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Lì dove Episodio VIII osava, esagerava e sorprendeva, anche a costo di scontentare qualcuno e di muoversi costantemente sul filo del ridicolo (addirittura corteggiando consapevolmente il senso del grottesco), Episodio IX gioca invece in difesa, tira i remi in barca e cerca di concludere una trilogia apolide, senza origine definita, che soffre fin dall’inizio della mancanza di una visione complessiva e unitaria. E lì dove Episodio VII era un film dinamico, dal passo svelto e dalle soluzioni visive sofisticate, Episodio IX è un film molto più classico e posato. Ma se da un lato questo nono episodio cerca di “correggere” la rotta indicata dal suo “rivoluzionario” predecessore, dall’altro L’Ascesa di Skywalker conserva le idee di montaggio di Episodio VII, il suo andamento incalzante e la narrazione per ellissi.

È infatti solo grazie a Maryann Brandon (montatrice de Il risveglio della Forza e fidatissima collaboratrice di Abrams) se questo capitolo conclusivo della “trilogia degli Skywalker” riesce a tenere insieme tutti i pezzi senza risultare noioso ed eccessivamente didascalico. Il più grande successo di Episodio IX sta quindi nel compiere una invidiabile operazione di sintesi e nel condensare in 150 minuti scarsi una sceneggiatura che addirittura comprime gli avvenimenti di un ulteriore capitolo nella sua prima metà, affastellando situazioni e continui cambi di prospettiva (un gioco con le aspettative dello spettatore che viene a noia dopo poco). 

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Paradossalmente i momenti di Episodio IX che funzionano meglio sono quelli che cercano di riprendere il tono “sovversivo” ed iconoclasta del precedente capitolo (che per il resto viene presto superato e accantonato), liquidando in pochissimi secondi personaggi che invece potevano rivelarsi decisivi (la soluzione narrativa con cui ci si libera velocemente della “spia” del Primo Ordine piacerebbe molto a Rian Johnson) e sterzando spesso (e violentemente) la narrazione. Se Johnson arrivava persino a deridere i “maestri”, a ridurre a comparse villain che fino a quel momento erano stati presentati come invincibili, tutto per consegnare la serie finalmente nelle mani della “nuova generazione”, J.J. Abrams e Chris Terrio pescano dal passato della serie e rendono nuovamente decisive le parole dei “padri” (intesi evangelicamente come padri e madri).

L’Ascesa di Skywalker è infatti un film affollato di fantasmi, in cui ciò che è successo prima conta molto più di quello che potrebbe succedere dopo. Il risultato finale somiglia più ad una involuzione che ad un passo avanti: Kylo Ren e Rey (per quanto il loro rapporto rimanga cruciale nel film) perdono quelle caratteristiche che da subito avevano suscitato interesse e curiosità negli spettatori (persino Daisy Ridley e Adam Driver sembrano qui rinunciare alle sfumature nelle loro interpretazioni), Poe Dameron fallisce clamorosamente nel prendere il posto di Han Solo all’interno del gruppo e Finn, quello che doveva essere il personaggio realmente nuovo, quello su cui poter sperimentare di più, fatica a far emergere una propria personalità distintiva. 

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A differenza di ciò che avveniva con Episodio VII, in cui l’eredità della serie di George Lucas era omaggiata attraverso una fedeltà quasi pedissequa alla struttura del racconto originale, i modelli di Episodio IX sembrano provenire da altri franchise cinematografici e non più dagli episodi della vecchia trilogia. Persino i sentimenti che muovono i personaggi non sembrano più essere quelli tipici della saga, ma dei sentimenti molto più generici che già animano la quasi totalità dei franchise moderni (la solidarietà all’interno del gruppo, che sia questo una famiglia o una collettività più ampia). Anche J.J. Abrams sembra condurre questa trilogia alla sua inevitabile conclusione senza grande trasporto.

C’è infatti una idea molto vaga di azione in questo nono episodio e quasi nulla dell’inventiva che invece caratterizzava la regia de Il Risveglio della Forza. Se Abrams era frenato in Episodio VII dalla paura di deludere le enormi aspettative del pubblico e dalla soggezione nei confronti di ciò che era venuto prima, adesso in Episodio IX sembra avere come unico compito quello di “raddrizzare” la trilogia per riportarla in una comfort zone da cui ci si era (repentinamente) allontanati, senza la voglia di fare molto altro.  

Non c’è mai davvero una decisione audace, una presa di posizione in grado di suscitare un reale dibattito. Nè c’è mai una sequenza in grado di suscitare stupore in chi guarda o che giustifichi l’inspiegabile reticenza di un capitolo che dovrebbe idealmente archiviare un’epoca. Alla fine di questa trilogia non rimane altro da dire. Si sono fatti i conti con tutti quei personaggi che erano stati centrali negli episodi passati ma che continuavano ad esserlo anche da non protagonisti in questo nuovo progetto. Johnson aveva cercato di recidere, forse con eccessiva leggerezza, questo legame così vincolante già con l’episodio precedente.

Per Abrams e per la Lucasfilm (e forse per un’ampia fetta di pubblico) serviva ancora del tempo. Episodio IX se ne prende quanto serve e non ha timore di aggiungere nuovi elementi che ritiene necessari per poi risolverli in pochi minuti. Tutti i “passaggi” obbligati sono stati adesso eseguiti. Per fortuna, grazie ad una fattura comunque buona e al lavoro di ottimi professionisti (gli attori e il team di Abrams) quello che poteva essere un disastro si è rivelato solo un film innocuo. 

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Star Wars – L’Ascesa di Skywalker chiude con fatica una trilogia priva di una visione unitaria
3.0 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Giornalista cinematografico. Fondatore del blog Stranger Than Cinema e conduttore di “HOBO - A wandering podcast about cinema”.

Recensioni

Silent Night – Il silenzio della vendetta, recensione | Sangue e gang, il Natale targato John Woo

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Joel Kinnaman e Catalina Sandino Moreno in una scena di Silent Night – Il silenzio della vendetta – Fonte Foto: Ufficio stampa

Distribuito in anteprima mondiale da Plaion Pictures, dal 30 novembre, Silent Night – Il silenzio della vendetta porta la firma di John Woo. Il cineasta originario di Hong Kong confeziona un’opera d’autore, che naviga nel genere del cinema d’animazione e vede Joel Kinnaman protagonista.

Silent Night - Il silenzio della vendetta: sangue e gang, il Natale targato John Woo
3.3 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Il ritorno dietro la macchina da presa di John Woo pesca a piene mani dal cinema di genere e ha quel sapore d’epoca che ha creato tanti cult. Per chi cercasse un action movie puramente di intrattenimento, Silent Night – Il silenzio della vendetta non è il film che fa per lui. La cultura orientale, con tutto ciò che essa si porta dietro, impregna la pellicola e le dona un’identità alquanto particolare.

Un plauso va all’interpretazione di Joel Kinnaman, che deve giocare per quasi due ore con tutte le armi a sua disposizione, a eccezione della voce. Per un attore, si può ben capire quanto sia fondamentale anche quel fattore. Eppure, l’attore svedese fa un ottimo lavoro, riuscendo a esprimere le sfumature di dolore e determinazione che attraversano il protagonista.

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Joel Kinnaman in Silent Night – Il silenzio della vendetta – Foto: Ufficio stampa

Al centro della trama, una questione probabilmente sempre sin troppo attuale e pressante, quale la presenza delle gang in alcune zone dell’America. Da quello che potrebbe essere un qualsiasi fatto di cronaca nera, prende sviluppo la storia, a metà tra una critica alla società e un film d’azione puro.

Sangue che macchia le mani, le strade e i parabrezza delle automobili, la violenza scorre senza sosta, e senza che sia realmente possibile bloccarla. La polizia sembra non avere i mezzi e le capacità sufficienti a una tale impresa, motivo per cui i giustizieri solitari rischiano di proliferare.

Silent Night – Il silenzio della vendetta: la trama del film

Durante le festività natalizie, in una giornata di sole e spensierata, una famiglia sta giocando nel cortile interno di casa. Il padre (Kinnaman) spinge e fa volare sulla piccola bicicletta il bambino, mentre la mamma (Catalina Sandino Moreno) li riprende con il cellulare. Improvvisamente la scena cambia.

Dei colpi di pistola risuonano dietro l’angolo della strada, insieme al rumore di automobili che sbandano e si rincorrono. Tutto avviene in un attimo. Dei proiettili raggiungono il corpo del bambino, che giace inerme e sanguinante tra le braccia dei genitori attoniti. Lei continua a piangere, lui, preso da un istinto animale inarrestabile, si lancia all’inseguimento dei criminali.

Ne uscirà in fin di vita e senza più voce. Dopo mesi di riabilitazione, l’uomo non può capacitarsi di quanto avvenuto. La bottiglia diventa la sua insostituibile compagna, sino a quando non lascia il posto a qualcos’altro: la vendetta.

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Una scena di Silent Night – Il silenzio della vendetta – Fonte Foto: Ufficio stampa

L’autorialità del cinema d’azione

Fulcro nevralgico della storia, il tema della paternità è ciò che caratterizza nel profondo il protagonista. La perdita del figlio spinge un uomo comune a diventare altro da sè. Il protagonista decide di dedicare il resto della sua esistenza a uno scopo divenuto per lui prioritario, ma in realtà inutile per colmare quel vuoto. Il dolore è il motore, la benzina, ma è anche la causa di una rovina inevitabile e, al tempo stesso, necessaria.

Dal punto di vista del puro e semplice intrattenimento, le scene d’azione e le varie armi messe in campo forniscono uno spettacolo non indifferente, che faranno gola ai fan degli action movie tanto quanto agli estimatori di Woo. Alla sua settima regia di produzione americana, il cineasta esibisce tutta una serie di suggestioni che rimandano al suo stile e alla sua poetica, regalando autorialità al progetto.

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Recensioni

Wish, recensione in anteprima | Il film Disney da non perdere a Natale

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Una scena di Wish – Fonte Foto: Ufficio stampa

Nei cinema italiani dal 21 dicembre, distribuito da The Walt Disney Company Italia, Wish è il nuovo attesissimo film di Natale. Doppiatori d’eccezione, per la versione nostrana, Michele Riondino, Amadeus e la cantautrice Gaia.

Wish: in arrivo il nuovo film Disney di Natale | Recensione
3.5 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Come in ogni favola che si rispetti, il “C’era una volta” immerge gli spettatori dentro un universo popolato di magia, di meraviglia e di magnificenza. Il regno di Rosas, nel bel mezzo del Mediterraneo, ha le sembianze di un vero e proprio paradiso. Lì, i sogni e i desideri hanno un ruolo fondamentale, ed ecco perché il sovrano ne ha così cura.

Wish mette bene in mostra il potere dei sogni, soprattutto se condivisi, e la loro importanza, che vengano realizzati oppure no. In fondo, essi sono il motore delle esistenze di ciascuno di noi. La Disney lo ha sempre saputo, come ha saputo ben sfruttare le potenzialità insite nella questione, anche stavolta.

La pellicola diretta da Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, idealmente indirizzata a un pubblico di più piccoli, riesce a toccare le corde di chi, con i film Disney, ci è cresciuto. Una protagonista forte e accattivante, una colonna sonora assolutamente orecchiabile e una girandola di colori che travolge sin dal primissimo minuto, sono gli ingredienti iniziali, a cui si aggiungono una serie di temi ed elementi che arricchiscono il progetto.

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Una scena di Wish con Asha e Valentino – Fonte Foto: Ufficio stampa

Asha ha una personalità sfaccettata, nella quale chiunque può riconoscersi: è in cerca di un percorso che le permetta di esprimersi e, in un certo senso, di emanciparsi, sebbene abbia un rapporto molto stretto con la famiglia. Le radici agiscono sulle sue scelte e sui suoi sogni, ma nel viaggio che compirà arriverà a scoprire cose incredibili su se stessa e su chi la circonda.

Wish | La trama del nuovo film Disney

Asha ha 17 anni e sta per avere un colloquio niente meno che con il Re in persona, Magnifico. Quest ultimo ha bisogno di una nuova apprendista, e la ragazza potrebbe essere la sua prossima scelta. Asha non aveva neanche mai immaginato di poter ottenere una simile occasione, soprattutto pensa a quanto possa essere utile nell’ottica di realizzazione di un sogno. Non il suo, ma quello del nonno, a cui è molto affezionata e che sta per compiere 100 anni.

wish

A Rosas, infatti, i sogni dei sudditi vengono affidati al Re, che li custodisce nel suo palazzo e ne realizza uno a scelta periodicamente. La cerimonia del desiderio è uno dei momenti più attesi dalla gente, che spera di veder realizzato il suo desiderio. Quello che, però, non tutti sanno, e che scoprirà Asha a sue spese, è che il Re sceglie in base a delle idee sin troppo personali. L’improvviso arrivo di una stella invocata dalla ragazza metterà a repentaglio i piani di Magnifico.

Punti di forza e omaggi ai classici Disney

Tanti e indiscutibili sono i punti di forza di Wish, a partire dai numeri musicali sino ad arrivare alla costruzione dei personaggi. Magnifico somiglia pericolosamente a un qualsiasi governante despota che abbiamo conosciuto nel corso della storia, Simon incarna il giovane ingannato da una prospettiva appetibile, la regina Amaya è la classica donna che sa ma che se ne resta in disparte. Ovviamente, non possono mancare gli aiutanti, a cui si devono battute e spunti di riflessione, come Valentino – la capretta amica di Asha – e Dahlia (la migliore amica).

Dal senso di famiglia al valore di amicizia, dall’importanza di unirsi a quella di schierarsi, un film d’animazione come Wish dà modo di affrontare temi fondamentali con semplicità e leggerezza, arrivando a qualsiasi tipo di pubblico. I veterani dei prodotti Disney resteranno, inoltre, divertiti dalle citazioni e dagli omaggi sparsi qui e là nel corso della narrazione. E si potrebbe addittura far partire un gioco a chi ne rintraccia di più…

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Recensioni

Palazzina LAF, la recensione: Riondino dà voce ai confinati dell’ILVA | Una vergogna tutta italiana

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Recensione Palazzina Laf

Recensione di Palazzina Laf – Newscinema.it (Foto: Ufficio stampa)

La nostra recensione di Palazzina LAF, il primo film da regista di Michele Riondino dal 30 novembre al cinema.

Review 0
3.4 Punteggio
Regia
Sceneggiatura
Cast
Colonna Sonora

Denso di morale, esposto limpidamente e costruito su un contesto dialettale l’esordio registico di Michele Riondino si pone come monito sociale ancora oggi. Presentato alla 18esima edizione della Festa del cinema di Roma nella sezione Grand Public, Palazzina Laf racconta la storia di Caterino Lamanna e di tutti i lavoratori dell’acciaieria ILVA di Taranto, spediti negli anni Novanta in questa palazzina “aziendale”.

Vittime di mobbing, confinati come in esilio, pagati per fare nulla e privati della propria dignità di lavoratori. La storia di Caterino partirà dalla sua situazione privata per raccontare qualcosa di molto più amplificato.

Un film che fa da specchio a una vergogna italiana

Come dichiarato in conferenza stampa dal regista, il film vuole essere anche un omaggio a Taranto, la sua città di origine, sporcata di questa disastrosa vicenda che ad oggi ancora non ha avuto la degna risonanza a livello nazionale, rimanendo recintata all’interno della realtà pugliese.

Cercando dunque di far luce tra i favoreggiamenti e le manovre malsane, Riondino ricostruisce alla perfezione l’estetica anni Novanta tra musicassette e frontali radio delle auto, viaggiando sulle note di The bad touch in sottofondo. Diritti e doveri, pressioni su personale altamente qualificato, morti non troppo accidentali sul luogo di lavoro come conseguenza di una frattura infettata all’interno dell’azienda. Reparti confino utilizzati per azzittire, annientare la nobiltà umana e i valori di chi in realtà voleva soltanto lavorare onestamente.

Facendo opera di convincimento coercitivo, influenzando psicologicamente e materialmente chi è in situazioni economiche instabili, i dirigenti dell’ILVA suggestionavano i dipendenti spostandoli tra i settori come nulla fosse o talvolta usandoli come pedine infiltrate, spiando e punendo di conseguenza chi non restava in silenzio.

Recensione Palazzina Laf

Recensione di Palazzina Laf – Newscinema.it (Foto: Ufficio stampa)

Spazio all’ironia per raccontare il dramma

Nei suoi 99 minuti il film condensa differenti generi per arrivare a trasmettere messaggi determinanti e totalmente drammatici basati su eventi realmente accaduti, attingendo però anche alla commedia. Ed è proprio questa forse la scelta vincente del film, evitare di appesantire ulteriormente la tematica strappando qua e là un sorriso, arrivando così grazie a un’ottima scrittura, a fare centro nel cuore del vero obiettivo.

Attori convincenti, primo fra tutti Riondino stesso che per la prima volta appunto tira le redini sia dietro che davanti la macchina da presa e poi un Elio Germano nelle vesti del folle villain, aggiungono quel tanto di olio all’ingranaggio per far sì che l’intero prodotto si svuoti di retorica e al contrario risulti incisivo.

In uscita grazie a BIM distribuzione dal 30 novembre nelle nostre sale, questo ritratto di un’Italia corrotta in cui raccomandazioni e sindacati si fanno la guerra mentre i lavoratori stanno a guardare, finisce dunque per convincere nella sua formula lasciando non poche riflessioni allo spettatore e facendo ben sperare per un futuro florido di un Riondino non più solo attore ma anche direttore dell’orchestra.

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