Venezia 75, Il Primo Uomo: Chazelle va sulla Luna con un film classico ma antiepico

La vera storia di Neil Armstrong, primo uomo ad aver messo piede sulla Luna dopo anni di estenuante dedizione alla propria professione, sembra essere perfetta per un film di Damien Chazelle, che fin dagli inizi parla di persone in grado di mettersi alla prova per raggiungere la perfezione nel loro campo (o un sogno che sembra lontanissimo, come in La La Land). Il Primo Uomo, infatti, non fa eccezione e spoglia la missione della Nasa di qualsivoglia fascino avventuroso, ma la racconta attraverso la perseveranza degli uomini che lavorano in quella struttura e che sono disposti persino a sacrificarsi per ciò che considerano un loro dovere.

Per far ciò Chazelle adotta una narrazione che fugge da ogni clamore, ma sembra voler narrare una delle vicende più significative del ‘900 come se questa non fosse poi così diversa da altre storie riguardanti successi in campo lavorativo ottenuti dopo tanta fatica e se il lavoro di Armstrong non fosse poi davvero così unico ed eccezionale.

Il Primo Uomo: la recitazione per sottrazione di Ryan Gosling e Claire Foy 

Aderendo al tono sommesso del film, i due attori protagonisti lavorano per sottrazione, misurando ogni reazione dei propri personaggi anche davanti alle rivelazioni più incredibili. Claire Foy (è lei che si occupa di guidare il marito quando è a terra) si dimostra bravissima nel declinare in maniera sempre differente una sola emozione, che è quella di una moglie preoccupata di non vedere più tornare il proprio uomo, mentre Ryan Gosling mette al servizio della storia il suo stile minimale, che generalmente rappresenta l’esatto contrario di ciò che comunemente si chiederebbe ad un attore che deve interpretare un ruolo così esposto a drammi e tragedie.

Dove il film di Chazelle fa più fatica ad emergere è invece nell’approfondimento psicologico dei suoi personaggi, che esattamente come in La La Land sono mossi dalle emozioni più elementari, quelle più semplici e meno fraintendibili. Ma Il Primo Uomo, a differenza di quel film, che parlava di sentimenti in una maniera così naive da essere accettabile solo in un contesto cinematografico come quello del musical classico hollywoodiano, è invece un’opera che ha i propri modelli di riferimento in un cinema decisamente più moderno e che non sempre ammette la trattazione così ingenua e semplicistica degli affetti dei propri protagonisti.

Il Primo Uomo: viaggio nello spazio privo di fascino avventuroso

Il viaggio nello spazio secondo Chazelle non è quindi qualcosa di suggestivo ed affascinante, ma qualcosa che richiede un impegno costante e che ha a che fare con cose più materiali di quanto si possa credere: una matita ed un taccuino per i calcoli da dover fare in volo, la ferraglia di navicelle che sembrano sempre destinate a rompersi non importa quanto nuove e moderne esse siano. Proprio quella precarietà che Armstrong percepisce ogni giorno sulla Terra, e che ci viene proposta nel film attraverso una funerea successione di addii,  non lo abbandona neanche in volo, dove anche un colpo sferrato per schiacciare una mosca che ronza nell’abitacolo potrebbe compromettere la riuscita dell’intera operazione. 

Il Primo Uomo ha quindi tutte le caratteristiche dei precedenti film di Chazelle (la pregevole fattura, la colonna sonora sempre ispirata, il velo vintage conferito dalla grana) eppure da esso non sempre emerge la bravura di un cineasta che prima con Whiplash e poi con La La Land aveva dimostrato di essere in grado di raccogliere l’eredità di un passato cinematografico a lui caro per intraprendere un percorso che era comunque inedito e singolare. Difficile comunque rimanere impassibili davanti alle scelte stilistiche di Chazelle (che riprende le sequenze in volo come se il suo fosse un film di quelli amatoriali a bassissimo budget) ed al senso di reale angoscia e preoccupazione che invade ogni scena e che è sempre percepibile. 

Il Primo Uomo – TRAILER