In concorso alla 69° edizione della Mostra del Cinema di Venezia troviamo Pieta del regista coreano Kim Ki-Duk, uno dei film più applauditi dalla stampa in questi giorni. Con una locandina che richiama esplicitamente l’omonima scultura di Michelangelo, questo film è costruito infatti su un rapporto conflittuale madre – figlio contornato da alcune delle emozioni più dirompenti dell’uomo, dal senso di colpa alla vendetta, dalla conversione alla redenzione… La Maria di Michelangelo che teneva in grembo il figlio Gesù Cristo non voleva trasmettere lo strazio del corpo martoriato o il dolore che la madre stava provando in quel momento, ma l’uno e l’altro, la vita e la morte riunite insieme per la perfezione divina.

Così Kim Ki-Duk costruisce una storia su questo sentimento così profondo, conflittuale e a tratti realmente morboso che lega una donna venuta dal nulla e uno strozzino che non pensa due volte prima di mutilare tutti coloro che non pagano i debiti. Abbandonato dai genitori fin dalla nascita, Kang-do è divorato dalla solitudine che lo circonda; ricorre all’autoerotismo per trovare amore, mangia a mala pena, maltrattanto animali vivi ed esce di casa soltanto per andare a riscuotere i debiti del suo capo, finendo sempre per torturare il povero malcapitato. La sua vita è piatta, fredda, grottesca e nella sua routine sembra non esserci via d’uscita, almeno fino a quando una donna misteriosa bussa alla sua porta e comincia a seguirlo ovunque. E’ la madre che lo aveva abbandonato per ben trent’anni? Perchè si faceva viva solo ora? Kang-do dapprima infuriato e diffidente la mette alla prova in mille modi, ma alla fine cede al sentimento e si affeziona, incredulo del fatto che finalmente qualcuno si prenda cura di lui. Il mostro lascia spazio al bambino deluso e abbandonato che Kang-do porta dentro di se.

Il regista coreano che ricordiamo per Arirang e Amen, torna ad uno stile di ripresa abbastanza tradizionale ma ricco di dettagli e una colonna sonora partecipe e coinvolgente. La macchina da presa è sempre al posto giusto e la fotografia decisa e fresca. La storia procede con un ritmo calzante, e il regista sembra portare per mano lo spettatore lungo la strada che porta alla verità finale. Piano piano si accende una luce in più sui personaggi e la loro evoluzione, le loro idee e si comprende da che parte stanno. I limiti sono oltrepassati e la linea scelta da Ki -Duk per affrontare le paure e i desideri più profondi dell’essere umano è intrisa di perversione, scandalo e violenza ma sullo sfondo è sempre presente una colorata poeticità che agisce nella compassione e nell’estremo sacrificio che una madre è disposta a compiere per porre fine ad un dolore indescrivibile che non trova pace. Pieta è un dramma a tinte forti che coinvolge dall’inizio alla fine, e trova la sua forza anche nell’interpretazione dei due personaggi principali molto convincenti e adatti ai ruoli. Un vortice dirompente da cui farsi rapire per un’ora e mezza di proiezione. Da non perdere.