The Irishman è al cinema: come è cambiato Scorsese dai tempi di Quei Bravi Ragazzi

Frank Sheeran, il sicario interpretato da Robert De Niro in The Irishman (qui puoi leggere la nostra recensione), nuovo film di Martin Scorsese, ha una canzone personale che accompagna molte delle sue scene. La hit degli anni ’60 In the Still of the Night dei Five Satins è una canzone che descrive benissimo il modo di operare del personaggio (arriva nella notte senza che nessuno lo possa vedere, fa quello che deve fare e va via silenziosamente come era arrivato) ma anche il cinema dello stesso Scorsese, in cui ogni stacco di montaggio è netto e brutale, ma allo stesso tempo l’incedere della narrazione sembra possedere una delicatezza inaspettata.

Merito soprattutto del lavoro sopraffino compiuto dall’ormai indispensabile collaboratrice Thelma Schoonmaker, dal montaggio drastico e ben visibile, ma allo stesso tempo mai violento ed invasivo. Proprio la quiete sembra essere il tratto distintivo di questo nuovo film dalla mastodontica durata (ma a pensarci bene era anche quello del precedente Silence, con cui questo film, a cominciare dall’ambiguità della manifestazione della fede nell’esistenza umana, ha molte cose in comune) che non solo mette in scena l’epilogo di un assassino che ha vissuto nella violenza e nell’intimidazione, ma rappresenta anche un personalissimo commiato cinematografico, un addio a quelle storie di gangster che in passato hanno decretato la fortuna del regista che lo dirige.

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C’è un concetto religioso (esplicitato da Scorsese già nel 1977) alla base di tutte le storie di criminali che racconta: “Se infrangi i Dieci Comandamenti, sicuramente questi infrangeranno te”. C’è sempre quindi un peccato di cui macchiarsi, una colpa dalla quale è impossibile sottrarsi e di cui in qualche modo si dovrà rispondere alla fine dei propri giorni. The Irishman si chiude con un tono crepuscolare tipico dei film di Clint Eastwood, che forse solo la religione può mitigare e schiarire (ma anche in questo caso mai del tutto, perché il dubbio spesso è più forte della fede).

Da Quei bravi ragazzi è chiaro cosa interessa maggiormente a Scorsese di quel mondo di criminalità: le dinamiche e le regole da rispettare affinché la macchina della mafia possa funzionare come uno Stato dentro lo Stato, le cui leggi non sono scritte ma frutto di un codice rigidissimo basato prevalentemente sull’onore e sulla parola data. Lo ha d’altronde dichiarato anche De Niro solo qualche settimana fa in televisione: “Ciò che secondo me appassiona di questi personaggi è il fatto che nonostante infrangano la legge, vivono comunque secondo delle regole precise che si sono dati da soli” (per poi continuare, ironicamente: “per questo alcuni vorrebbero essere come dei gangster, ma non sanno neanche mantenere la parola data, come Donald Trump”).

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Eppure rispetto a Quei bravi ragazzi (qui puoi acquistare il blu-ray su Amazon), stavolta quelle dinamiche che regolano il mondo in cui agiscono i personaggi non sono più frutto esclusivamente di calcoli spietati, per cui si è disposti a calpestare i sentimenti fino ad uccidere persone care, ma sono modificate e adattate sui sentimenti che si provano, su ciò che si è diventati dopo aver vissuto la propria vita fino in fondo. I personaggi di The Irishman si guardano indietro, ricordando i momenti in cui è stata data una mano e quelli in cui si è ricevuto l’aiuto di cui si necessitava. Anche il carisma di quei criminali (che era palese in Quei bravi ragazzi e in Casinò, ma soprattutto in The Wolf of Wall Street) sembra essere più flebile.

A Scorsese adesso interessa mostrare come l’umanità di questi personaggi apparentemente imperturbabili emerga proprio perché il business criminale nel quale lavorano li mette in costante rapporto con la morte, dando ad ogni azione un peso particolare, considerando la posta in gioco altissima. Sheeran deve fare i conti con il proprio passato e con l’eredità che lascia a chi verrà dopo di lui. Lo stesso fa Martin Scorsese, che con The Irishman rilegge un intero genere cinematografico e ne estrae i valori essenziali. Quelli che rimarranno anche quando non esisteranno più i suoi film per raccontarli.