TFF 32: The Mend, il comedy drama di John Magary

The Mend, presentato al Torino Film Festival, opera prima di John Magary, si colloca nella variegata galassia Indie statunitense, che regala piccoli gioielli a volte, ma purtroppo non sempre. Il regista segue le giornate di Mat (Josh Lucas) e Alan (Stephen Plunkett), due fratelli in conflitto, accomunati dal dolore di vivere e divisi dalle scelte di vita. Mentre Mat è una sorta di animale, dominato dalla rabbia e dall’incapacità di realizzare alcunché, fosse anche solamente raccogliere i cocci di un bicchiere rotto, Alan cerca di trovare un equilibrio e un antidoto alla sua tristezza di fondo nella relazione con Farrah (Mickey Sumner), che però lo lascia. I due sono costretti ad una convivenza forzata in un angusto appartamento newyorkese che resta privo di energia elettrica, e dove per qualche tempo si fermerà con il suo bambino anche Andrea (Lucy Owen), con cui Mat ha una relazione difficile e intermittente. Intorno a loro, una New York stereotipata, personaggi del teatro off, feste con fumo libero, un vecchio artista beat, e soprattutto le quattro soffocanti mura dell’appartamento.

mendJohn Magary è regista e sceneggiatore di questo suo primo lungometraggio, dopo i corti The Second Line del 2007 e Our National Park del 2005, ma, nonostante The Mend sia stato presentato al Festival South by Southwest 2014, non è riuscito a centrare il suo obiettivo. La bella prova di recitazione dei protagonisti, che danno il meglio di se stessi costretti ad essere estremi senza un reale sostegno narrativo (Josh Lukas è stato elogiato anche dai maggiori magazine statunitensi), non basta a salvare un film privo di una sceneggiatura convincente, in cui la circolarità ripetitiva delle situazioni genera soprattutto noia e non comunicazione, e i pochi barlumi di luce promessi da alcuni snodi drammatici (il rientro imprevisto di Alan, la malattia del vecchio Earl, l’antico conflitto tra i due) si risolvono in una bolla di sapone. Debolissimi i dialoghi, stentate le parti che dovrebbero suonare ironiche, in un indeciso altalenare tra dramma e commedia, e superficiali i continui riferimenti alle ferite del corpo e dell’anima che richiedono una guarigione (da qui il titolo). Non basta un buon soggetto per reggere quasi due ore di sviluppo, Magary ha peccato di presunzione nella costruzione della sceneggiatura e avrebbe avuto bisogno di un buon paio di forbici in fase di montaggio. Si riscatta con la bellissima colonna sonora (Judd Greestein e Michi Wiancko), che deve sostenere da sola l’impianto di un film che manca di direzione.

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