Venezia 78 | Dune è un blockbuster imperioso già teso verso il sequel

Quella fatta da Denis Villeneuve con Dune è una operazione enorme anche per le proporzioni dei blockbuster a cui siamo abituati. E lo è non tanto per la cifra spesa, ma per il punto di vista assunto dal regista canadese, interessato a raccontare una intricatissima storia di nobili, di nazioni e Paesi, lavorando su due piani differenti della narrazione: quello politico e quello mistico. Villeneuve riesce a tenere tutto insieme dando conto delle diverse anime della storia, tenendole sempre separate e unendole quando serve. Dopo due ore e mezza di film, l’impressione è infatti quella di aver semplicemente scalfito la superficie di un racconto molto più ampio (e che si svilupperà in una seconda parte).

La storia è nota: sul desertico pianeta Arrakis si trova la Spezia, sostanza preziosa e indispensabile per far progredire il sistema economico di altri pianeti che da questa dipendono. Alla casata Atreides e al suo capo, il Duca Leto, viene affidato il controllo del pianeta, ma in realtà si sta approntando una congiura per eliminarlo. Leto ha però un figlio, Paul, il quale è dotato di particolari poteri che sta sviluppando con l’aiuto di sua madre Lady Jessica. Anche lui finisce quindi per diventare un ostacolo da abbattere. Una storia che viene raccontata nel film con rigore ed esattezza, allontanandosi dalle pulsioni carnali di Lynch o dal delirio psichedelico di Jodorowsky: quella di Villeneuve è una parabola di grandi casati nobiliari e non di singole persone.

Dune | il gigantesco progetto di Villeneuve

Fin dal titolo (Dune: Part One) è evidente come il film sia teso verso la serializzazione, interessato a gettare le basi di una grande mitologia che sarà ampliata solo con i capitoli successivi: questo primo episodio non ha un vero e proprio arco narrativo e non è in grado di dare alcuna soddisfazione allo spettatore, come fosse la prima puntata di una serie, per sua natura tutta potenza e non atto. Si regge su una grandissima quantità di informazioni che il film però dosa e spiega benissimo, senza la pedanteria dei grandi discorsi e lasciando che molto passi per le immagini, in modo tale da permettere allo spettatore di trarre le proprie deduzioni. Una grande opera mainstream pensata con la cura e la precisione del cinema d’autore, che si interrompe ben prima di quello di Lynch del 1984, che usa i sogni e le visioni del protagonista come teaser per i film che verranno.

Paul Atreides: da Maclachlan Chalamet

Dopo una lunghissima introduzione che passa in rassegna tutti i personaggi e tutti gli scenari della narrazione, il focus si focalizza su Paul Atreides, nobilissimo rampollo che non cerca un legame emotivo con il pubblico, ma esige il suo sguardo attento e affascinato. Come spesso accade, Timothée Chalamet viene immediatamente definito a partire dal suo corpo: Villeneuve ne mostra il fisico asciutto, magrissimo per gli standard del cinema, e lo introduce al pubblico con una battuta di Jason Momoa riguardante proprio la sua risibile massa muscolare. Eppure lo spettatore può cogliere subito nel suo sguardo la forza del leader: sgomberato il campo dalla forza fisica, rimane la forza mentale e spirituale. Film dopo film, quello di Chalamet sta diventando il corpo per antonomasia del giovane dalle grandi speranze. Un potenziale trattenuto in un’apparenza gracile e una mente affilata.

Chalamet ha meno battute degli altri, ma proprio la sua economia di parole è una risorsa e gli consente di incanalare ancora di più il carisma nel corpo e nello sguardo). Dune racconta quindi la formazione di questo leader silenzioso, che però, ogni volta che parla, è grado di cambiare le sorti della narrazione o di indurre un ripensamento in qualcuno che ascolta. Ogni volta che è in silenzio, ci si chiede invece quando parlerà.

Venezia 78 | Dune è un blockbuster imperioso già teso verso il sequel
3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora