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Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

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Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.

È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.

“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.

Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.

I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.

Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”

Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.

Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)

Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.

“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.

Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

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Inside film recensione

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it

Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.

Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.

La trama di Inside

Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.

Il one man show di Willem Dafoe

Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.

Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.

Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe Inside

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73

Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.

Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.

Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.

Inno all’arte

L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?

Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film 2023

Inside film – Foto: Newscinema.it

Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.

In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.

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Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

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Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name
3.6 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora
Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.

È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.

Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.

Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.

Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.

Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)

Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.

“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.

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Berlinale 73 | Il toccante discorso di Steven Spielberg nella sua versione integrale

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Spielberg riceve l'Orso d'Oro (fonte: NewsCinema.it)

Spielberg riceve l’Orso d’Oro (fonte: NewsCinema.it)

Steven Spielberg, leggenda del cinema internazionale, ha ricevuto l’Orso d’Oro alla Berlinale 73 per il suo lavoro sul grande schermo che ha conquistato ed emozionato intere generazioni. Il regista ha ringraziato il festival e il suo pubblico con un toccante discorso.

Steven Spielberg è stato premiato con l’Orso d’Oro alla carriera del Festival di Berlino dal frontman degli U2 Bono, che ha fatto un’apparizione a sorpresa sul palco del Berlinale Palast nel corso dell’emozionante cerimonia speciale svoltasi la scorsa sera.

Dopo aver accettato il riconoscimento, Spielberg ha espresso la propria gratitudine con un discorso profondo e toccante, che vi proponiamo nella sua integralità.

Spielberg riceve l'Orso d'Oro (fonte: NewsCinema.it)

«Ben 118 anni fa Albert Einstein teorizzò che il tempo non è costante: accelera, rallenta, forse si curva anche su se stesso. E i fisici hanno ogi dimostrato che Einstein aveva ragione, il che è eccitante per tutti, ma forse un po’ meno per le persone che hanno raggiunto l’età che ho raggiunto io.

Perché quando hai 76 anni, probabilmente sai già che un Einstein di 26 anni ha colpito nel segno. Perché il tempo sembra essere misurabile solo da orologi e calendari. Il tempo è in realtà solo un trucco della mente, ed è un trucco della luce. Ho fatto il regista per molto tempo – sei decenni – ma mi sembra di aver diretto Duel e Lo Squalo l’anno scorso».

«A 76 anni so molto di più sul cinema di quando ne avevo 25. Ma le ansie, le incertezze e le paure che mi tormentavano quando ho iniziato a girare Duel sono rimaste lì per 50 anni, come se non fosse passato del tempo. Fortunatamente per me, la gioia che ho provato il primo giorno di lavoro sul set come regista è imperitura quanto le mie paure.

Perché non c’è posto più simile a casa per me di quanto non lo sia un set. La verità della mia vita è contenuta nelle mie paure, nelle mie gioie e nel mio lavoro. E nell’innamorarmi di una donna bella e brillante, un’artista straordinaria, compagna della mia anima, la mia Kate».

«Kate, che dal 1983 è lì accanto a me. Anche diventare papà… nel mio cuore, tutte queste cose sono successe ieri. Anche se Kate e io siamo stati insieme per 39 anni e i miei figli sono adulti ora. E io sono un nonno, per quanto incredibile mi sembri. Non è meno incredibile per me che mia madre e mio padre non ci siano più. Leah, mia madre è morta nel 2017, e tre anni dopo ho perso mio padre. Ora, nessuno, quando diventa orfano, può sfuggire al ricordo delle cose passate. Per la maggior parte della mia vita, sono stato su un treno ad altissima velocità».

«Ma il cambiamento e la perdita si accumulano, fino a quando ti rendi conto che sempre più della tua vita risiede nella memoria. Ed è per questo che ho deciso con il mio ultimo film, The Fabelmans, che era tempo di guardare indietro ai miei primi anni di vita, al mondo in cui sono nato, e da cui sono uscito per trovare la mia strada, commettere i miei errori e realizzare i miei film.

E grazie a questo, stasera sono a Berlino per accettare questo incredibile riconoscimento alla mia carriera. E c’è una certa ritrosia da parte mia nell’accettarlo, perché sono consapevole di non aver ottenuto nulla da solo. Tutti i miei film sono frutto di collaborazioni con grandi artisti. E così, naturalmente, la mia stessa vita, la mia famiglia, è stata sempre una collaborazione con altre persone».

«Mi allarmano questi riconoscimenti alla carriera, perché io non ho finito. Non ho finito! Voglio continuare a lavorare, voglio continuare ad imparare, scoprire, spaventarmi e spaventarvi. Finché ci sarà gioia per me nel farli, e finché il mio pubblico potrà trovare gioia nel vedere i miei film, non smetterò di lavorare.

Ad essere onesti, mi piacerebbe battere il record di Manoel de Oliveira e dirigere il mio ultimo film quando avrò 106 anni. Mio padre Arnold ha vissuto fino a 103 anni, quindi teoricamente ho i geni giusti, e forse avrò anche la fortuna di vivere così a lungo. Ma solo Einstein lo sa. Solo lui lo sa per certo».

«Ora, come ogni altro regista, ho un debito incalcolabile nei confronti del cinema tedesco. Da F. W. Murnau a Ernst Lubitsch, da Douglas Sirk a Robert Wiene e Fritz Lang. Pionieri e perfezionatori di un cinema che rivela la verità. Tra i registi della mia epoca, sono stato stimolato e ispirato da Fassbinder, Herzog, Margarethe von Trotta, Wim Wenders, Wolfgang Petersen, Volker Schlondorff, Thomas Tykwer. Se questo premio significa che il mio lavoro ha trovato una casa in Germania, allora stasera mi sento come se fossi a casa anch’io».

Berlinale 73 | Spielberg: «Da regista ebreo, felice per questo premio»

«Questo riconoscimento ha un significato particolare per me perché sono un regista ebreo. E mi piace credere che questo sia un piccolo momento in uno sforzo molto più grande e continuo di guarire le ferite della storia; ciò che gli ebrei chiamano “tikkun olam”, la riparazione e la restaurazione del mondo.

Per questa ragione ho fondato la USC Shoah Foundation nel 1994 perché sono convinto che ciò che ha scritto lo storico Yosef Hayim Yerushalmi sia vero: l’opposto della giustizia non è l’ingiustizia, l’opposto della giustizia è l’oblio. La riconciliazione è possibile solo quando ricordiamo cosa è successo».

Spielberg riceve l'Orso d'Oro (fonte: NewsCinema.it)

Spielberg riceve l’Orso d’Oro (fonte: NewsCinema.it)

«L’archivio video della USC Shoah Foundation ha raccolto le testimonianze dei sopravvissuti all’Olocausto, così come testimonianze di atrocità e genocidi in tutto il mondo. E la Germania è stata a lungo un partner essenziale nel lavoro della USC Shoah Foundation.

Privati cittadini, il governo tedesco e il Festival del Cinema di Berlino si sono uniti a noi nel raccogliere e intervistare testimoni, produrre documentari, diffondere materiali educativi e aiutarci a rendere i nostri archivi ampiamente disponibili in tutta la Germania e nell’Europa occidentale».

«Il popolo tedesco si è mostrato disposto a conoscere la storia del suo Paese, ad affrontare le sue lezioni riguardanti l’antisemitismo, il fanatismo, la xenofobia – i precursori dell’Olocausto. Altri Paesi, compreso il mio, possono imparare molto dalla coraggiosa determinazione del popolo tedesco ad agire per impedire ai fascisti di tornare al potere.

Una nazione può essere chiamata giusta solo se rifiuta la comoda amnesia che tenta tutti noi. E dopo il 20esimo secolo, nessuna nazione dovrebbe illudersi di meritare di essere chiamata “giusta”. Ma non dobbiamo negare la possibilità della giustizia, non dobbiamo smettere di perseguirla. Questa ricerca è la nostra migliore speranza di trovare un significato nella vita e si inizia sempre con il ricordare».

«Quindi, sono qui a Berlino ad accettare l’Orso d’oro, e devo confessare che gli orsi mi spaventano per davvero. Più ancora degli squali. Ma è bello avere paura. Sono grato, emozionato e in qualche modo timoroso. Quindi grazie per questo Orso d’Oro, che mi grida: “Guarda indietro, guarda dove sei stato”. E non riesco a immaginare un’occasione più significativa per farlo. Grazie».

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