La Grande Bellezza dal parrucchiere

Non è stato l’Oscar a dare grande visibilità a La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, quanto la trasmissione del film in prima serata su Canale 5 pochi giorni dopo la consegna della statuetta. Come la maggior parte dei film di Fellini, La Grande Bellezza non si può considerare un prodotto cinematografico per un pubblico generalista, poiché segue un registro stilistico particolare, criptico e tendente al surreale, nei dialoghi, ma anche nell’aspetto visivo.

toni servillo sabrina ferilli in La grande bellezzaAd una prima visione del film, si assiste infatti ad un susseguirsi di immagini senza dialogo che immortalano angoli suggestivi e artistici della città di Roma, relegando la narrazione vera e propria a poche pagine della sceneggiatura. Questa scelta di Sorrentino, rende il film più lento e difficile da seguire, poiché non esiste un inizio e una fine, ma un vagare tra mille situazioni diverse. Lo spettatore, come il protagonista, cammina e si muove tra le scene del film, senza un obiettivo preciso e, per la maggior parte delle persone, il risultato è pura confusione e un’apatia emotiva. A testimoniare questa mia tesi sul film applaudito da gran parte della critica, ma distrutto e poco comprensibile al pubblico, è una mattina in un negozio di un parrucchiere romano, pochi giorni dopo la messa in onda del film di Sorrentino sulle reti Mediaset.  Tolto il cappotto e sistemata alla postazione del lavaggio, la lavorante mi chiede subito: “Lo hai visto La Grande Bellezza?” e io realizzo che prima di me, già le altre clienti avevano discusso del film, se fosse piaciuto o meno, se avesse meritato davvero l’Oscar e altre legittime curiosità.  Io rispondo: “Certo, ma non mi ha convinto!”, e spiego che ho trovato il film ruffiano, con una fotografia che fa gran parte del lavoro, e un contenuto povero e ripetitivo, anche se il cast ha regalato delle performance notevoli.

Premetto che ho amato This Must Be the Place e apprezzato Il Divo di Sorrentino e il mio non è un pregiudizio per il regista, ma La Grande Bellezza non mi ha trasmesso niente di particolare, ho fatto fatica ad arrivare fino alla fine, alla ricerca disperata di un’emozione oltre a quella provata nel vedere i monumenti e le bellezze di Roma riprese con le luci giuste. Una signora intorno ai 70 anni aggiunge al dibattito il confronto con La Dolce Vita di Fellini, affermando: “In fondo è una brutta copia de La Dolce Vita di Fellini!” e scatena un divertente sondaggio sull’identità della fontana protagonista di quest’ultimo film, in cui la celebre attrice Anita Ekberg si immerge in una scena mentre Marcello Mastroianni la guarda rapito. Due lavoranti e una cliente sostengono che sia il Fontanone del Gianicolo, mentre il resto del negozio e il parrucchiere sono convinti che sia La Fontana di Trevi. La verità è presto svelata, comprovata da google e youtube interrogati sui vari smartphone, e si arriva a spiegare che il confronto tra le due fontane è in fondo il confronto tra i due film. Infatti mentre La Grande Bellezza si apre con un lungo piano sequenza presso il famoso Fontanone del Gianicolo, la fontana protagonista de La Dolce Vita è La Fontana di Trevi, che anche Totò aveva utilizzato come scenografia nel suo indimenticabile Totòtruffa ’62.

la grande bellezza fotoCome la migliore e più tradizionale commedia dell’arte, arriva poi in negozio l’addetto alla lavanderia che deve ritirare gli asciugamani sporchi e viene assalito da un gruppo di donne infervorate dal dibattito che gli chiedono prontamente: “Tu l’hai visto La Grande Bellezza?” e l’uomo intimorito, risponde di sì, aggiungendo: “L’ho visto tre volte talmente mi è piaciuto!”. Questa confessione provoca una risposta esilarante e significativa dell’assistente parrucchiere: “Ma dai, tu l’hai visto tre volte perché non ci hai capito niente!”. All’interno di quel negozio c’era un campione variegato e completo della popolazione italiana. La parte semplice e umile che si affida al giudizio della massa, pensando: “Se la televisione e i critici dicono che è bello, forse io non lo capisco ma condivido il giudizio!”, la parte polemica e citazionista che critica la poca originalità e condanna senza dubbi il film di Sorrentino come un plagio di Fellini, accusandolo di aver fatto un ritratto troppo pessimista e falso di Roma e dell’Italia. E, infine, la maggioranza, ovvero la parte diplomatica, che analizza il film nelle varie parti e afferma: “Sicuramente una cartolina di Roma, si vedono tutte le bellezze della città, quella terrazza sul Colosseo, i monumenti, ma la storia non c’è, i dialoghi saltano da una cosa all’altra e il protagonista cammina cammina, ma non fa niente”.

la grande bellezza recensioneSpento il phon e fatta la piega, saluto tutti ed esco, tirando la somma della visione de La Grande Bellezza dal punto di vista della gente comune, non dei critici o degli addetti ai lavori, e dei finti intellettuali. Quando un film approda in prima serata sulla tv generalista, diventa subito oggetto di conversazione sull’autobus, al supermercato, al bar e dal parrucchiere, non si parla di altro almeno per un paio di giorni. Ma, dal breve campione di popolazione che era quella mattina in quel piccolo negozio del centro di Roma, l’idea sul film di Sorrentino si può riassumere così: una cartolina di Roma, con dialoghi surreali, un messaggio poco chiaro e confuso, un ritratto decadente del nostro paese e un finale incomprensibile.  Si potrebbe controbattere che la realtà di oggi è questa e che il film denuncia la situazione attuale del nostro paese, ma non è un film per tutti. Vista la dichiarazione di Sorrentino agli Oscar: “Con me vince l’Italia!” e il messaggio di decadenza e di interesse sociale denunciato dai sostenitori del film, il film dovrebbe essere comprensibile e chiaro agli italiani per avere il valore che gli si riconosce, o no? Nel 1999 La Vita è Bella non aveva creato molti dubbi. E, questa mobilitazione generale come se la vittoria dell’Oscar potesse sistemare il debito pubblico o rivendicare qualche supremazia dell’Italia nel mondo, appare ridicola. Citando Shakespeare…Molto rumore per nulla. Scovare il grottesco nel reale può considerarsi un merito?