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Intervista con Kevin Smith: il suo cult Dogma “risorge” a Cannes

A Cannes abbiamo incontrato Kevin Smith, di ritorno sulla Croisette dopo quasi due decenni di assenza per presentare la nuova versione rimasterizzata di uno dei suoi film più celebri: Dogma

È uno dei film più famosi di Kevin Smith, ma anche uno dei più difficili da reperire. Dopo aver recuperato i diritti dalle mani della Miramax, finalmente Dogma – il film cult evangelico con Alanis Morissette nei panni di Dio e Matt Damon e Ben Affleck in quelli di due angeli caduti nel Wisconsin, che loro considerano peggio dell’Inferno stesso – è “risorto” per i suoi 25 anni (che in realtà sono 26).

E lo ha fatto simbolicamente a quel festival che, nel 1994, aveva accolto Kevin Smith con il leggendario Clerks (in Italia, Commessi), commedia di vertiginose acrobazie verbali, scarti spericolati tra cultura high e low, in bianco e nero slavato, su tutto quello che succedeva in un minimarket di Red Bank (New Jersey) dove al tempo era impiegato lo sceneggiatore/regista.

Abbiamo avuto modo di parlare con lui di questi due decenni trascorsi senza che Dogma fosse ufficialmente disponibile per l’acquisto o per lo streaming ma durante i quali è ugualmente diventato un cult, tanto che il suo “Cristo Compagnone” si è fatto meme, travalicando persino la fama del film da cui proveniva.

Intervista a Kevin Smith

Abbiamo parlato proprio di quel passaggio a Cannes, durante il quale fu folgorato dalla visione di Pulp Fiction, che lo spinse a rimettere mano a una vecchia sceneggiatura chiusa nel cassetto. Quella che sarebbe poi diventata Dogma, appunto: un film accusato contemporaneamente sia di blasfemia (tanto che vennero organizzati diversi picchetti da fondamentalisti religiosi, ad alcuni dei quali prese parte lo stesso Smith in uno slancio situazionista) sia di voler fare catechismo “new wave”.

In ogni caso, un film fondamentale per la carriera di un autore che ha sempre rifiutato la normalizzazione che, da un certo punto in avanti, ha caratterizzato la maggior parte del cinema indipendente americano. Quello che fece capire a tutti – parafrasando il Metatron del compianto Alan Rickman – che «the little stoner’s got a point».

D: Innanzitutto ti chiederei di spiegarci come questa “resurrezione” di Dogma sia potuta avvenire e che effetto ti fa essere di nuovo qui a Cannes dopo tanti anni. 

D: Il film era nelle mani di Harvey Weinstein, che però non sapeva che farsene e lo ha praticamente abbandonato. Quando il film è stato acquistato, insieme ad altri, dalla Miramax, poco tempo fa, chi aveva fatto l’acquisizione mi ha chiesto se fossi interessato a ridistribuirlo e a portarlo in tour di città in città, negli Stati Uniti, come ho fatto recentemente con altri miei film.

Ovviamo ho accettato e alla fine il film uscirà al cinema in America su oltre 2000 schermi, un numero di sale che è persino più alto di quelle in cui venne proiettato quando uscì originariamente. Sono stato a Cannes nel 1994 con Clerks, poi nel 1999 con Dogma e nel 2006 con Clerks II, ma non avrei mai pensato di tornare qui.

Invece adesso cammino per la strada e mi domando: perché ho abbandonato tutto questo? Negli ultimi vent’anni ho lavorato lontano dall’industria, ho fatto le cose che mi andava di fare, per conto mio. Ma forse ho ancora la possibilità di fare un altro film che sia meritevole di essere presentato a Cannes. Devo dire quindi che questa esperienza ha riacceso un fuoco in me. Devo fare qualcosa che mi riporti di nuovo qui. E penso di avere in mente cosa…

D: Quando venisti qui a Cannes, nel 1994, la visione di un film in particolare fu fondamentale proprio per scrivere la sceneggiatura di Dogma. Sbaglio?

R: È proprio come dici. Quel film, come sai, è Pulp Fiction ed è innegabile che abbia influenzato Dogma. Nel 1994 eravamo in Settimana della Critica e Miramax aveva prodotto anche il film di Tarantino. Fu organizzata una proiezione privata prima delle première ufficiale e rimasi, come tutti, folgorato.

All’epoca avevo già scritto una sceneggiatura embrionale di Dogma, dal titolo provvisorio di God. L’avevo scritta addirittura prima di Clerks. Quello che mi colpì di Pulp Fiction fu la maniera in cui Tarantino cambiava tono all’interno del film. Capì che si poteva essere divertenti e poi subito dopo estremamente duri e violenti. Quindi rimisi mano a quella sceneggiatura e la trasformai in quello che poi è diventato Dogma. Senza Cannes e senza Pulp Fiction, quindi, probabilmente non ci sarebbe Dogma.

Una foto di Dogma: Resurrected
Una foto di Dogma: Resurrected – NewsCinema.it

D: Il film, all’epoca della sua uscita, fu al centro di numerose polemiche e persino di alcune manifestazioni di protesta. Credi che i tempi siano cambiati o anche se uscisse oggi Dogma si troverebbe al centro del fuoco incrociato? 

R: Beh, adesso Dogma sembra un film assolutamente innocuo. Ma secondo me lo era anche all’epoca dell’uscita. La gente che faceva polemica non l’aveva visto e parlava per pregiudizi o per sentito dire. È come per L’ultima tentazione di Cristo. Ovviamente quello è un film migliore del mio (ride, ndr). Ma quando lo vedi capisci che è un film sulla fede, fatto da qualcuno che ci crede.

Ero preoccupato che il film potesse passare per quello che non era. Io amo Life of Brian dei Monty Python, ma non è il film che ho fatto io. Dogma non è una satira contro la religione. Magari sulla religione intesa come organizzazione ecclesiastica, di potere, possiamo discutere. Ma io sono un cattolico, un fedele, e ho cercato di raccontare questa mia fede in un film, magari con qualche battuta sconcia di troppo. Ma sì, effettivamente attorno a Dogma si sollevò un grosso polverone. Ed è l’unico film per cui sono stato minacciato di morte. Non è successo con Mallrats, ad esempio. Nessun critico cinematografico mi è venuto a cercare.

D: È indubbio che, da Clerks a Dogma, tu abbia contribuito alla definizione di un certo cinema indipendente americano. Ecco, ti chiedo: che valore ha per te questa definizione nel 2025?

R: Ai miei tempi era “indie” tutto ciò che non rientrava nello studio system. Adesso questa definizione è più vaga, con l’avvento delle piattaforme streaming. Quello che negli anni Novanta sarebbe stato un film da novanta minuti con 50mila dollari di budget, oggi può diventare una serie tv da otto episodi con tre milioni di dollari.

È quello che fa Netflix, che ha inoltre allargato lo sguardo al di là dell’America, dando l’opportunità a tanti altri storyteller in giro per il mondo di esprimere il proprio punto di vista. Per me, invece, il sistema non è cambiato granché. Devo sempre racimolare dei soldi da più fonti di finanziamento e poi sperare che qualcuno compri il film per distribuirlo. Ma va bene così. Non ho cominciato la mia carriera perché qualcuno me lo ha permesso, ma perché volevo fare un film. Quindi fino a quando non verrò “cancellato”, o ucciso, troverò sempre un modo per farlo.

Una foto di Dogma: Resurrected
Una foto di Dogma: Resurrected – NewsCinema.it

D: Questa nuova versione in 4K rende giustizia al lavoro fatto a suo tempo dal direttore della fotografia Robert Yeoman, che proprio in quegli anni stava per diventare l’insostituibile collaboratore di Wes Anderson. Come fu il vostro rapporto sul set e quale estetica stavate cercando di dare al film?

R: Devo essere sincero con te… ero giovane. Non ci pensavo a queste cose. Il primo film che ho fatto era bruttissimo da vedere, sembrava ripreso attraverso il fondo di un bicchiere… però funzionò, lanciò la mia carriera. Allora mi convinsi che avrei sempre realizzato film così, molto semplici.

Quando cominciai a lavorare su Dogma pensai di non farcela. Era una sceneggiatura troppo buona per un regista mediocre come me. Allora chiamai il mio amico Robert Rodriguez e gli chiesi: “Lo vorresti girare tu al posto mio?”. Lui mi disse: “Kevin, puoi farcela. Semplicemente devi smetterla di riprendere gli attori appoggiati al muro. Mettici una finestra dietro, dai un po’ profondità di campo. Questo è tutto ciò che devi fare”. Inizialmente il direttore della fotografia doveva essere Dave Klein, che era stato il dop su Clerks, Mallrats e Chasing Amy, e lo sarebbe stato poi su Clerks II, Zack & Miri, Cop Out e Red State. Io volevo lui, ma la Miramax disse di no.

Che c’era bisogno di un dop di prima fascia. E perciò subentrò Bob Yeoman. È grazie a lui se il film è così bello. Ed è lui ad aver avuto l’idea del widescreen e di girarlo in Super 35. Miramax mi disse che serviva un dop che potesse farmi crescere come regista. Ma in realtà credo sia avvenuto il contrario e sono io che ho rovinato Yeoman, che poi infatti ha fatto altro e ha avuto una carriera stratosferica con Wes Anderson. C’è da dire, però, che la versione in home video fu un disastro, perché cambiarono l’aspect ratio e cominciarono ad apparire nel fotogramma cose che in realtà non si sarebbero dovute vedere su schermo.

Una foto di Dogma: Resurrected (copyright :Triple Media Fim)
Una foto di Dogma: Resurrected (copyright :Triple Media Fim) – NewsCinema.it

D: In questi venticinque anni, Dogma si è garantito lo stato di cult. E uno degli elementi che ha contributo è stata la figura del Cristo Compagnone, che compariva nel film e che nel frattempo è diventata un meme su internet. Come hai vissuto questo fenomeno?

R: È stato assurdo. Torniamo al discorso di prima, sulla diversa accoglienza che il film potrebbe avere oggi. All’epoca non potevamo permetterci di mettere il Cristo Compagnone sui materiali promozionali. Era troppo rischioso. Adesso invece è diventato virale, tutti hanno familiarità con quella immagine, anche chi non ha visto il film. È stata persino utilizzata da delle organizzazioni religiose… per questo adesso compare nel poster ufficiale di questa nuova release di Dogma. E nessuno ha detto nulla. Insomma, mi sembra giusto. Ci sono tanti attori famosi nel film che potevano figurare sulla locandina, ma chi è più famoso di Gesù Cristo?

D: Cosa ci dobbiamo aspettare dal futuro? Espanderai l’universo di Dogma ora che finalmente si può fare?

Ci sono alcuni progetti a cui sto lavorando. Innanzitutto Jay and Silent Bob: Store Wars, che dovevamo girare ad aprile ma poi ci sono stati problemi con i finanziamenti. E poi c’è ancora il progetto di Moose Jaws, una sorta di remake de Lo Squalo ma con un’alce al posto dello squalo. Ma sicuramente adesso vorrò fare un sequel di Dogma. All’inizio ero dubbioso, perché consideravo Dogma un gioco di prestigio che poteva riuscire solo una volta. Ma adesso ci ho iniziato lavorare e credo che questo sia proprio il film che mi porterà di nuovo qui a Cannes.

D: Torneranno anche Ben Affleck e Matt Damon?

Beh, tutti coloro che sono vivi io li richiamerò. Quindi anche Ben Affleck e Matt Damon, ovviamente. Per come la penso io, Ben Affleck dà il meglio di sé come attore nei miei film. È opinabile, ma io ci credo veramente. E lui voleva essere in Dogma prima di tutti gli altri. Dopo aver letto la sceneggiatura, mi chiamò e mi disse: voglio fare Bartleby. E io risposi: beh, Ben, probabilmente i produttori vorranno qualcuno di famoso per quel ruolo. Nel frattempo, però, uscì L’Attimo Fuggente… quindi alla fine tutto andò al suo posto.

Davide Sette
Davide Sette
Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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