La isla mínima, la recensione del noir diretto da Alberto Rodríguez

Nel corso di questi ultimi anni il cinema spagnolo ha dimostrato di essere in grado di sfornare talenti sempre nuovi e interessanti, attraverso produzioni mature e ben confezionate che, come nel caso di pellicole quali Cella 211 o Bed Time, sono riuscite a trasformarsi in veri e propri fenomeni mediatici grazie al passaparola sul web. Nel filone di noir cupi e detective stories senza redenzione, che ha preso sempre più piede nel panorama cinematografico iberico, si inserisce il nuovo La isla mínima diretto da Alberto Rodríguez, sesto film del regista andaluso in uscita nelle sale italiane dal 3 dicembre prossimo e già trionfatore alla passata edizione dei premi Goya. La pellicola, ambientata nella Spagna del 1980, prende il via da una trama semplice e lineare. Due poliziotti, chiamati da Madrid, indagano sul brutale omicidio di due ragazzine, sulla scia di torbidi intrecci sessuali consumati nella solitudine di un paesino di frontiera e di periferia. Al centro della vicenda la coppia di agenti Pedro e Juan, interpretati rispettivamente da Raúl Arévalo e da Javier Gutiérrez: da una parte un veterano del settore, segnato da un passato difficile da cancellare e ingabbiato in un carattere scontroso e violento, dall’altra un giovane e motivato investigatore intenzionato a scardinare un sistema, quello della giustizia spagnola, ancora legato a logiche clientelari e mercantilistiche. Lo scontro, quindi, non solo di due diverse personalità ma di differenti generazioni, sullo sfondo di una società ancora in bilico tra la nuova scoperta democratica e una eredità franchista dura da sradicare. Un Paese incerto, rozzo e maschilista, dove ognuno pensa a se stesso e diffida di chi gli sta intorno. I due stessi protagonisti sembrano, per molti aspetti, seguire due indagini separate e autonome, a discapito del lavoro di squadra e della condivisione di idee e opinioni. La pellicola, sorretta da una regia asciutta ma sapiente e da una fotografia malinconica, riesce a catturare lo spettatore e a guidarlo lungo un percorso fatto di case fatiscenti e vite sbiadite. Rodríguez, infatti, riprendendo spunti e tematiche viste anche nel recente El niño del connazionale Monzón, riesce a costruire un noir solido in un contesto credibile e riconoscibile.

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Forse la sola e vera unica critica che si potrebbe muovere al film riguarda la caratterizzazione dei due personaggi principali, mancanti di quella ambiguità e di quelle sfaccettature che avrebbero potuto rendere il loro rapporto ancora più struggente e incisivo di quanto mostrato su schermo. Ma ciò che rende questo Isla mínima così speciale e interessante sono i dettagli di contorno, per una pellicola che vive soprattutto grazie ai personaggi che si muovono sullo sfondo, alle frasi pronunciate a metà, ai segreti non rivelati. Fondamentale è la scelta di un’ ambientazione che, richiamando grandi produzioni americane come True Detective di Nic Pizzolatto o Texas Killing Fields di Ami Canaan Mann, diventa, con la sua terra paludosa, rappresentazione spaziale della melma in cui i due protagonisti, passo dopo passo, devono immergersi per riuscire a venire a capo della vicenda. Le immense campagne, distese del nulla scottate dal sole, diventano metafora della completa assenza di punti di riferimento e di valori che grava su tutti i personaggi, da quelli principali alle semplici comparse. Un ambiente che ci viene mostrato dalle splendide riprese dall’alto come un intricato puzzle di difficile risoluzione, un agglomerato di strade sterrate e canali, ramificazioni di un un labirinto senza uscita.

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La torrida e invadente luminosità che occupa la prima parte della pellicola, scontrandosi invece con una storia cupa e angosciante, finisce inevitabilmente per affievolirsi con il passare dei minuti fino a scomparire del tutto in un finale tesissimo e piovoso. La isla mínima, come da tradizione iberica, è un film quindi che non risparmia nulla al proprio spettatore, sia sul piano visivo che su quello dei dialoghi, sempre crudi e forti nel loro indugiare su dettagli macabri e raccapriccianti. In un contesto così desolante e dolorosamente realistico il regista spagnolo decide però di inserire alcune splendide inquadrature immerse in un surrealismo di matrice lynchiana che affascinano e inquietano. La isla mínima è tutto questo, una detective story cupa e affascinante che mette in secondo piano i colpi di scena e i virtuosismi narrativi per raccontare, in maniera quasi documentaristica, lo scontro tra la nuova e moderna idealità antifranchista, incarnata da Juan, e il vecchio potere reazionario e violento che segna il truce volto del compagno Pedro. Ancora una volta i cugini spagnoli ci regalano una grande lezione di cinema per un film che, speriamo, possa ricevere anche da noi il successo che merita e, magari, darci nuovi spunti per poter tornare a confezionare film di genere così splendidamente disincantati e ferocemente realistici.

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