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Una eredità immortale: perché Alberto Sordi è ancora rilevante oggi

Ricorrono oggi i 105 anni dalla nascita di un vero e proprio genio del cinema italiano: Alberto Sordi. Un genio che però, come tanti, non fu capito subito.

Alberto Sordi era un genio. Un genio che però, come tanti, non fu capito subito. Oggi che ricorrono i 105 anni dalla nascita è facile citare i tanti ruoli memorabili e i personaggi indimenticabili, ma quando Sordi iniziò non era che un marginale comico della radio con una preparazione d’attore che quando poteva scriversi qualcosa per sé creava solo personaggi completamente folli, spesso incomprensibili a un pubblico abituato a tutt’altro tipo di comicità. Un genio folle, appunto, che lavorava però in un mondo e un’industria che accettavano solo un certo grado di quella follia.

Come raccontato dallo stesso Sordi, l’idea di cominciare dalla radio derivò proprio dai primi insuccessi come attore, che lo convinsero che quella non sarebbe stata la strada giusta per lui. «Non avevo le physique du rôle, il fisico di un attore comico.

Non c’era niente in me che facesse ridere, così mi ci volle molto tempo per arrivare al successo, sia in teatro sia al cinema. Mi venne allora l’idea di utilizzare un canale più diretto, più diffuso, la radio» (da conversazioni di Alberto Sordi, come documentato in d’Amico, La commedia all’italiana).

La fortuna volle che uno di questi suoi personaggi radiofonici piacque talmente tanto a Vittorio De Sica da proporgli una trasposizione cinematografica in Mamma mia, che impressione! del 1951, quello che sarebbe diventato il primo film da protagonista di Sordi, attraverso la neonata P.F.C. (Produzione Film Comici).

Alberto Sordi: la carta matta del cinema italiano

Da quel momento in avanti, e lungo tutti gli anni ‘50, Sordi riuscì a girare due film con Fellini e uno con Pietrangeli, oltre ai molti da protagonista assoluto (Un eroe dei nostri tempi, Il Vedovo, Il Moralista).

Ma soprattutto ebbe modo di lavorare in maniera febbrile come spalla in tantissimi altri lungometraggi, in cui compariva come la guest star a briglie sciolte che veniva utilizzata come carta matta per sparigliare il racconto e cambiare completamente il ritmo della narrazione, alzando di volta in volta l’asticella di quello che si poteva dire e fare al cinema in Italia.

È in quei film lì che paradossalmente emerge il Sordi più rivoluzionario, totalmente demenziale, imprevedibile, esilarante e cattivissimo. Fu il primo, molti anni in anticipo su Paolo Villaggio, a lavorare sulla pura cattiveria come arma di comicità, con un umorismo dato dalla meschinità e dal politicamente scorretto (per gli anni ‘50), che faceva ridere attraverso cose turpi e rompendo tabù.

Non a caso Rodolfo Sonego, a proposito di Alberto Sordi, disse: «C’è una specie di follia in Sordi. Se gli presentavano un mostro, anche un politico pericoloso da rappresentare, perché l’Italia non sempre è stata così libera nei suoi costumi e nelle sue strutture, lui aveva una specie di forma d’incoscienza e l’accettava. Era quasi attratto dal «male», dal pericolo. Io gli proponevo qualche cosa di impossibile per quei tempi, ma una volta accettato dal pubblico rappresentare dei mostri è diventato la normalità».

Un esempio emblematico? Il Nando Moriconi di Un Giorno in Pretura, che poi avrebbe avuto uno spin-off a sé dedicato in Un Americano a Roma. Con la sua sola presenza era capace di creare un intero universo demenziale che il nostro cinema non conosceva ancora- Personaggi assurdi e incredibili che non necessitavano di essere tali in sceneggiatura, perché ci pensava lui.

Non c’era nemmeno da andare a guardare chi fossero di volta in volta gli sceneggiatori dei film, perché era evidente che molte di quelle idee provenissero direttamente da Sordi. Si tratta di un periodo di grande ribellione ai codici della commedia all’italiana, che termina più o meno con l’uscita de La Grande Guerra, che vincerà il Leone d’oro al Festival di Venezia e rappresenterà una grande svolta per tutti gli attori coinvolti.

Da lì in avanti, e con I Magliari di Rosi, comincerà tutta un’altra fase per Sordi: una fase diversa, in cui molto di quel demenziale verrà irregimentato e messo a servizio di un cinema più impegnato, più ambizioso e meno locale. Quel prototipo d’attore rappresentato da Sordi per più di un decennio, però non sarebbe mai più tornato nel nostro cinema.

Sordi lo stra-italiano

Sordi, con i suoi personaggi, ha messo in scena un campionario variegato e impietoso della tipologia sociale italiana. Ed è stato fortemente criticato per questo. Anche da firme illustri come quella di Pier Paolo Pasolini, che accusava Sordi di rappresentare il peggio degli italiani. «Alla comicità di Sordi – diceva Pasolini – ridiamo solo noi italiani. Ridiamo, e usciamo dal cinema vergognandoci di aver riso, perché abbiamo riso sulla nostra viltà, sul nostro qualunquismo, sul nostro infantilismo».

Non era un’osservazione del tutto sbagliata, dal momento che anche la critica cinéphile francese, ma anche quella di molti altri Paesi, bacchettava in quel periodo l’abitudine sordiana di irridere il male fino alle sue più estreme conseguenze. E come non citare la celeberrima sequenza di Ecce bombo, in cui Nanni Moretti, capelli lunghi, camicia bianca svolazzante fuori dai pantaloni, esasperato, aggrediva l’avventore di un bar che discettava di italianità in un trionfo di qualunquismi, urlando: «Ma che siamo in un film di Alberto Sordi? Te lo meriti Alberto Sordi, te lo meriti».

Il caso di lesa maestà divenne subito leggendario e lo stesso Moretti, molti anni dopo, in un video in cui parlava del suo cinema durante una lezione di Pilates, ha raccontato: «Il pubblico delle proiezioni di Ecce bombo era sempre generoso, disponibile, ridanciano… ma quando arrivava la battuta su Sordi calava in sala un gelo, come se avessi bestemmiato in chiesa».

Sordi ne Lo Sceicco Bianco (fonte: Il CInema Ritrovato) - NewsCinema.it
Sordi ne Lo Sceicco Bianco (fonte: Il CInema Ritrovato) – NewsCinema.it

La scomparsa dell’attore, spiega Tatti Sanguineti in suo volume dedicato a Sordi, provocò la «monumentalizzazione» del fenomeno Sordi. Un evento su cui Mario Monicelli, parlando con il regista Franco Maresco, si espresse con l’abituale, lucida ironia: «Vorrei rivolgermi a Walter Veltroni, un caro amico, una persona gentile, vorrei pregarlo di evitare quelle manifestazioni gigantesche che si sono fatte per Togliatti, Berlinguer, oppure, più modestamente, per Fellini, Mastroianni, Sordi… vorrei che le cose fossero un tantino più regolari, più modeste, e un po’ più divertenti».

Ecco, lo stesso Monicelli, dopo un’infelice uscita televisiva di Sordi nel 1991, commentò lapidario: «Sordi è sempre stato fascista». D’altra parte la sentenza di Goffredo Fofi sulle simpatiche politiche di Sordi è altrettanto categorica: «Uomo d’ordine, nuovo ricco, veterocattolico, nostalgico del fascismo, Alberto Sordi ebbe migliori frequentazioni e maggiori affinità non con i fascisti né con i comunisti, né con il meglio della tradizione cattolica legata al sociale e a ideali di carità, ma proprio con quella più fosca. Suo amico fu Andreotti e, almeno indirettamente, Cossiga».

Ecco, considerato tutto questo, considerata la complessità e la contraddittorietà di un genio, citiamo infine una persona che con Sordi c’entra – artisticamente – parecchio (come abbiamo scritto anche all’inizio): Paolo Villaggio.

«Sordi è quello che ha fatto capire, più esattamente di tutti, quello che è il cinismo dei romani. È stata una lezione e una terapia. Dopo Sordi, i romani hanno accettato l’idea di essere un pochettino come lui». Forse questa sua riflessione andrebbe allargata, perché Sordi non è stato uno specchio solo per i romani, ma per gli italiani tutti.

Davide Sette
Davide Sette
Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

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