La vita in prigione del cantante R. Kelly

Il celebre cantante R. Kelly, giunto al successo con il brano I believe I can fly, da anni è in prigione con diversi capi di imputazione. Tra i ritardi delle cause a causa del Covid e le aggressioni in cella, lo scorso giugno è arrivata la condanna a 30 anni di reclusione.

La controversia giudiziaria che ha visto e sta vedendo imputato il cantante R. Kelly sta continuando senza sosta. Nel corso di questi anni, il produttore musicale americano è stato oggetto non solo di altre accuse di violenza da parte di donne e minori, ma anche di aggressioni in cella. Colluttazioni avvenute in attesa che si svolgessero i processi, rimandati continuamente, a causa della pandemia.

R. Kelly in prigione - Fonte Ansa Foto
R. Kelly presso il carcere di Chicago – Fonte Ansa Foto

L’inizio dell’incubo di R. Kelly

Era il 1994 quando il cantante ventisettenne R. Kelly decise di sposare la quindicenne e aspirante cantante Aaliyah Haughton. Un matrimonio che portò diversi malumori e che poi venne provato essere stato autorizzato da un documento falso. Due anni dopo iniziarono le accuse da parte di altre ragazze di aver subito lesioni personali e pressioni emotive. Come se non bastasse, oltre ad altre testimonianze, nel 2002 venne inchiodato con 21 accuse di pornografia infantile, concluso con un arresto in Florida.

Tra continue denunce e un documentario dedicato alla sua persona, tra musica e scandali, R. Kelly nel 2019 venne arrestato con 10 capi di imputazione per abusi sessuali criminali ai danni di 3 ragazze minorenni e una maggiorenne. Ad evitargli temporaneamente la galera fu la cauzione da 100 mila dollari, prima di ricevere un nuovo ordine di incarcerazione nel luglio dello stesso anno e senza la possibilità di pagare una cauzione.

Questa volta, oltre alle altre accuse, si aggiunsero: “sequestro di persona, lavoro forzato, sfruttamento sessuale di minori e produzione di pornografia infantile e ostruzione alla giustizia”.

Il ritardo dei processi per il cantante americano

Quando venne arrestato nel luglio del 2019, R. Kelly si dichiarò immediatamente non colpevole, sebbene non servì a nulla, visto che rimase nella cella del Metropolitan Correctional Center di Chicago. Durante il processo, giunto tre settimane dopo il suo arresto, Kelly dichiarò di aver fatto parte solo di un’organizzazione creata dai manager e dai suoi assistenti, con l’unico intento di promuovere la sua musica.

Il giudice Tiscione non solo decise di respingere la sua difesa ma gli negò un’altra volta, la cauzione lasciandolo in carcere. Ad aggravare ancora di più anche il suo disagio psichico e fisico, dimostrato dalla barba incolta e dall’aumento di peso, anche l’inizio della pandemia da Covid-19. Un virus che bloccò tutto il sistema giudiziario mondiale, compresi i suoi processi. Vano fu il tentativo dei suoi avvocati di farlo scarcerare per evitare che potessero aggravarsi le patologie all’interno della struttura carceraria, a seguito del coronavirus.

La detenzione nel carcere di Chicago, tra la mancata socializzazione con gli altri carcerati e l’isolamento per la sua sicurezza (a causa di una rissa nella sua cella) non hanno fatto altro che compromettere ancora di più il suo stato di salute mentale e fisico. A nulla sono valsi gli appelli di rilasciarlo, mossi su Twitter da parte dei suoi amici e sostenitori, preoccupati per le sue sorti.

La condanna a 30 anni di prigione

Nel momento in cui, l’allarme pandemico è rientrato, tutto il mondo ha iniziato a funzionare come prima, compreso il sistema giudiziario americano. Di fatti, lo scorso 29 giugno 2022, R. Kelly venne ritenuto colpevole dalla corte di New York per aver adescato donne e minori per motivi legati al sesso.

Per cercare di fargli ridurre la pena, il suo avvocato cercò anche di far leva sul buon cuore della giuria, ricordando che lo stesso Kelly in passato era stato vittima di abusi. Ma sfortunatamente per lui, la richiesta venne declinata senza ulteriori indugi, arrivando alla condanna di 30 anni di reclusione.