A passo d’uomo: il cammino di una vita | La recensione del film con Jean Dujardin

Jean Dujardin in A passo d’uomo – Cr. Thomas-Goisque – Foto: Ufficio stampa

Presentato in anteprima internazionale al Trento Film Festival, dove ha trionfato, A passo d’uomo di Denis Imbert è tratto dal racconto autobiografico di Sylvain Tesson, Sentieri neri, edito in Italia da Sellerio. Al cinema dal 19 ottobre, distribuito da Wanted.

A passo d'uomo: il cammino di una vita | La recensione
4.1 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Scelto per interpretarne il protagonista, Jean Dujardin regala l’ennesima grandissima prova, piena di umanità e realismo. Dal suo volto, dai suoi occhi, emergono la sofferenza e il coraggio di questo uomo messo duramente alla prova, che non si è mai arreso, in nome di un profondo spirito di libertà.

La macchina da presa di Imbert ne immortala i dettagli, permettendogli non solo di giocare con alcuni dei suoi punti di forza, ma anche di mostrarci quanto un attore possa fare la differenza in opere e con personaggi simili. Alla sua regia, si conferma un autore attento e autentico.

Legati, indiscutibilmente, dalla medesima passione, che può essere declinata in vari modi, Tesson, Imbert e Dujardin mettono insieme un vero e proprio viaggio a 360 gradi, capace di coinvolgere tutti i sensi e di lasciare un segno nell’anima di chi ne viene a conoscenza. A passo d’uomo si rivela qualcosa di più di una semplice pellicola cinematografica, ma necessita, probabilmente, di un pubblico selezionato.

La poesia, che aleggia tra parole e immagini, fa da specchio alla meraviglia di questa natura francese, incontaminata, aspra, selvaggia, mozzafiato. Esibita con estremo realismo, diviene coprotagonista del film.

A passo d’uomo | La trama del film vincitore del Trento Film Festival

Pierre (Dujardin) ha deciso di attraversare la Francia a piedi: 1300 km per riprendere in mano quella che era la sua vita. Qualche tempo prima, infatti, l’uomo è caduto da un’altezza di 8 metri, danneggiando irrimediabilmente il suo fisico. Ogni cosa ha cambiato aspetto, non solo il suo viso, ormai segnato da una cicatrice ben visibile.

Una scena di A passo d’uomo – Cr. Thomas-Goisque – Fonte Foto: Ufficio stampa

Dopo aver superato la degenza e la paura di non poter più camminare, Pierre avverte l’esigenza di tornare nella natura, lì dove la solitudine è totale, così come il silenzio e la pace. La sete di avventure non lo abbandona mai, nemmeno se ciò significa avvicinarsi pericolosamente alla morte.

È così che intraprende la Diagonale du vide, che parte dal Sud-Est della Francia e arriva nelle zone del Nord-Ovest. La sua è un’impresa a dir poco incredibile, che lo mette alla prova in ogni modo possibile e immaginabile, conducendolo a una presa di consapevolezza dolorosa ma necessaria.

Un viaggio per guarire

A passo d’uomo racconta una storia ricca di suggestioni. Il protagonista affronta un percorso che non solo sfida i suoi limiti fisici, ma che gli permette di conoscersi più a fondo. Pierre cambia, perché la vita ha deciso così. La sua sicurezza, l’imprudenza, l’arroganza, lasciano il posto a un senso di vuoto spaventoso. Quel fisico, che era una macchina perfetta, lo abbandona, mentre rimangono i fantasmi e i rimpianti.

Il viaggio contiene allora i germi di una redenzione, o meglio di una guarigione, alla quale approdare dopo tanta fatica e una profonda analisi di coscienza. L’alternarsi del tempo della narrazione consente al pubblico di conoscere i vari aspetti del protagonista e delle sue vicende, creando un legame prezioso e potente.

La musica (a cura di Wouter Dewit), straordinario valore aggiunto, immerge, avvolge e coinvolge. Le emozioni scorrono come un ruscello prima di fluire in un grande fiume: gradualmente prendono forza, sino a giungere al finale, da cui è difficile separarsi senza provarne.