Serie tv
The Walking Dead, 5 cose che abbiamo imparato dalla settima stagione (fino ad ora)
The Walking Dead è tornato lo scorso ottobre con una delle stagioni più attese da tutti gli appassionati della serie tv, tutti ansiosi di conoscere la reale identità del personaggio ucciso da Negan durante il finale della sesta stagione. Da quel momento la discussione attorno allo show è stata parecchio rumorosa e, in larga parte, parecchio dura nei confronti del programma. Nonostante ciò, questi primi otto episodi hanno posto delle ottime basi per il proseguo della storia, concentrandosi sull’ esplorazione psicologica dei personaggi piuttosto che sull’azione vera e propria. Ecco cinque cose che abbiamo appreso da questa prima parte di stagione.
Anche Negan ha delle debolezze
Anche Negan, come Rick prima di lui, sta intraprendendo un percorso verso la giusta punizione per la sua sfrontatezza. Inizialmente il personaggio interpretato da Jeffrey Dean Morgan era visto da tutti come il super cattivo della serie, ma dopo alcuni episodi (specialmente con il midseason), abbiamo scoperto anche i suoi punti deboli e abbiamo iniziato ad intravedere le prime crepe in un muro che sembrava fino a poco tempo prima indistruttibile. I Salvatori, infatti, seguono il loro capo più per convenienza personale e pragmatismo piuttosto che per genuina convinzione nel suo programma e nei suoi intenti. Ma a Negan piace credere che la loro fedeltà sia incondizionata, e questo potrebbe rivelarsi il suo più grande errore. The Walking Dead ci ha insegnato che fidarsi ciecamente di qualcuno il più delle volte può rivelarsi fatale.

Negan in The Walking Dead
Rick non è il solo eroe
La storia di The Walking Dead sarà sempre indissolubilmente legata a quella di Rick Grimes, unico vero leader in un mondo dominato dal caos e dalla violenza. Nonostante ciò, la settima stagione della serie ha relegato il personaggio in un ruolo quasi secondario, quello di capro espiatorio di Negan. La sua assenza è stata però colmata da altre figure di rilievo che hanno dimostrato di saper prendere in mano il controllo della situazione quando è necessario. Un esempio emblematico è quello di Carl, che ha deciso di affrontare i Salvatori completamente da solo, o ancora quello di Michonne, intenta ad investigare sulle mosse nemiche. Ma il personaggio che più di altri è riuscito ad emergere in questi ultimi episodi è sicuramente quello di Maggie: una donna forte e coraggiosa che, nonostante la responsabilità di un bambino (il figlio di Glenn) da accudire, si è dimostrata tenace e combattiva, diventando insieme a Sasha la protettrice della colonia di Hilltop.
Tante ambientazioni ancora da scoprire
Tra le ambientazioni più suggestive viste in questi otto episodi spiccano sicuramente il Regno, dove vivono Ezekiel e la sua tigre, e la sede del matriarcato di Oceanside. Questi due scenari sono ancora quasi del tutto inesplorati e più di altri meriterebbero un ulteriore approfondimento (anche solo per rivedere un personaggio carismatico come Ezekiel ancora in azione). La settima stagione ha abbandonato per gran parte del tempo i confini della “safe zone”, esplorando nuovi luoghi come il Santuario dei Salvatori o la piccola colonia di Hilltop. La speranza è quindi quella che la serie continui a spingere su nuove ambientazioni e nuove comunità, per mantenere alto il livello di varietà.

Rick – The Walking Dead
Una guerra totale è alle porte
Di settimana in settimana la settima stagione si è rivelata molto più lenta delle precedenti, ma se paragoniamo la versione televisiva della serie con quella originale del fumetto, le cose si sono mosse in maniera velocissima, procedendo a grandi passi verso il colpo di scena costituito dall’ uccisione di Glenn. Alcuni episodi hanno svolto la funzione di veri e propri ritratti dei protagonisti, esplorandone i sentimenti e le motivazioni e mettendo le sequenze di azione decisamente in secondo piano. Tantissimo spazio nel fumetto è dedicato alla guerra contro i Salvatori e, nonostante la certezza che molte cose cambieranno dalla versione cartacea, il conflitto è in procinto di cominciare. La sola domanda é: dovremo assistere ancora a lungo alla fase di preparazione o la prossima stagione ci catapulterà direttamente nella battaglia ?

Carol in The Walking Dead
La necessità di riconquistare i fan
Quanti personaggi amati dal pubblico sono morti durante il corso di queste prime sei stagioni, suscitando l’ira dei fan più accaniti ? E quanti spettatori si sono lamentati della prima puntata di questa settima stagione, decidendo addirittura di abbandonare la serie ? The Walking Dead è ancora uno degli show più popolari nel mondo, nonché uno dei più visti su base regolare di settimana in settimana, ma il calo evidente dello share dovrebbe far riflettere il team creativo, abituato da sempre a grossi rialzi negli ascolti e non a drammatiche ritirate. E se persino la promessa di vedere Rick al comando di una rivolta non ha convinto gli spettatori a tornare indietro, gli scrittori dovranno inventarsi nuovi modi per tenere gli appassionati ancora incollati allo schermo.
Serie tv
The Last of Us: recensione no spoiler della prima stagione | Tiriamo le somme

La recensione di The Last of Us – Newscinema.it
La prima stagione di The Last of Us è giunta al termine con il nono episodio in onda su NowTv e Sky. Dopo averla vista tutta, settimana dopo settimana, vi diciamo cosa ne pensiamo in una video recensione.
Si è conclusa da poco la prima stagione di The Last Of Us, la serie targata HBO ispirata all’omonimo videogioco che ha riscosso un enorme successo in tutto il mondo. Suddivisa in nove episodi di durata variabile e ambientata in un mondo post-apocalittico, The Last of Us continuerà con la seconda stagione già confermata.
Noi l’abbiamo vista tutta e nella video recensione qui sotto potete scoprire cosa ne pensiamo. Analizziamo pro e contro, condividiamo il nostro punto di vista su vari dettagli della serie e vi mostriamo anche un curioso video in cui è montato il videogioco con la serie in modo alternato per sottolineare la fedeltà di questa con il materiale originale.
La video recensione della prima stagione di The Last Of Us
The Last of Us: di cosa parla la serie
La serie HBO si svolge 20 anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire di nascosto Ellie, una ragazzina di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all’apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante attraverso gli Stati Uniti nel quale i due dovranno dipendere l’uno dall’altra per sopravvivere.
Tra le star della prima stagione troviamo Pedro Pascal e Bella Ramseynei panni dei due protagonisti principali insieme a Gabriel Luna, nel ruolo di Tommy, Anna Torv che interpreta Tess, Nico Parker è Sarah, Murray Bartlett è Frank, Nick Offerman è Bill, Melanie Lynskey è Kathleen, Storm Reid è Riley, Merle Dandridge è Marlene, Jeffrey Pierce interpreta Perry, Lamar Johnson è Henry, Keivonn Woodard è Sam, Graham Greene è Marlon ed Elaine Miles riveste i panni di Florence. Fanno parte del cast anche Ashley Johnson e Troy Baker (qui trovate la guida ai personaggi della serie).
Serie tv
YOU 4: un professore che vive a South Kensington? | Gli errori dell’ambientazione inglese

La locandina di You – Newscinema.it
La seconda parte della quarta stagione di You comincerà il 10 Marzo su Netflix. In attesa dei nuovi episodi andiamo ad analizzare alcuni errori della sua ambientazione londinese.
La quarta stagione di You è iniziata circa un mese fa e il 9 marzo riprenderà anche la seconda parte. Dopo aver lasciato gli Stati Uniti e la sua vecchia vita, Joe Goldberg (Pen Badgley) si è trasferito a Londra, dove ha rubato l’identità di un professore universitario. Tutta la nuova stagione si svolge, quindi, nella capitale inglese, ma i fan hanno notato diversi errori sull’ambientazione europea che non si vedevano dai tempi di Emily in Paris.
Joe “ama” camminare
Nella serie, Joe dichiara che non gli dispiace camminare un po’ per recarsi al lavoro. Tuttavia, la distanza tra l’università nell’East London e il suo appartamento nel South Kensington è semplicemente ridicola. Per arrivare da un punto all’altro camminando, infatti, occorrono due ore: quattro, se si considera andata e ritorno. Una persona che percorre quattro ore a piedi tutti i giorni per andare a lavorare non è molto realistico.
Un professore che vive nel South Kensington
Dopo essersi trasferito, Joe smette di essere un bibliotecario e si trasforma in un docente universitario molto stimato. Per quanto un professore universitario possa essere una professione redditizia, è altamente improbabile che uno stipendio del genere basti per permettersi un appartamento come quello di Joe.
Il South Kensington è uno dei quartieri più costosi di Londra, dove un trilocale costa in media tra i due e i tre milioni di sterline. In un’intervista a Wired, l’attore ha spiegato che Joe può pagare la casa grazie all’eredità di Love, ma appare comunque una cifra improbabile.

L’appartamento di Joe – Newscinema.it
Un camino in ogni angolo
Si può notare che praticamente ovunque vada, Joe si ritrovi in un luogo dove c’è un camino, quasi a volere restituire un’ambientazione londinese vittoriana. Tuttavia, oggi a Londra i camini nelle case non sono così tanti, quasi il contrario. A partire dal 1956, infatti, il governo ha iniziato una campagna per eliminarli, in modo da diminuire il tasso di inquinamento e fumo nelle zone pubbliche.
L’esagerazione dello slang
Senza dubbio, lo slang inglese è molto popolare ed esistono tantissimi meme e parodie sulle differenze tra l’inglese e l’americano. Tuttavia, gli scherzi e le incomprensioni nella serie su questo fatto sono semplicemente esagerate. Basti pensare alla scena in cui Joe si trova in aula e non capisce che cosa si intenda con la parola “pants“. Un’intuizione non così difficile da comprendere, considerato il contesto.
Serie tv
Incastrati 2: la recensione della serie Netflix | Ficarra e Picone alzano l’asticella

Ficarra e Picone nella serie Incastrati (fonte: Netflix)
La seconda stagione di Incastrati, serie Netflix ideata da Ficarra e Picone, prosegue sulla strada tracciata dalla prima, ovvero quella di ironizzare sulla dipendenza fanatica da serie tv, ma stavolta affina i propri meccanismi narrativi e lascia più spazio ai comprimari per emergere.
Lo schema logico della seconda stagione di Incastrati è identico a quello della prima: partendo dall’irriverente premessa, comicamente insolente verso lo stesso formato (quello seriale) scelto per inscenare le solite vicende di paese e di criminalità più o meno organizzata, Ficarra e Picone innescano una lunga una catena di equivoci e disavventure che sono il pretesto per fare satira sulla ‘cupola’ mafiosa, sulle sue connivenze con la “società civile” e sui meccanismi grotteschi che regolano il mondo dell’informazione che deve raccontarla.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)
Salvo Ficarra, nonostante tutto quello che è successo nella prima stagione, è ancora “incastrato” da un prodotto televisivo di pura invenzione (estremamente semplicistico e dozzinale come la media dei prodotti su piattaforma). E anche in questa seconda stagione, la serie entra ed esce dalla fittizia centrale di polizia dell’ispettore Jackson, protagonista di The Touch of the Killer e poi del sequel The Look of the Killer, che sia Salvo che sua ex-moglie Ester (per sentirlo più vicino dopo la separazione) seguono assiduamente.
Stavolta questo sottotesto è ancora più esplicito, le due serie (quella finta e quella vera) dialogano in maniera molto più serrata e sono sempre più frequenti i momenti in cui Ficarra e Picone si fermano per riflettere sui tempi delle serie tv, per giocare sugli stereotipi di quel tipo di narrazione, sugli incroci spesso assolutamente inverosimili tra la trama poliziesca e le vicende sentimentali dei protagonisti.
E persino per scherzare sulle diverse tipologie di prodotto televisivo e i diversi target di pubblico a cui questi si rivolgono (Robertino, il figlio di Agata, è appassionato di The Body Language, un’altra serie tv, molto più moderna e sofisticata di quella di cui è appassionato Salvo).
Incastrati | il ritorno su Netflix di Ficarra e Picone
I due comici siciliani lasciano maggiore spazio agli attori secondari, facendo emergere pian piano, in poche ma fondamentali scene, i personaggi di Tony Sperandeo nei panni di Cosa Inutile, quello di Sergio Friscia nel ruolo del retorico giornalista locale Sergione e soprattutto quello del procuratore capo Leo Gullotta (la sua entrata in scena è il vero punto di svolta di tutta la stagione).
Approfondendo questi comprimari, la seconda stagione di Incastrati ne guadagna in complessità, spesso ribaltando il giudizio che su di loro gli spettatori avevano maturato nelle prime puntate (c’è sempre qualcosa di peggio in agguato) e liberando quelle che inizialmente erano solo maschere grottesche dalla loro bidimensionalità, lavorando invece di sfumature per renderle drammaturgicamente interessanti.

Una scena dalla seconda stagione di Incastrati (fonte: Netflix)
Come spesso è accaduto poi nella carriera di Ficarra e Picone, bravissimi nel mettere in scena senza sconti le piccolezze dei loro connazionali, anche in Incastrati ci sono scene che involontariamente dialogano direttamente con l’attualità e con la cronaca degli ultimi mesi (quasi profetica, ad esempio, tutta la sottotrama del medico che agevola la latitanza di Padre Santissimo), fino ad arrivare a un finale che sembra essere stato scritto appositamente dopo la cattura di Matteo Messina Denaro (e che, invece, è “solo” frutto della penna di due autori sempre più raffinati).
Ancora una volta, Incastrati trova il modo di collegarsi direttamente a quel cinema di Rosi, Damiani e Germi, che Ficarra e Picone consapevolmente citano e indicano come loro stella polare. Eppure, questa seconda stagione della serie Netflix, se pur non sempre eccellente nella fattura registica e nel ritmo della narrazione, fa emergere la maturazione autoriale di due comici che hanno ormai le idee chiarissime sul loro lavoro e sul tipo di racconto che vogliono fare.
Le nuove sei puntate di Incastrati dimostrano come l’incursione seriale di Ficarra e Picone non sia stata solo un “capriccio” per presentarsi come moderni e salire sul carro del vincitore (le serie sul cinema?), ma come sia in realtà un coerente nuovo tassello della loro poetica.
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