Recensioni
Wakanda Forever | L’eredità di Black Panther si rivela sullo schermo
Atteso sequel di Black Panther, Wakanda Forever sbarca al cinema il 9 novembre, distribuito da The Walt Disney Company Italia. Dopo la scomparsa di Chadwick Boseman, serviva riempire quel vuoto, senza tradire il suo lascito e il personaggio che l’ha imposto all’attenzione del grande pubblico.
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La pellicola targata Marvel Studios, diretta da Ryan Coogler e prodotta da Kevin Feige e Nate Moore, rende omaggio all’attore, sin dai titoli di testa, ricordandone i momenti più significativi.
Wakanda Forever | La trama
In seguito alla morte del re T’Challa (Boseman), il regno di Wakanda viene preso di mira dalle potenze straniere, in cerca del vibranio. Il materiale, dalle tinte blu e dalle incredibili potenzialità, sembra infatti trovarsi solo a Wakanda. Ma chi crede di imbattersi in una nazione indifesa e impreparata, sbaglia di grosso.
Guidati dalla Regina Ramonda (Angela Bassett) e dalla principessa Shuri (Letitia Wright), gli abitanti sanno di non dover temere nulla. A proteggerli ci sono Okoye (Danai Gurira) e le Dora Milaje, addestrate e imbattibili. L’unica cosa che preoccupa i wakandiani è la successione al trono e l’eventuale erede di Black Panther.

Almeno sino a quando non entra in scena il re di Talokan, Namor (Tenoch Huerta), pronto a scatenare una guerra, se non verranno rispettate le condizioni da lui imposte. Ramonda e Shuri devono quindi decidere se schierarsi al fianco di Namor o fronteggiare la nuova minaccia, mentre le Nazioni Unite sono all’oscuro di tutto ciò e ritengono Wakanda responsabile della violenza che si sta scatenando.
Le donne di Wakanda
Wakanda Forever riporta sulla scena alcuni dei personaggi più interessanti del Marvel Cinematic Universe. Shuri, in primis, dopo il passaggio di testimone, assume un ruolo fondamentale. Nei confronti del suo popolo, ma anche di se stessa. Schiacciata dai sensi di colpa, la giovane regnante affronta un momento di crisi profonda, che la porterà a crescere e a trovare la sua strada.

Oltre a lei, altre donne esemplari si affacciano sulla scena, rendendo la pellicola dalla forte impronta femminile. Lealtà e solidarietà sono componenti imprescindibili e potenti, che saldano le Dora Milaje l’una all’altra. La stessa Nakia (Lupita Nyong’o), sebbene ormai lontana da Wakanda, mantiene un legame ancestrale con le sue origini, con la sua terra e con chi la abita.
Okoye e Ramonda, infine, rappresentano altri due aspetti ancora: le posizioni di potere richiedono responsabilità, sacrifici, dolore. Entrambe ne sperimentano una dose non indifferente, consapevoli delle vesti che indossano e che le identificano.
Intrattenimento oltre misura
Dal punto di vista dell’intrattenimento, Wakanda Forever soffre dell’eccessiva durata (161 minuti), che ne dilata la narrazione, talvolta in maniera ingiustificata ed estenuante. D’altro canto, però, le scene d’azione e le coreografie dei combattimenti sono tra le più riuscite e appassionanti di sempre.
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La regia di Coogler dona la giusta epicità e l’ampio respiro, immergendo il pubblico in un mondo ricco di suggestioni. Come nel primo capitolo, la natura e la bellezza di ciò che ci circonda hanno il potere di emozionare e di far riflettere, su quanto sia importante rispettarne i ritmi, le abitudini e le peculiarità.
Recensioni
Silent Night – Il silenzio della vendetta, recensione | Sangue e gang, il Natale targato John Woo

Joel Kinnaman e Catalina Sandino Moreno in una scena di Silent Night – Il silenzio della vendetta – Fonte Foto: Ufficio stampa
Distribuito in anteprima mondiale da Plaion Pictures, dal 30 novembre, Silent Night – Il silenzio della vendetta porta la firma di John Woo. Il cineasta originario di Hong Kong confeziona un’opera d’autore, che naviga nel genere del cinema d’animazione e vede Joel Kinnaman protagonista.
3.3
Punteggio
Il ritorno dietro la macchina da presa di John Woo pesca a piene mani dal cinema di genere e ha quel sapore d’epoca che ha creato tanti cult. Per chi cercasse un action movie puramente di intrattenimento, Silent Night – Il silenzio della vendetta non è il film che fa per lui. La cultura orientale, con tutto ciò che essa si porta dietro, impregna la pellicola e le dona un’identità alquanto particolare.
Un plauso va all’interpretazione di Joel Kinnaman, che deve giocare per quasi due ore con tutte le armi a sua disposizione, a eccezione della voce. Per un attore, si può ben capire quanto sia fondamentale anche quel fattore. Eppure, l’attore svedese fa un ottimo lavoro, riuscendo a esprimere le sfumature di dolore e determinazione che attraversano il protagonista.

Joel Kinnaman in Silent Night – Il silenzio della vendetta – Foto: Ufficio stampa
Al centro della trama, una questione probabilmente sempre sin troppo attuale e pressante, quale la presenza delle gang in alcune zone dell’America. Da quello che potrebbe essere un qualsiasi fatto di cronaca nera, prende sviluppo la storia, a metà tra una critica alla società e un film d’azione puro.
Sangue che macchia le mani, le strade e i parabrezza delle automobili, la violenza scorre senza sosta, e senza che sia realmente possibile bloccarla. La polizia sembra non avere i mezzi e le capacità sufficienti a una tale impresa, motivo per cui i giustizieri solitari rischiano di proliferare.
Silent Night – Il silenzio della vendetta: la trama del film
Durante le festività natalizie, in una giornata di sole e spensierata, una famiglia sta giocando nel cortile interno di casa. Il padre (Kinnaman) spinge e fa volare sulla piccola bicicletta il bambino, mentre la mamma (Catalina Sandino Moreno) li riprende con il cellulare. Improvvisamente la scena cambia.
Dei colpi di pistola risuonano dietro l’angolo della strada, insieme al rumore di automobili che sbandano e si rincorrono. Tutto avviene in un attimo. Dei proiettili raggiungono il corpo del bambino, che giace inerme e sanguinante tra le braccia dei genitori attoniti. Lei continua a piangere, lui, preso da un istinto animale inarrestabile, si lancia all’inseguimento dei criminali.
Ne uscirà in fin di vita e senza più voce. Dopo mesi di riabilitazione, l’uomo non può capacitarsi di quanto avvenuto. La bottiglia diventa la sua insostituibile compagna, sino a quando non lascia il posto a qualcos’altro: la vendetta.

Una scena di Silent Night – Il silenzio della vendetta – Fonte Foto: Ufficio stampa
L’autorialità del cinema d’azione
Fulcro nevralgico della storia, il tema della paternità è ciò che caratterizza nel profondo il protagonista. La perdita del figlio spinge un uomo comune a diventare altro da sè. Il protagonista decide di dedicare il resto della sua esistenza a uno scopo divenuto per lui prioritario, ma in realtà inutile per colmare quel vuoto. Il dolore è il motore, la benzina, ma è anche la causa di una rovina inevitabile e, al tempo stesso, necessaria.
Dal punto di vista del puro e semplice intrattenimento, le scene d’azione e le varie armi messe in campo forniscono uno spettacolo non indifferente, che faranno gola ai fan degli action movie tanto quanto agli estimatori di Woo. Alla sua settima regia di produzione americana, il cineasta esibisce tutta una serie di suggestioni che rimandano al suo stile e alla sua poetica, regalando autorialità al progetto.
Recensioni
Wish, recensione in anteprima | Il film Disney da non perdere a Natale

Una scena di Wish – Fonte Foto: Ufficio stampa
Nei cinema italiani dal 21 dicembre, distribuito da The Walt Disney Company Italia, Wish è il nuovo attesissimo film di Natale. Doppiatori d’eccezione, per la versione nostrana, Michele Riondino, Amadeus e la cantautrice Gaia.
3.5
Punteggio
Come in ogni favola che si rispetti, il “C’era una volta” immerge gli spettatori dentro un universo popolato di magia, di meraviglia e di magnificenza. Il regno di Rosas, nel bel mezzo del Mediterraneo, ha le sembianze di un vero e proprio paradiso. Lì, i sogni e i desideri hanno un ruolo fondamentale, ed ecco perché il sovrano ne ha così cura.
Wish mette bene in mostra il potere dei sogni, soprattutto se condivisi, e la loro importanza, che vengano realizzati oppure no. In fondo, essi sono il motore delle esistenze di ciascuno di noi. La Disney lo ha sempre saputo, come ha saputo ben sfruttare le potenzialità insite nella questione, anche stavolta.
La pellicola diretta da Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, idealmente indirizzata a un pubblico di più piccoli, riesce a toccare le corde di chi, con i film Disney, ci è cresciuto. Una protagonista forte e accattivante, una colonna sonora assolutamente orecchiabile e una girandola di colori che travolge sin dal primissimo minuto, sono gli ingredienti iniziali, a cui si aggiungono una serie di temi ed elementi che arricchiscono il progetto.

Una scena di Wish con Asha e Valentino – Fonte Foto: Ufficio stampa
Asha ha una personalità sfaccettata, nella quale chiunque può riconoscersi: è in cerca di un percorso che le permetta di esprimersi e, in un certo senso, di emanciparsi, sebbene abbia un rapporto molto stretto con la famiglia. Le radici agiscono sulle sue scelte e sui suoi sogni, ma nel viaggio che compirà arriverà a scoprire cose incredibili su se stessa e su chi la circonda.
Wish | La trama del nuovo film Disney
Asha ha 17 anni e sta per avere un colloquio niente meno che con il Re in persona, Magnifico. Quest ultimo ha bisogno di una nuova apprendista, e la ragazza potrebbe essere la sua prossima scelta. Asha non aveva neanche mai immaginato di poter ottenere una simile occasione, soprattutto pensa a quanto possa essere utile nell’ottica di realizzazione di un sogno. Non il suo, ma quello del nonno, a cui è molto affezionata e che sta per compiere 100 anni.
A Rosas, infatti, i sogni dei sudditi vengono affidati al Re, che li custodisce nel suo palazzo e ne realizza uno a scelta periodicamente. La cerimonia del desiderio è uno dei momenti più attesi dalla gente, che spera di veder realizzato il suo desiderio. Quello che, però, non tutti sanno, e che scoprirà Asha a sue spese, è che il Re sceglie in base a delle idee sin troppo personali. L’improvviso arrivo di una stella invocata dalla ragazza metterà a repentaglio i piani di Magnifico.
Punti di forza e omaggi ai classici Disney
Tanti e indiscutibili sono i punti di forza di Wish, a partire dai numeri musicali sino ad arrivare alla costruzione dei personaggi. Magnifico somiglia pericolosamente a un qualsiasi governante despota che abbiamo conosciuto nel corso della storia, Simon incarna il giovane ingannato da una prospettiva appetibile, la regina Amaya è la classica donna che sa ma che se ne resta in disparte. Ovviamente, non possono mancare gli aiutanti, a cui si devono battute e spunti di riflessione, come Valentino – la capretta amica di Asha – e Dahlia (la migliore amica).
Dal senso di famiglia al valore di amicizia, dall’importanza di unirsi a quella di schierarsi, un film d’animazione come Wish dà modo di affrontare temi fondamentali con semplicità e leggerezza, arrivando a qualsiasi tipo di pubblico. I veterani dei prodotti Disney resteranno, inoltre, divertiti dalle citazioni e dagli omaggi sparsi qui e là nel corso della narrazione. E si potrebbe addittura far partire un gioco a chi ne rintraccia di più…
Recensioni
Palazzina LAF, la recensione: Riondino dà voce ai confinati dell’ILVA | Una vergogna tutta italiana

Recensione di Palazzina Laf – Newscinema.it (Foto: Ufficio stampa)
La nostra recensione di Palazzina LAF, il primo film da regista di Michele Riondino dal 30 novembre al cinema.
3.4
Punteggio
Denso di morale, esposto limpidamente e costruito su un contesto dialettale l’esordio registico di Michele Riondino si pone come monito sociale ancora oggi. Presentato alla 18esima edizione della Festa del cinema di Roma nella sezione Grand Public, Palazzina Laf racconta la storia di Caterino Lamanna e di tutti i lavoratori dell’acciaieria ILVA di Taranto, spediti negli anni Novanta in questa palazzina “aziendale”.
Vittime di mobbing, confinati come in esilio, pagati per fare nulla e privati della propria dignità di lavoratori. La storia di Caterino partirà dalla sua situazione privata per raccontare qualcosa di molto più amplificato.
Un film che fa da specchio a una vergogna italiana
Come dichiarato in conferenza stampa dal regista, il film vuole essere anche un omaggio a Taranto, la sua città di origine, sporcata di questa disastrosa vicenda che ad oggi ancora non ha avuto la degna risonanza a livello nazionale, rimanendo recintata all’interno della realtà pugliese.
Cercando dunque di far luce tra i favoreggiamenti e le manovre malsane, Riondino ricostruisce alla perfezione l’estetica anni Novanta tra musicassette e frontali radio delle auto, viaggiando sulle note di The bad touch in sottofondo. Diritti e doveri, pressioni su personale altamente qualificato, morti non troppo accidentali sul luogo di lavoro come conseguenza di una frattura infettata all’interno dell’azienda. Reparti confino utilizzati per azzittire, annientare la nobiltà umana e i valori di chi in realtà voleva soltanto lavorare onestamente.
Facendo opera di convincimento coercitivo, influenzando psicologicamente e materialmente chi è in situazioni economiche instabili, i dirigenti dell’ILVA suggestionavano i dipendenti spostandoli tra i settori come nulla fosse o talvolta usandoli come pedine infiltrate, spiando e punendo di conseguenza chi non restava in silenzio.

Recensione di Palazzina Laf – Newscinema.it (Foto: Ufficio stampa)
Spazio all’ironia per raccontare il dramma
Nei suoi 99 minuti il film condensa differenti generi per arrivare a trasmettere messaggi determinanti e totalmente drammatici basati su eventi realmente accaduti, attingendo però anche alla commedia. Ed è proprio questa forse la scelta vincente del film, evitare di appesantire ulteriormente la tematica strappando qua e là un sorriso, arrivando così grazie a un’ottima scrittura, a fare centro nel cuore del vero obiettivo.
Attori convincenti, primo fra tutti Riondino stesso che per la prima volta appunto tira le redini sia dietro che davanti la macchina da presa e poi un Elio Germano nelle vesti del folle villain, aggiungono quel tanto di olio all’ingranaggio per far sì che l’intero prodotto si svuoti di retorica e al contrario risulti incisivo.
In uscita grazie a BIM distribuzione dal 30 novembre nelle nostre sale, questo ritratto di un’Italia corrotta in cui raccomandazioni e sindacati si fanno la guerra mentre i lavoratori stanno a guardare, finisce dunque per convincere nella sua formula lasciando non poche riflessioni allo spettatore e facendo ben sperare per un futuro florido di un Riondino non più solo attore ma anche direttore dell’orchestra.
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