A Complete Unknown, la recensione: Bob Dylan può ritenersi soddisfatto?

Timothée Chalamet alias Bob Dylan in una scena di A Complete Unknown
Timothée Chalamet alias Bob Dylan in una scena di A Complete Unknown (fonte: Ufficio stampa - Newscinema.it)

L’attesissimo biopic musicale con protagonista il pupillo di Hollywood Timothée Chalamet, è finalmente giunto nelle sale italiane il 23 gennaio. Pronto a far vibrare l’impianto sonoro di ogni cinema dello stivale, racconta l’ascesa di una delle icone più memorabili di sempre.

Elettrizzante
3.9 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Sulla carta era senza dubbio rischioso mettere in scena la storia del mitico Bob Dylan. Si sa però che quando il rischio è elevato anche il risultato può esserlo. La percentuale delle possibilità è esattamente a metà tra lo sprofondare nell’abisso dei disastri e il balzare sul trampolino del successo.

Come un vero e proprio ossimoro, A complete unknown è innegabilmente un Blockbuster ma la sua anima sa di indie. Incassi che lievitano, una major come la Searchlight / Disney alle spalle e il gradimento da parte del pubblico che pare mettere d’accordo quasi tutti. Questo suo essere decisamente commerciale lo trascina verso una definizione di partenza che va però a collidere con ciò che il film restituisce.

Un blockbuster intimo

Come dicevamo, il rischio era alto e con lui l’ambizione di mettere in scena un biopic di questo genere, ma ciò che ci si trova davanti una volta seduti al buio sulla poltroncina del cinema, è qualcosa di inaspettato. Pur essendo classico nella narrazione e non avendo guizzi stilistici vorticosi, riesce comunque a sorprendere per un elemento forse ancora più identitario: l’anima. A complete unknown infatti, trasmette vibrazioni definibili quasi confidenziali. Molto personale e pacato trova una dimensione intima su cui viaggiare e non la molla mai.

Elle Fanning e Timothée Chalamet in una scena di A Complete Unknown
Elle Fanning e Timothée Chalamet in una scena di A Complete Unknown (fonte: Ufficio stampa – Newscinema.it)

Timothée e gli anni di preparazione

Cinque lunghi anni

sono passati da quando questo ragazzo, capace di incantare ripetutamente il mondo del cinema odierno, iniziò a preparare voce, movenze e capacità sonore per questo film. Chi vi scrive ne ha la certezza in quanto l’ha sentito dire proprio da Chalamet in persona durante le interviste a Roma (cliccate qui per recuperare le domande che gli abbiamo fatto noi).

I costumi e il make-up poi, sono determinanti nel costruire il personaggio. L’evidente mutazione che Timothée fa, impersonando Dylan attraverso un ventaglio espressivo dilatato in diversi anni, va di pari passo all’idea estetica su cui il team creativo ha lavorato. Sono tre le fasi principali su cui si è ragionato: in primis l’arrivo a New York, poi l’entrata in scena nel contesto folk dell’epoca e infine il cambiamento definitivo sia in termini musicali che introspettivi.

Da ragazzino trasandato con unghie sporche e look abbozzato, all’icona del rock and roll, sempre alternativa ma più caratterizzata. Un lavoro mutevole di evoluzione sia artistica che estetica, ma mai concettuale. Dylan infatti (e quindi Chalamet di conseguenza) avvia un percorso di formazione diretto verso un cambiamento quasi involontario. Lui ha ideali saldi e precisi che non muteranno mai in termini di acutezza mentale. L’integrità di questo artista è inviolabile, non può essere corrotta o scalfita, resta e resterò indelebile.

Un ponte tra vecchie e nuove generazioni

A complete unknown

racconta una parabola di vita, uno sguardo parziale sull’ascesa di Bob Dylan e di quello che viene etichettato come il suo passaggio “elettrico”. Adiacente al libro su cui si basa Dylan Goes Electric! di Elijah Wald, il biopic diretto e in parte sceneggiato da James Mangold non va alle origini della sua esistenza né tantomeno arriva ai giorni nostri, bensì sceglie di circoscrivere e mostrare una manciata di anni, fondamentali per la maturazione artistica del cantautore.

Siamo a New York nel 1961 e un solitario diciannovenne del Minnesota arriva sulle scene armato solo di chitarra e incontenibile talento. Sullo sfondo palpita una crescente realtà musicale mentre intensi sconvolgimenti culturali si fanno strada giorno dopo giorno. Questo ragazzo, destinato a cambiare il corso della musica americana, stringe via via rapporti solidi con icone del Greenwich Village, cercando però di procedere lungo un cammino che non tradisca mai i proprio ideali.

Questo è ciò che A complete unknown promette sulla carta, ma la parte migliore è difficile da trasmettere a parole. Come sanno fare i grandi film, questo biopic disegna perfettamente un contesto storico fatto di movimenti per i diritti civili e lotte razziali senza ricorrere a spiegoni o forzature. Lo fa spontaneamente, con scene sporadiche ma funzionali e soprattutto esibendole in un alone bilanciato e coinvolgente.

Ecco dunque che, grazie a questo e ad una scrittura capace di veicolare la profonda morale che le musiche di Bob Dylan nascondono, A complete unknown diventa facilmente un ponte tra i fan del passato e le nuove generazioni. L’augurio è che riesca anche ad istruire almeno una percentuale di questi giovani verso una musica di confine, autentica e rivoluzionaria, purtroppo molto lontana da quella odierna.

Monica Barbaro nel ruolo di Joan Baez
Monica Barbaro nel ruolo di Joan Baez (fonte: Ufficio stampa – Newscinema.it)

Il successo distrugge

C’è chi brama il successo e chi invece cerca solo di esprimersi attraverso l’arte. Bob Dylan fa decisamente parte del secondo gruppo. Oltre alle varie letture e alle suggestive melodie che risuonano nei 141 minuti di durata, A complete unknown fa un interessante discorso sull’arte, gli artisti ma più di tutto sulla fama. Non è semplice fare i conti con folle che ti acclamano quando il tuo unico desiderio è fabbricare canzoni in nome della libertà di espressione. Ecco dunque che tra tutti i compartimenti narrativi del film, ne emerge uno in particolare, forse il più stimolante.

Dylan avverte chiaramente una rottura artistica a un certo punto, questo perché da ragazzo libero di esternare l’essenza della propria anima, deve iniziare a fare i conti con il successo. Ciò che quest’ultimo comporta ha spesso, soprattutto per alcuni, più risvolti oscuri che luminosi.

L’ambizione degli esordi viene spazzata via da folle che pretendono, l’audacia dei testi originali ostacolata da uno staff che esige regole, la pressione di essere una star calpesta il bisogno di essere liberi. Ma Bob Dylan non è come chiunque altro, alla fine dei conti sceglie sempre per se stesso. Emblematica una sequenza sul finale che sovverte ogni aspettativa, risuonando di coraggio liberatorio.

In A complete unknown vedrete quindi il Bob Dylan ragazzino diventare uomo, la sua sicurezza intensificarsi, il talento esplodere. Tutto questo in un arco narrativo raccontato benissimo da James Mangold, con linearità, delicatezza e quel tocco sensibile che, con tutta probabilità e un po’ di anni, lo convertirà in memorabile.

James Mangold e Timothée Chalamet sul set di A Complete Unknown
James Mangold e Timothée Chalamet sul set di A Complete Unknown (fonte: Ufficio stampa – Newscinema.it)

Candidato a otto premi Oscar A complete unknown è ora nelle sale italiane grazie a Searchlight Pictures. Nel cast anche dei validissimi comprimari come Monica Barbaro nel ruolo di Joan Baez, Edward Norton alias Pete Seeger, Elle Fanning come Sylvie Russo e Boyd Holbrook nei panni di Johnny Cash.

By Lorenzo Usai

Contraddistinto da una passione cinefila quasi maniacale, cresciuta in me come una vocazione, cerco ogni giorno che passa di scoprire sempre di più, farmi esperienza, parlare e scrivere di questo magico mondo. Fin da piccolo sono sempre rimasto incantato dal cinema, la sala, l’enorme schermo davanti a me e tutte le storie che mi portano dentro ad infiniti mondi, vivendo esperienze come in prima persona. Insomma i film emozionano, insegnano, confortano, incoraggiano, divertono, sono una potenza reale e concreta, per me non sono un passatempo ma un vero stile di vita.

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