A passo d’uomo: il cammino di una vita | La recensione del film con Jean Dujardin
Presentato in anteprima internazionale al Trento Film Festival, dove ha trionfato, A passo d’uomo di Denis Imbert è tratto dal racconto autobiografico di Sylvain Tesson, Sentieri neri, edito in Italia da Sellerio. Al cinema dal 19 ottobre, distribuito da Wanted.
Scelto per interpretarne il protagonista, Jean Dujardin regala l’ennesima grandissima prova, piena di umanità e realismo. Dal suo volto, dai suoi occhi, emergono la sofferenza e il coraggio di questo uomo messo duramente alla prova, che non si è mai arreso, in nome di un profondo spirito di libertà.
La macchina da presa di Imbert ne immortala i dettagli, permettendogli non solo di giocare con alcuni dei suoi punti di forza, ma anche di mostrarci quanto un attore possa fare la differenza in opere e con personaggi simili. Alla sua regia, si conferma un autore attento e autentico.
Legati, indiscutibilmente, dalla medesima passione, che può essere declinata in vari modi, Tesson, Imbert e Dujardin mettono insieme un vero e proprio viaggio a 360 gradi, capace di coinvolgere tutti i sensi e di lasciare un segno nell’anima di chi ne viene a conoscenza. A passo d’uomo si rivela qualcosa di più di una semplice pellicola cinematografica, ma necessita, probabilmente, di un pubblico selezionato.
La poesia, che aleggia tra parole e immagini, fa da specchio alla meraviglia di questa natura francese, incontaminata, aspra, selvaggia, mozzafiato. Esibita con estremo realismo, diviene coprotagonista del film.
A passo d’uomo | La trama del film vincitore del Trento Film Festival
Pierre (Dujardin) ha deciso di attraversare la Francia a piedi: 1300 km per riprendere in mano quella che era la sua vita. Qualche tempo prima, infatti, l’uomo è caduto da un’altezza di 8 metri, danneggiando irrimediabilmente il suo fisico. Ogni cosa ha cambiato aspetto, non solo il suo viso, ormai segnato da una cicatrice ben visibile.
Dopo aver superato la degenza e la paura di non poter più camminare, Pierre avverte l’esigenza di tornare nella natura, lì dove la solitudine è totale, così come il silenzio e la pace. La sete di avventure non lo abbandona mai, nemmeno se ciò significa avvicinarsi pericolosamente alla morte.
È così che intraprende la Diagonale du vide, che parte dal Sud-Est della Francia e arriva nelle zone del Nord-Ovest. La sua è un’impresa a dir poco incredibile, che lo mette alla prova in ogni modo possibile e immaginabile, conducendolo a una presa di consapevolezza dolorosa ma necessaria.
Un viaggio per guarire
A passo d’uomo racconta una storia ricca di suggestioni. Il protagonista affronta un percorso che non solo sfida i suoi limiti fisici, ma che gli permette di conoscersi più a fondo. Pierre cambia, perché la vita ha deciso così. La sua sicurezza, l’imprudenza, l’arroganza, lasciano il posto a un senso di vuoto spaventoso. Quel fisico, che era una macchina perfetta, lo abbandona, mentre rimangono i fantasmi e i rimpianti.
Il viaggio contiene allora i germi di una redenzione, o meglio di una guarigione, alla quale approdare dopo tanta fatica e una profonda analisi di coscienza. L’alternarsi del tempo della narrazione consente al pubblico di conoscere i vari aspetti del protagonista e delle sue vicende, creando un legame prezioso e potente.
La musica (a cura di Wouter Dewit), straordinario valore aggiunto, immerge, avvolge e coinvolge. Le emozioni scorrono come un ruscello prima di fluire in un grande fiume: gradualmente prendono forza, sino a giungere al finale, da cui è difficile separarsi senza provarne.