Reduce da una missione di salvataggio completata con successo in Kenya, il soldato dell’esercito americano Ray Garrison sta trascorrendo una vacanza con la moglie Gina sulla costa amalfitana. Il relax per la coppia dura ben poco, in quanto viene rapita da un gruppo di mercenari guidati da Martin Axe, che intende estorcere a Ray informazioni top secret sulla precedente operazione militare. Questi rifiuta e il criminale, dopo aver ucciso a sangue freddo Gina davanti a suoi occhi, gli spara un colpo di pistola.
Il protagonista si risveglia in una stanza di laboratorio, dove scopre di essere stato “resuscitato” grazie ad avanzatissime tecnologie: il suo corpo, donato dalle forze armate alla compagnia private Rising Spirit Tech, è stato riportato in vita tramite l’utilizzo di avveniristici nanorobot in grado di rigenerare le cellule del suo organismo. Ray, che viene controllato a distanza dai suoi “salvatori” con dispositivi di controllo, soffre di una momentanea perdita di memoria ma non appena i ricordi riaffiorano decide di vendicarsi degli assassini della compagna. Con il procedere delle missioni scoprirà però che non tutto è quello che sembra…
Bloodshot | Un cinecomic old-school

Vin Diesel
Apparso per la prima volta sulle pagine dei fumetti Valiant nel 1992, Bloodshot è un personaggio poco conosciuto dal grande pubblico italiano che ora ha l’occasione di riscoprire le sue avventure e la genesi dell’anti-eroe in questo adattamento per il grande schermo, sbarcato direttamente on demand dopo la chiusura dei cinema per l’epidemia in atto.
Ci troviamo davanti ad un cinecomic parzialmente atipico nell’ormai sempre più affollato filone, lontano per toni e atmosfere dagli omologhi titoli sia di casa Marvel che del DC Universe, che guarda ad influenze più affini alla serie b di fine anni ’90 – primi 2000. I cento minuti di visione partono a spron battuto, delineando un breve background che poi si rivelerà determinante ai fini dell’imprevisto cliffhanger che rivoluziona la trama a circa metà film, e fanno subito comprendere l’impostazione senza fronzoli messa in campo dal regista esordiente Dave Wilson, già addetto agli effetti visivi di Avengers: Age of Ultron (2015) e al lavoro su un episodio della serie d’animazione Love, Death & Robots.
Leggi anche: Anche Fast & Furious rinviato a causa del Coronavirus
Bloodshot | Un facile divertimento

Guy Pearce e Vin Diesel
La trama è legata da un filo conduttore che, pur a dispetto della varie svolte e colpi di scena, si concentra sui temi della vendetta e del libero arbitrio in maniera relativamente semplicistica e lineare, lasciando all’epilogo il compito di aprire le porte per i già annunciati sequel. Bloodshot punta molte delle proprie carte sull’impatto visivo, e gli effetti speciali nella loro rudezza e classicità svolgono a dovere il compito di un intrattenimento old-school, con tanto di scontro finale “in verticale” discretamente efficace dal punto di vista spettacolare.
Il carisma dell’operazione è interamente giocato sul discorso muscolare e in questo la scelta di Vin Diesel si mostra tanto in linea con l’assunto quanto scontata: il popolare attore di Fast & Furious non riesce a togliersi di dosso l’immagine di duro e puro senza compromessi, risultando al contempo un punto di forza e una debolezza del monotematico protagonista. E l’operazione paga proprio questo attenersi alle linee guida di un compitino pensato per il relativo pubblico di riferimento, spesso alla ricerca di un divertimento ingenuo e gratuito. Chi vi si approccerà senza troppe pretese potrà rimanere soddisfatto mentre chi attendeva un nuovo cult del filone finirà probabilmente deluso.
Recensioni
Il più bel secolo della mia vita: la ricerca delle proprie origini | Recensione

I protagonisti del film Il più bel secolo della mia vita – NewsCinema.it
Il 7 settembre è uscito nei cinema italiani la commedia Il più bel secolo della mia vita diretta da Alessandro Bardani con protagonisti Sergio Castellitto, Valerio Lundini e Carla Signoris. Emozioni e risate portate sul grande schermo per mettere in luce l’assurda, crudele ma soprattutto reale, Legge dei 100 anni.
Il film Il più bel secolo della mia vita diretto da Alessandro Bardani è tratto dall’omonimo spettacolo teatrale con protagonisti Francesco Montanari e Giorgio Colangeli. Nella versione cinematografica, prodotta da Goon Films, Rai Cinema e Lucky Red, ad interpretare il ruolo del centenario Gustavo è Sergio Castellitto, mentre il personaggio del trentenne Giovanni è stato affidato a Valerio Lundini.
Menzione speciale, per l’attrice Carla Signoris nel ruolo di Gianna, madre di Giovanni. La commedia Il più bel secolo della mia vita presentata in concorso durante la 53^ edizione del Giffoni Film Festival, nella sezione Generator +18, ha visto Bardani ritirare il Gryphon Award come Miglior Film.
Il più bel secolo della mia vita | La trama del film
C’era una volta (e c’è tutt’ora) in Italia, una legge chiamata 184 del 1983. Alcune persone la consideravano una norma come altre, mentre altri, un muro invalicabile alla scoperta delle proprie origini. Secondo la Costituzione Italiana, la cosiddetta Legge dei 100 anni, impedisce ad un figlio non riconosciuto alla nascita di conoscere il nome della madre. Solo al compimento del centesimo anno di età, quest’ultimo potrà scoprirne l’identità. Questa che sembra essere una fiaba assurda e crudele, non è nient’altro che la realtà.
Ed è qui, che inizia l’inedito duo formato dal centenario Gustavo (Sergio Castellitto) e il trentenne Giovanni (Valerio Lundini) uniti da un destino comune, ma vissuto in maniera completamente differente. Il ragazzo appartenente alla FAeGN, acronimo che sta per l’associazione Figli Adottivi e Genitori Naturali, è impegnato nella realizzazione di una nuova Legge che possa abrogare quella dei 100 anni. Per far sì che il nuovo disegno di legge venga preso seriamente in considerazione, è fondamentale la testimonianza dell’unico centenario ancora in vita, ignaro dell’identità della madre.

Sergio Castellitto e Valerio Lundini in una scena del film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: NewsCinema.it
Partendo da Bassano del Grappa, Giovanni e Gustavo danno vita a questa avventura on the road, diretti verso Roma, alternato da momenti divertenti, ad altri profondi, ad altri di assoluta verità. Per Giovanni, l’unico intento è di dimostrare quanto sia assurdo che un individuo debba aspettare cento anni, per scoprire le proprie origini, grazie alla testimonianza di Gustavo.
Mentre per il centenario, andare a Roma, vuol dire tornare nei luoghi della sua giovinezza, nell’unica casa che ha mai conosciuto, il Jacki O’. Tra confronti accesi e scambi di opinioni, i due fratelli di culla, si troveranno a fare i conti con alcune zone buie del loro passato mai raccontate a nessuno.
La recensione del film diretto da Alessandro Bardani
Sergio Castellitto durante l’incontro con i giurati del Giffoni Film Festival, ha invitato i ragazzi a cercare e parlare ciò che è piaciuto del film e di evitare di citare ciò che non è piaciuto. Nel film Il più bel secolo della mia vita è davvero difficile trovare qualcosa di poco gradito. Avere due artisti come il grandioso Sergio Castellitto e il sorprendente Valerio Lundini alla guida di questo film, è stata sicuramente una scommessa vinta. La bravura di Alessandro Bardani alla direzione della sua opera prima è stata quella di aver trovato la giusta chiave di lettura, per far sì che le loro differenze si riuscissero a fondere in una cosa sola.
La sceneggiatura scritta da Alessandro Bardani, Luigi Di Capua, Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli, tenendo conto dell’omonimo spettacolo teatrale, rappresenta le fondamenta di questa storia, che ruota intorno alla Legge dei 100 anni. I botta e risposta tra Giovanni e Gustavo esaltano le loro differenze caratteriali, soprattutto nel modo diverso di concepire la vita. Se Gustavo è un centenario dall’animo giovane, che ha vissuto sempre da solo e ha provato le sofferenze della vita; Giovanni è un trentenne dall’animo vecchio, che sebbene abbia l’amore della madre, non si è mai goduto la vita, non ha mai fatto nulla di particolare, restando sempre dentro certi schemi.
Per l’arzillo centenario, andare a Roma significa evadere dall’ospizio nel quale vive da oltre dieci anni, per poter tornare – finalmente – nella sua amata Roma. Una città che non ha mai dimenticato, che ha custodito sempre nei suoi ricordi, anche solo attraverso un fazzoletto di tela con l’impronta delle labbra del suo grande amore conosciuto al Jackie ‘O: la diva della Dolce Vita, Rita Hayworth. Per quanto Gustavo sembra essere un uomo forte, nel momento in cui tira fuori questo pezzo di stoffa, custodito lontano da occhi indiscreti, viene fuori la sua parte più fragile.

Sergio Castellitto come Gustavo nel film Il più bel secolo della mia vita – Fonte: NewsCinema.it
La potenza delle parole in una vita di silenzi
Ad unire questi due uomini, soprannominati ‘fratelli di culla’, è la presenza di Gianna, mamma di Giovanni interpretata amabilmente da Carla Signoris. Lei è l’anello di congiunzione tra loro due. Il suo istinto materno, dai modi dolci e affabili, come solo una mamma sa essere, si riversano sul modo di rapportarsi con Giovanni e poi con Gustavo. Grazie a lei, la comunicazione tra loro porta la fine delle ‘parole non dette’ per anni, portando di conseguenza, tutti a mettersi in discussione e a dire la verità per la prima volta nella vita.
Concetti come i figli sono di chi li cresce e non di chi li fa, è una grande verità che detta ad alta voce, lascia il segno nelle persone che lo sentono dire da un centenario, a un passo dallo scoprire l’identità della madre biologica. L’ironia delle battute in romanesco dette da Gustavo cercano di colmare le ferite inferte dalla vita, fin da quando era solo un ragazzino. La colonna sonora de Il più bel secolo della mia vita è l’elemento in più, di cui il film aveva bisogno, portando lo spettatore ad emozionarsi ancora di più. La scelta di inserire il brano La vita com’è scritto e interpretato da Brunori Sas all’inizio del lungometraggio di Bardani, introduce ciò che lo spettatore andrà a vedere nei prossimi 80 minuti: “Avere vent’anni o cento non cambia poi mica tanto se non riesci a vivere la vita com’è.
Recensioni
Conversazioni con altre donne: il miglior cinema italiano in un remake | La recensione

La locandina di Conversazioni con altre donne
Dal 31 agosto 2023 nelle sale, distribuito da Adler Entertainment, Conversazioni con altre donne porta in scena una delle coppie più affiatate e affascinanti del cinema italiano: Valentina Lodovini e Francesco Scianna.
La pellicola, scritta e diretta da Filippo Conz – che torna al lungometraggio dopo circa vent’anni – è il remake dell’americano Conversazioni con altre donne (2005) di Hans Canosa. Gabrielle Zevin, compagna di Canosa, ne firmava soggetto e sceneggiatura, e Olivia Wilde aveva un piccolo ruolo come damigella d’onore.

Una scena di Conversazioni con altre donne – Fonte Foto: VelvetMag
Il punto di forza di opere come queste è, senza dubbio, la scrittura: la necessità di una base solida permette agli attori di esprimersi al loro meglio. Valentina Lodovini e Francesco Scianna rappresentano quel cinema italiano di sostanza, che sa cosa e come raccontare, riuscendo a passare senza problemi dalla commedia al dramma.
Ecco perché, in questo incontro di professionalità e sensibilità, ne viene fuori un film ben composto, elegante, strutturato e piacevole. Se le riflessioni sollevate dalla narrazione possono risultare sin troppo semplici, le emozioni arrivano comunque forti e dirette. In tanti troveranno il modo o lo spunto per immedesimarsi, lasciandosi trascinare dalle azioni dei personaggi.
Conversazioni con altre donne concentra, in meno di 90 minuti, tutta una serie di suggestioni, che hanno a che fare con le storie d’amore, di quelle che cambiano la vita, indelebili e straordinarie.
Conversazioni con altre donne | La trama del film con Francesco Scianna e Valentina Lodovini
Siamo a Tropea, con una bellissima vista sul mare, durante un ricevimento di nozze. Il clima è disteso e aleggia un profumo d’estate, spensieratezza ed eccitazione per quello che verrà. Le damigelle indossano un abito rosa shocking, non adatto a tutti i fisici. Tra di loro, ne spunta una (Lodovini), sulla quarantina, dalla bellezza mediterranea e l’aria malinconica.

Una scena di Conversazioni con altre donne – Fonte Foto: Filmitalia
La donna è seduta a un tavolino, sorseggia un drink e fuma una sigaretta, quando le si avvicina un uomo (Scianna) che inizia a conversare con lei. Tra i due c’è una chimica palpabile, che non nascondono e con cui, anzi, giocano apertamente. Al momento del lancio del bouquet, la coppia si allontana e si concede una danza solitaria, molto intima.
Man mano che la serata prosegue, emergono i trascorsi tra i due. Il loro primo incontro risale, infatti, ad anni prima. Ma, nel frattempo, tante, troppe cose, sono cambiate. Loro stessi sono cresciuti, maturati, impegnati.
Un amore oltre i confini che fa riflettere e immedesimare
La Lodovini e Scianna tornano a dividere la scena ed è un vero e proprio spettacolo, non solo per gli occhi. Il fascino e il carisma dei due interpreti monopolizzano quasi tutta l’attenzione, sebbene siano gli scambi di battute a dare forma e vita alle loro vicende sullo schermo. I protagonisti simboleggiano ciò che chiamiamo “anime gemelle”. Ma esisteranno davvero?
L’amore di cui si parla è qualcosa che trascende i confini del tempo e dello spazio, qualcosa che sembra non poter scemare nonostante tutto. Convivere con il dolore della separazione, con rimorsi e rimpianti, con la sensazione di aver perso, o forse sprecato, la propria occasione, costringe a fare i conti con se stessi.
Conversazioni con altre donne è un concentrato di sensazioni ed emozioni, in cui chiunque può riconoscersi e da cui può trarre ispirazione. La confezione offertaci da Conz è sempliemente perfetta, priva di sbavature e facili sentimentalismi, onesta e appassionata. E, sebbene si avverta sempre più spesso la mancanza di nuove idee, fa piacere notare come, a volte, il cinema italiano sia in grado di rinfrescare anche quelle già sfruttate.
Recensioni
Oppenheimer: il ritorno di Christopher Nolan lascia il segno | La recensione

Oppenheimer recensione – Newscinema.it
Dal 23 agosto 2023 in sala, distribuito da Universal Pictures, Oppenheimer è il nuovo monumentale lavoro di Christopher Nolan. La figura del celebre scienziato conquista il grande schermo e lascia un segno nella Storia.
Basato sulla biografia Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato di Kai Bird e Martin J. Sherwin, il film riporta dietro la macchina da presa uno dei migliori autori di sempre. A distanza di 3 anni da Tenet, Christopher Nolan sceglie ancora la Storia per regalare al suo pubblico un’esperienza – emotiva e sensoriale – indimenticabile.
Bastano veramente pochi secondi per rendersi conto della monumentalità dinanzi a cui ci si sta per trovare. Gli effetti sonori pompano, avvolgono, stupiscono. L’atmosfera sembra sospesa per un attimo infinitesimale, come le particelle atomiche prima dell’esplosione, poi non si torna più indietro.
Immerso, senza troppa gradualità, in vicende che hanno a che fare con fisica quantistica, teorie inconcludenti e alcune delle menti più brillanti di tutti i tempi, lo spettatore viene letteralmente bombardato – tanto per rimanere in tema.
Oppenheimer permette così di conoscere lo scienziato (e l’uomo!) che ha dato origine alla bomba atomica, con tutto ciò che ne consegue. Personaggio controverso e complesso, perseguitato da visioni e da calcoli impossibili, J. Robert Oppenheimer aveva un dono, quello di vedere oltre la superficie delle cose. Debole in matematica, ma incredibilmente intuitivo e coraggioso, riuscì ad arrivare dove nessun altro era mai giunto.
Oppenheimer | La trama del nuovo atteso film di Christopher Nolan
Nel 1926, J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) è un giovane studente all’Università di Cambridge, preso di mira dal professor Blackett (James D’Arcy) e ammaliato dalla figura di Niels Bohr (Kenneth Branagh). Le varie esperienze accademiche lo porteranno a voler tornare negli Stati Uniti, dove mancano gli studi in fisica quantistica.

Cillian Murphy in una scena in bianco e nero di Oppenheimer
Divenuto insegnante preso l’Università della California, a Berkeley, intrattiene rapporti di amicizia con il collega Lawrence (Josh Hartnett) e con la bella Jean Tatlock (Florence Pugh), membro del Partito Comunista. E saranno proprio i suoi legami politici a farlo entrare nel mirin0 del governo americano.
Sono gli anni della Seconda Guerra Mondiale: gli Ebrei cominciano a essere perseguitati e la Germania sta testando nuove armi nucleari. Oppenheimer viene contattato dal Generale Groves (Matt Damon), che lo mette a capo del Progetto Manhattan. Un team di scienziati da tutto il mondo sbarca a Los Alamos, in New Mexico, dove viene creata una vera e propria piccola città, per accogliere le famiglie di chi lavorerà insieme a Oppenheimer.
Il cinema di Nolan che merita attenzione
La cinematografia di Christopher Nolan meriterebbe di essere studiata nel dettaglio, perché ogni tassello che va a comporla contiene al suo interno una miriade di suggestioni. Oppenheimer non fa di certo eccezione, anzi.
Complice la complessità della figura del protagonista, la pellicola esibisce strati su strati da analizzare e valorizzare. A partire da quello più “semplice” – per quanto, in realtà, non lo sia affatto – dello stile visivo, per il quale il cineasta britannico è rinomato e apprezzato, sino ad arrivare alla simbologia di Prometeo.
180 minuti di narrazione, dentro la quale si alternano sequenze di ogni tipo, giocando con i vari piani temporali e con le sensazioni del pubblico, catapultato in un pezzo di Storia che ha cambiato per sempre il destino e il futuro dell’umanità.
Da sottolineare quanto i vari collaboratori, di cui si circonda Nolan, infondano prestigio, passione e potenza ai suoi progetti. Ne sono un esempio il compositore delle musiche Ludwig Göransson (già presente in Tenet) e il ricchissimo parterre attoriale, dove spiccano le performance di Murphy, Damon e Robert Downey Jr., nei panni di Lewis Strauss.
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