Mission: Impossible – Rogue Nation, la recensione in anteprima

Sono passati quasi venti anni da quando Brian De Palma decise di portare sul grande schermo l’omonima serie televisiva degli anni ’60 di Bruce Geller. All’epoca Tom Cruise aveva poco più di trent’ anni e il brillante film scritto da David Koepp e musicato da Danny Elfman fu l’inizio di una delle saghe action più coinvolgenti ed iconiche della storia del cinema. Due decadi e tre registi dopo (John Woo, J.J. Abrams e Brad Bird) Ethan Hunt affronta missioni sempre più impossibili e non in un reboot della saga, bensì in un quarto sequel che, incredibile ma vero, riporta Mission Impossible ad essere lo spettacolare franchise creato dal regista di Scarface. Ma in questo nuovo capitolo scritto e diretto da Christopher McQuarrie, la stessa penna che creò nel 1995 un cult del cinema come I soliti sospetti, l’IMF non esiste più e Hunt è un fuorilegge ricercato dalla CIA. Questo però non lo ferma dal cercare di eliminare il Sindacato, una organizzazione criminale di ex agenti passati al lato oscuro. Ma Hunt non è solo, ad aiutarlo nella impresa ci saranno la doppiogiochista britannica Ilsa Faust (Rebecca Ferguson) e gli storici amici e colleghi Benji Dunn (Simon Pegg), Luther Stickell (Ving Rhames) e William Brandt (Jeremy Renner).

mission impossible 5

Lo abbiamo visto lanciarsi su un treno in corsa, scalare le altissime montagne dello Utah, scappare da un missile a guida infrarossa, arrampicarsi sul Burj Khalifa e tanto altro ancora. Lui è Ethan Hunt, l’agente segreto per antonomasia, l’unico in grado di oscurare il ben più storico e leggendario James Bond e l’unico in grado di sorprendere lo spettatore con alcune delle migliori sequenze d’azione del cinema di genere. Ed è proprio con l’attesa scena che vede Cruise aggrappato al portellone di un aereo in volo che si apre Mission: Impossible – Rogue Nation, un breve ma intenso antipasto di quello che poi vedremo negli ulteriori 125 minuti di film. Perché se pensate che l’iconica scena anticipata nel trailer sia il momento clou del film vi sbagliate di grosso. Nel corso del film infatti ci sono altre sequenze di gran lunga migliori. La prima è quella che vede Hunt alle prese con oltre venti minuti di pura e coreografica azione durante una rappresentazione teatrale austriaca. L’attenzione al dettaglio di McQuarrie è straordinaria e la messa in scena è talmente perfetta da rendere Mission Impossible 5 quasi Hitchcockiano. La seconda è invece una complicata operazione subacquea in cui Hunt deve cambiare una scheda video evitando al contempo terribili ostacoli. La sensazione è quella di giocare ad un videogame come Dead Space, in cui la vita del protagonista è nelle nostre mani: il tempo passa, l’ossigeno diminuisce, il senso di claustrofobia aumenta e lo spettatore non aspetta altro che l’eroe compia la sua missione. Ma gli anni passano e Hunt, un po’ come l’ultimo Indiana Jones di Harrison Ford, è sempre più umano e vulnerabile. Come è vulnerabile nella divertente scena successiva, quando si trova in Marocco appena defibrillato a guidare spericolato tra le scalinate di Rabat. O poco dopo quando, come tradizione vuole, si trova a cavalcare una moto a 200 km orari. Sequenze accompagnate dalla giusta dose di ironia e supportate da una Hunt Girl finalmente degna di nota e da una spalla comica del calibro di Simon Pegg che alleggerisce la pellicola nonostante l’eccessiva durata. Il risultato è così un Mission Impossible ricco di azione, divertimento, eleganza e classe che apre le danze per un già annunciato sesto capitolo e che conferma Tom Cruise come il solo ed indiscusso re del genere action.

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