Venezia 78 | The Card Counter di Paul Schrader, tra Taxi Driver e Bresson

Negli ultimi anni il cinema di Paul Schrader si è avvicinato sempre di più a quello bressoniano: ne ha ripreso l’aspect ratio (1:37:1) e ne ha cominciato a seguire i passi con religiosa devozione, lavorando su quelle “semi-immagini” che acquistano un loro senso solo quando messe in relazione tra loro. Il suo nuovo film, The Card Counter, dimostra però come la pietra angolare del suo cinema, nonostante il radicale cambiamento nello stile, sia ancora oggi Taxi Driver.

Come in quel film del 1976, anche The Card Counter è costruito tutto attorno al suo protagonista: William Tell (il riferimento qui è leggendario, a differenza dell’Ernst Toller di First Reformed) è una persona che ha già saldato i conti con la giustizia e che adesso si ritrova a spendere la propria rinnovata libertà seduto ai tavoli di gioco dei casinò americani. È stato perdonato dalla società, ma questo non gli basta per sentirsi sollevato e poter serenamente ricominciare a vivere.

The Card Counter | il cinema meditativo di Schrader

Tell (Oscar Isaac), ex agente Abu Ghraib, per i suoi crimini ha scontato otto anni in prigione, dove si è letto a fondo le meditazioni di Marco Aurelio e ha imparato a contare le carte, ovvero a tenere traccia di ogni carta giocata durante una partita. Non soggiorna mai negli hotel del casinò, ma in squallide stanze a basso prezzo o persino in seminterrati nelle vicinanze delle strutture dove si svolgono i tornei (come George Clooney in Up in the Air, è un lunatico antieroe noir abituato a luoghi interscambiabili e privi di identità definita). La sua è una esistenza che si consuma come una droga, che lo stesso protagonista utilizza per intorpidirsi ed evitare di riflettere su ciò che sta realmente accadendo.

The Card Counter si muove ancora su quella terza direttrice del cinema che Schrader, in un suo saggio, aveva definito “mandala”: cinema meditativo che induce uno stato ipnotico nello spettatore (Ozu). L’unico finale possibile per quel cinema che fugge dalla narrazione canonica è quindi una lunga immagine fissa che induce ad una riflessione. A differenza che in First Reformed, dove la disgregazione del mezzo filmico era tale da eliminare qualsiasi possibilità di analisi finale, in The Card Counter non è negato allo spettatore il privilegio della decodifica dell’immagine. Attraverso questa sostanziale differenza, Schrader rende esplicito il suo pensiero: l’espiazione è realizzabile solo quando questa è perseguita sul piano personale, del singolo (The Card Counter), ma destinata invece a rimanere insoddisfatta quando ci si pone l’obiettivo di una salvezza collettiva (First Reformed).

Schrader cerca di superare il dualismo di André Bazin, coniugando il desiderio di usare il proprio mezzo espressivo per duplicare il mondo che già conosciamo ed il desiderio di creare un simbolo ideale che non ricalchi il modello, ma lo includa in qualcosa di nuovo e di diverso. Il cinema di Schrader cerca quindi un difficile equilibro fra ciò che definiamo umano e personale, ovvero ogni cosa in grado di farci riconoscere nei personaggi che vediamo, ed il freddo formalismo di una messa in scena che cerca invece di rendere bidimensionale una vicenda che é così profonda da farsi abisso. Quella di Schrader è un’opera che si rifà alla raffigurazione sacra, si sviluppa nelle due dimensioni e diviene icona, immagine bressoniana (ma a questo punto sarebbe giusto dire schraderiana) che ha il suo senso nella rarefazione. 

Venezia 78 | The Card Counter di Paul Schrader, tra Taxi Driver e Bresson
3.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora