Festival
Presentato a Roma il 29° Torino Film Festival
Si è svolta oggi, presso la Casa del Cinema di Roma, alla presenza del Sindaco di Torino, Piero Fassino, del direttore del Festival, Gianni Amelio, della vice direttrice Emanuela Martini e dei direttori delle varie sezioni, Massimo Causo per Onde e Davide Oberto per Italiana.corti ed Italiana.doc, la conferenza stampa di presentazione del Torino Film Festival, manifestazione giunta alla sua 29esima edizione ed oramai riconosciuta a livello internazionale. Il Sindaco in carica ci ha tenuto a sottolineare con queste parole la sua presenza alla presentazione della rassegna cinematografica:
Piero Fassino: Mi chiedevate perché il Sindaco alla presentazione del Festival? Per più ragioni, innanzitutto sono il Sindaco della città che ospita questa manifestazione, secondo poi, il cinema è nato a Torino, non a caso la città ha un Museo del Cinema importante a livello internazionale, un’istituzione riconosciuta globalmente. È un Festival che è nato quasi come una sfida tanti anni fa, per un certo periodo è vissuto come festival di nicchia e via via è cresciuto, diventando una grande kermesse, un punto di riferimento importante nelle rassegne cinematografiche internazionali. Infine, la mia presenza qui è per testimoniare cosa sia diventata Torino in questi ultimi anni, il modello di identificazione sociale tra il punto di vista produttivo – industriale della città l’ha fatta diventare una tra le prime città del mondo ma ora è cambiato e la città ha dovuto fare i conti con la ricerca di una nuova identità. Oggi Torino non è più ad una vocazione sola ma è un polo pluri-funzionale, città di università, di scambio e grande città di cultura. È questo il nuovo profilo della città, siamo diventati addirittura una città turistica, il turismo è in aumento, grazie proprio alla cultura che è divenuta uno dei grandi punti di forza della città. Ecco perché sono qui, per dare il mio sostegno a questa manifestazione, importantissima a livello nazionale ed internazionale.
Un percorso iniziato 29 anni fa quello di questo Festival, che giunge oramai ad una consapevolezza maggiore rispetto alle prime edizioni, volta a mettere d’accordo sia il pubblico di nicchia che quello fruitore di film da botteghino, senza mai perdere di vista il gusto e l’aspetto autoriale che contraddistingue la kermesse del Festival, come ha tenuto a ribadire il Presidente in carica, Gianni Amelio:
I numeri sono importanti per questa edizione del Festival, il primo anno è stata un’avventura, il secondo probabilmente anche, ma il terzo è stato una sintesi di quello che avevamo creato. Dissi di voler allargare gli orizzonti del Festival, di voler portare un pubblico sempre maggiore rispetto a quello di nicchia e come fare se non dando anche qualche opportunità un po’ più alla portata del pubblico di massa? Io ho cercato di portare il pubblico della domenica dentro le sale ed abbiamo continuato su questa linea, che secondo noi non è una scelta populista o volta ad accontentare i palati facili, piuttosto indirizzata a far arrivare alla portata di tutti una manifestazione così importante. Ci sono tanti esempi illustri che ci dicono che il grande spettacolo è anche grande cultura. Un limite se così lo possiamo definire è quello di voler prendere nella selezione del concorso ufficiale solo opere prime, seconde ed al massimo terze di autori nazionali ed internazionali. Questa non è mai stata una limitazione per il nostro festival, al contrario, il pubblico è sempre aumentato, la gente si riconosce con i registi debuttanti, capisce che il lavoro per il cineasta presente in sala è solo all’inizio ed i sogni probabilmente sono gli stessi.
Il Torino Film Festival si conferma quindi per la sua 29° edizione un appuntamento cinematografico di assoluto rilievo, punto di riferimento a livello internazionale per gli operatori del settore. Una manifestazione, come dicevamo prima, che non ha mai perso la sua identità visionaria, mantenendo l’attenzione dei cinefili più rigorosi, riuscendo comunque a conquistare nel corso degli anni anche il grande pubblico. L’edizione di quest’anno, prevede oltre 200 film, confermando la sua linea di “Festival nel Festival”. Tra le numerose sezioni rientrano infatti il concorso ufficiale “Torino 29”, Italiana.Doc, Italiana.Corti, Rapporto Confidenziale, dedicata quest’anno all’eccentrico e travolgente cineasta giapponese Sion Sono, Onde la sezione dove la tradizione di ricerca e di rinnovamento del Festival si spinge ancora più in là, nei territori ai margini dei generi, dei linguaggi e degli standard cinematografici ed infine Festa Mobile che propone un viaggio attraverso i film appartenenti ai generi più disparati, come ha spiegato la vice direttrice del Festival, Emanuela Martino:
Festa Mobile è divisa in due sezioni, “Figura con Paesaggio” e viceversa, la prima, dedicata in particolare ai film di finzione, l’altra, “Paesaggio con Figure” verte verso il vasto mondo del documentario. Sono film quasi tutti che partecipano al concorso documentari internazionali. Un grazie va ai distributori che hanno creduto in noi, quest’anno più che mai e che ci stanno dando un grosso aiuto. Ci sono parecchi film di genere, ma anche thriller, horror, commedie americane e non, il nuovo film di Alexander Payne con George Clooney che uscirà a dicembre, ed una commedia italiana che assomiglia ad una commedia americana che è “Un giorno in più” con Fabio Volo e la Ragonese. Ci sono due film che sono un piccolo evento congiunto, americani, che sono in bilico tra la finzione e la ricerca di nuovi linguaggi, sempre narrativi, non verso il documentario ma in bilico tra festa mobile e la sezione sperimentale di “Onde”. Una delle cose a cui tende Festa Mobile, visto che di festival metropolitano si tratta, è quella di inserire film underground che abbiamo già visto ad altri festival.
Laura Morante sarà la madrina del festival mentre la Giuria vanta un grande Presidente , vincitore della Palma d’Oro nel ‘73 a Cannes con Lo Spaventapasseri, Jerry Schatzberg, affiancato dal produttore Michael Fitzgerald, dall’attrice nostrana Valeria Golino, del regista indiano Shekhar Kapur e dalla regista filippina Brillante Mendoza.
Dal 2008 inoltre, il TFF ha concepito, grazie al sostegno del Comune di Torino, della Regione Piemonte e del Ministero dei Beni Culturali, il Torino Film Lab, è giunto alla 4° edizione e promosso come ogni anno dal Museo Nazionale del Cinema e dalla Film Commission Piemontese. La direttrice del Lab, Savina Neirotti, l’ha così presentato:
Torino Film Lab, nato nel 2008 ha 4 programmi di formazione, un mercato di co-produzione dove più o meno una quarantina di progetti da tutto il mondo vengono presentati a produttori internazionali. La parte fondamentale è anche quella dei Production Awards, dei 15 premiati delle scorse produzioni per esempio dieci sono stati prodotti, speriamo che l’anno prossimo questa sezione vada ad ingrandirsi. I premi di produzioni che sono fondamentali sono affiancati dal premio ARTE che va a quei progetti ad uno stadio iniziale, 6000 euro che vanno ad incentivare i progetti giovani.
Insomma, un Festival che promette come ogni anno grandi momenti di grande cinema, rivolto ad un pubblico variegato ed in particolare con un occhio rivolto al cinema indipendente. L’appuntamento è quindi dal 25 Novembre al 3 Dicembre nella fantastica cornice della città di Torino.
Festival
Berlinale 73: Inside, la recensione | Un incubo a occhi aperti tra quattro mura

La recensione di Inside – Foto: Newscinema.it
Presentato al 73° Festival di Berlino, Inside conta 105’ di durata e fa parte della sezione Panorama.
Regia e soggetto sono a cura di Vasilis Katsoupis mentre la sceneggiatura di Inside è firmata da Ben Hopkins. Il protagonista assoluto di questo thriller dalle sfumature comedy-drama è Willem Dafoe e verrà distribuito nelle sale statunitensi il 10 marzo 2023, attendiamo la conferma italiana.
La trama di Inside
Il ladro d’arte Nemo rimane intrappolato in un attico a Times Square durante un furto che finisce male. Con il passare dei giorni il suo stato mentale comincia a peggiorare e dovendo combattere con la fame e la sete, dovrà escogitare un piano per trovare una via di fuga, per restare lucido e per adattarsi alle disagianti condizioni, ormai inevitabili.
Il one man show di Willem Dafoe
Ci sono film che abbracciano il proprio protagonista cucendogli addosso un ruolo perfetto e imbastendo intorno a lui un ambiente congeniale che punta al risultato sperato. Mai come in questo caso la definizione può essere più appropriata, questo film è Willem Dafoe.
Un uomo imprigionato senza via di fuga che dopo averle provate tutte inizia a testare i propri limiti, finendo per immaginare soluzioni e fantasticare tra folli visioni. Il ladro lo sappiamo, è una figura negativa che solitamente dovremmo identificare come antagonista ma che qui trova un risvolto opposto.
Nemo è un uomo che non avverti mai come ostile, ti trovi ad empatizzare totalmente con lui e quasi ti dimentichi che si meriti di essere imprigionato lì e magari anche scoperto, in quanto giunto in quella situazione per qualcosa che sostanzialmente non andava fatto.

Willem Dafoe in Inside – Foto: Berlinale 73
Un incubo a occhi aperti tra quattro mura
Freddo glaciale o caldo torrido, mancanza di una fonte d’acqua, istinto di sopravvivenza e di adattamento, di certo quello che a prima vista pare essere un attico pieno di comfort, diventa in un attimo un ambiente avverso dove la tecnologia, da cui ormai dipendiamo, da utile si fa nemica.
Questa interessantissima opera filmica è capace di diversificare la propria direzione, partendo da qualcosa di inizialmente molto concreto e arrivando a compiere un viaggio più concettuale. Già capace di affascinare al suo primo lungometraggio dunque, il regista greco pare avere le idee ben chiare sulla direzione verso cui portare il proprio cinema.
Un po’ come il connazionale Yorgos Lanthimos, percorre una strada che parte dal realismo e finisce nella criptica isola del sottotesto ermetico, quello in cui è necessario un lavoro mentale da parte dello spettatore per essere elaborato al meglio.
Inno all’arte
L’arte e la sua realizzazione, l’inventiva, la ricerca di soluzioni che stimolano la creatività sfociando in qualcosa di ricercato, di contemporaneo, di artisticamente riflessivo. Muffa, sudore, rabbia, rassegnazione, tanti sono gli elementi simbolici o le sensazioni percepite, che portano ad un unica domanda: fin dove si può spingere un uomo?
Un essere umano in trappola, messo a dura prova dalla situazione che involontariamente si trova a vivere, sopraffatto dal proprio istinto, troverà il modo di far pace con sé stesso e con l’ambiente circostante in un equilibrio quasi spirituale. Molto silenzioso Dafoe gioca con sé stesso, recita per sottrazione, talvolta interagendo soltanto con la mimica facciale, altre con gli oggetti presenti in scena o qua e là parlando un divertente italiano.

Inside film – Foto: Newscinema.it
Non mancano infatti passaggi simpatici, dalla Macarena agli easter egg brillanti disseminati in ogni dove, che grazie ad un ottimo lavoro di montaggio esaltano ancor di più il ritmo e il talento dell’attore, chiamato a reggere sulle proprie spalle l’intero lungometraggio.
In conclusione ci troviamo immersi in un mondo nascosto tra condizioni critiche poco rassicuranti e ostacoli decisamente ingombranti, che pulsa però quasi inconsapevolmente di innata genialità artistica e si fa metafora di quello che Nemo sta pian piano realizzando, come fosse un inception di strutture a matrioska. Un inno all’arte dunque, alle menti creative e al prepotente ma essenziale concetto “Non c’è creazione senza distruzione”.
Festival
Berlinale 73 | Suzume, il nuovo sorprendente film animato dal regista di Your Name

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Suzume, il nuovo film d’animazione del regista di Your Name si rivela un’opera avvincente, intrigante e sorprendente, presentata in concorso alla 73esima edizione della Berlinale.
È stato presentato a Berlino il nuovo film d’animazione del regista giapponese Makoto Shinkai, che nel 2016, con Your Name, aveva commosso milioni di spettatori in tutto il mondo, fino a guadagnarsi la stima che si riserva ai nuovi maestri e, in alcuni casi, persino lusinghieri paragoni con Hayao Miyazaki.
Il suo nuovo Suzume è un’opera avvincente, intrigante, sconcertante: un film catastrofico sci-fi spettacolare che si fa saggio sulla natura e la politica, attraversato da elementi comici folli e stravaganti che in alcuni momenti ne deviano la narrazione e ne cambiano drasticamente il tono.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Già in Your Name, il regista aveva inventato un disastro – un enorme impatto meteorico – quasi sicuramente ispirato al terremoto del Tōhoku del 2011. Con Suzume, adesso, fa esplicito riferimento alle scosse e allo tsunami del 3/11 nel prologo del film, quando la protagonista si ritrova in quella che sembra ESSERE una dimensione parallela in cui regna una devastazione surreale, con case ridotte in macerie e barche spettrali incagliate dopo misteriosi naufragi.
Il resto del film si svolge circa un decennio dopo, a partire da Kyushu (purtroppo, isola che è stata colpita da un terremoto di magnitudo 5,6 appena sei settimane prima dell’uscita del film, dando ulteriore rilevanza e attualità al suo messaggio). Una mattina, in sella alla sua bicicletta, Suzume incrocia un bel giovane che cammina nella direzione opposta, e con uno stratagemma visivo preso in prestito dal cinema live action, il tempo rallenta e la regia cattura la scintilla che scatta romantica tra loro.
Lo straniero si chiama Souta Manakata e si presenta a Suzume come un “Closer”, ovvero qualcuno incaricato di chiudere una serie di portali mistici per evitare che gigantesche creatura fuggano attraverso essi e continuino a causare disastri in tutto il Paese (vermi in computer grafica che rivelano la loro pericolosità e la loro alterità anche come corpi estranei rispetto al gentile tratto bidimensionale del film). Souta, però, all’inizio del viaggio si trasforma in una sedia per bambini a tre gambe: un’idea stravagante per un compagno di viaggio che si rivela però sorprendentemente efficace.
Il film, infatti, riesce a rendere Souta molto più espressivo nella sua semplice forma geometrica di sedia rispetto a quando, da ragazzo in carne ed ossa, non può che essere il generico oggetto d’amore della protagonista. E anche in questo rifiuto di un sentimentalismo molto vecchio e abusato sta la modernità del film di Shinkai, che stavolta decide di dare un tocco contemporaneo e giovanile al suo film collaborando nuovamente con la rock band Radwimps, affiancata qui dalla strumentazione del compositore Kazuma Jinnouchi, e incorporando nella narrazione la tecnologia moderna e l’utilizzo dei social network. Lo stesso design del gatto Daijin quasi certamente ricorderà ai fan più giovani quello cattivo dello show Puella Magi Madoka Magica.

Una scena del film Suzume (fonte: IMDB)
Strutturato come un road movie, Suzume invita il pubblico ad un tour del Giappone, sorvolando sui punti di riferimento familiari, come il Monte Fuji, e concentrandosi invece sui luoghi che rappresentano il patrimonio in via di estinzione del Paese del Sol Levante. Ma è la direzione dell’animazione di Kenichi Tsuchiya, che si impone con i suoi dettagli sbalorditivi, che rendono Suzume un oggetto di misteriosa bellezza nei suoi cieli notturni e negli skyline pittorici delle diverse città. La protagonista entra in connessione con il pubblico come un’adolescente in movimento e in subbuglio, comandando il percorso emotivo della narrazione.
“Il peso dei sentimenti delle persone è ciò che soffoca la Terra”, dice Souta nel film: ed è questo il manifesto di Shinkai su come la vita interiore e la topografia giapponese siano strettamente dipendenti l’una dall’altra. E proprio come nel film The Garden of Words, in cui aveva già spiegato la sua tesi emotiva attraverso la poesia Man’yōshū, Suzume è uno sforzo che cerca di restituire la complessità di un mondo interiore con umorismo e pathos, legandolo alle sorti della Terra, del mondo che sta fuori.
Festival
Berlinale 73 | Infinity Pool, Mia Goth: “Non mi sottraggo mai davanti a questo tipo di film”

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Mia Goth e Alexander Skarsgard hanno rivelato di essersi divertiti molto a realizzare Infinity Pool, il thriller “provocatorio” e “viscerale” del regista canadese Brandon Cronenberg, presentato in anteprima europea alla 73esima Berlinale.
È stato presentato in anteprima europea alla 73esima edizione della Berlinale l’atteso Infinity Pool, nuovo controverso thriller diretto da Brandon Cronenberg. Il regista ne ha parlato insieme ai protagonisti Mia Goth e Alexander Skarsgard in una conferenza stampa con i giornalisti, approfondendo le tematiche del film e affrontando le controversie legate ad esso.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
L’attrice britannica, oggi famosa specialmente per essere protagonista e co-creatrice della trilogia horror di Ti West cominciata con X – A Sexy Horror Story, ha detto di aver apprezzato molto l’aspetto “provocatorio” del suo personaggio. “Non mi sottraggo mai a questo tipo di materiale e a questo tipo di film”, ha detto ai giornalisti.
“Trovo che all’interno di questo tipo di storie ci siano personaggi davvero impegnativi che mi permettono di esplorare sfaccettature di me stessa che non mi sento molto a mio agio a rivelare al di fuori di un set. Gabi è un personaggio molto vario e dinamico. All’inizio è una donna piuttosto dolce e senza pretese e alla fine del film la vediamo invece completamente selvaggia e scardinata, solo primordiale”, ha spiegato Goth.
Il personaggio di Skarsgard, invece, è uno scrittore in difficoltà, burattino di un gioco perverso e pericoloso. “Si capisce già nel suo primo incontro con Gabi che non gli ci vuole molto per seguirla come un cane affamato”, ha affermato l’attore. “È stato abbastanza divertente giocarci con quanto fosse credulone e quanto fosse facile manipolarlo. Volevo uscire dalla mia testa… buttarmi lì dentro, in questo mondo, e vedere cosa sarebbe successo. È un film così viscerale, in cui succedono tante cose”.
I due personaggi, però, sono uno lo specchio dell’altro, come suggerito da Goth. “Penso che Gabi possa ritrovare molto di se stessa in James. Ed è anche per via di questo riconoscimento che le è così facile rivoltarlo come un calzino. Perché hanno lo stesso background culturale, lo stesso status sociale e, cosa più importante, hanno entrambi una vita di insuccessi e di fallimenti. Hanno modi diversi di affrontare questa condizione, ma da dentro penso siano molto più simili di quanto sembri”, ha spiegato l’attrice.
Berlinale 73 | Brandon Cronenberg:“Un prossimo film tratto da Ballard”
Il film è in parte ispirato, per ammissione dello stesso regista, al romanzo di Super-Cannes di J. G. Ballard, pur non trattandosi di una vera e propria trasposizione fedele o ufficiale. “Adoro Ballard e in passato ho pensato spesso di adattare il suo libro per il cinema, ancora prima di realizzare Infinity Pool.
Quindi sicuramente c’è un po’ di questa influenza nel film. Non è la stessa cosa, ma sicuramente il mood è quello. Siamo attualmente in fase di trattativa con chi detiene i diritti di Super-Cannes per riuscire a realizzare un adattamento cinematografico nel prossimo futuro. Mi piacerebbe molto farlo”, ha annunciato il regista.

Conferenza stampa di Infinity Pool alla Berlinale 73 (fonte: NewsCinema.it)
Di Infinity Pool si è parlato, e si continuerà a parlare, specialmente per le sue scene più esplicite e disturbanti. “Non trovo particolarmente utile avere degli intimacy coordinators (figure che garantiscono il benessere di attori e attrici che partecipano a scene di sesso o ad altre scene intime in un film) sul set”, ha dichiarato Mia Goth.
“E probabilmente questo è dovuto al fatto che ho sempre lavorato con registi fantastici: sensibili, gentili e professionali. Come appunto Brandon Cronenberg. Spesso è meglio girare la scena senza perdere troppo tempo a discutere di cosa si può o non si può fare. È una situazione che crea più imbarazzo che altro. Se c’è fiducia tra gli attori e con il regista, basta quello”.
Cronenberg ha poi scherzato sulle notizie apparse sui giornali relative a degli spettatori, nelle diverse presentazioni del film in giro per il mondo, che hanno abbandonato la sala dopo essersi sentiti male davanti alle scene più disturbanti: “In realtà, poche persone hanno lasciato la sala durante queste proiezioni. Devo dire che siamo un po’ delusi. Forse non abbiamo fatto un buon lavoro. Quando abbiamo mostrato il film ai nostri amici, pochissimi hanno riso davanti all’umorismo molto perverso della storia. E pensavamo di essere spacciati. Invece il pubblico sembra averlo compreso”.
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