanto responsabile sia una persona come quella che ho interpretato. È un quesito ancora senza risposta che mi affascina molto. Per quanto riguarda i film che scelgo sono arrivata ad un periodo della mia vita durante il quale voglio vivere e avere una bella vita e se c’è un film che mi avvince e che voglio veramente fare, lo faccio. Non continuo a lavorare solo per il gusto del lavoro, voglio essere contenta, soddisfatta pur restando aperta ad altre cose. Ho imparato molto da questo film e queste lezioni rimarranno con me come bagaglio di attrice.
Una criminologa ha scritto che siamo tutti potenziali assassini. Il protagonista del film comincia a uccidere a 13 anni, dobbiamo darle ragione?
Michael Shannon: Non lo so. Nel corso della storia abbiamo visto situazioni in cui persone normali sono state portate ad episodi di violenza. Noi tutti dobbiamo controllarci, disciplinarci. Bisogna fare uno sforzo per essere gentili con gli altri senza ferirli, io non potrei mai uccidere qualcuno, sarebbe un pensiero terribile per me.
Abbiamo già visto rappresentate le famiglie nei gangster movie ma stavolta vi è qualcosa di diverso, da cosa è dipeso? Inoltre Michael ha una figlia, che cosa ha provato nell’interpretare questo personaggio che è allo stesso tempo un serial killer e un padre di famiglia?
Michael Shannon: Tutto comincia dalla sceneggiatura ed è qualcosa di tremendamente difficile da catturare. Tutti noi abbiamo una famiglia. Io ho una figlia e questa è una esperienza di vita che è stata di grande importanza per me. Ho potuto riflettere sulla importanza di essere padre e su quello che questo serial killer pensava della sua famiglia. Lui avrebbe fatto qualsiasi cosa per la sua famiglia, ne sono quasi sicuro.
Avete fatto ricerche su questi personaggi? E soprattutto avete cercato di contattare i veri membri di questa famiglia?
Winona Ryder: Tutto quello che mi è stato riferito è che la moglie di Kuklinski non fosse raggiungibile in alcun modo. Ho ritenuto la scelta migliore non parlarle né cercare di trovarla. Questa è la prima volta che non ho cercato la benedizione dei personaggi che ho interpretato. È stata la scelta più giusta per interpretare al meglio il mio personaggio.
Festival
Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it
Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.
Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.
La trama di Inside
Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.
Il one man show di Willem Dafoe
Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.
Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.
Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73
Un incubo a occhi aperti tra quattro mura
Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.
Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.
Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.
Inno all’arte
L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?
Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film – Foto: Newscinema.it
Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.
In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.
Festival
Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.
È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.
Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.
Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.
Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.
Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.
“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.
Festival
Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.
È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.
“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.
Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.
I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.
Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”
Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.
Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.
“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.
Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.
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