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Surviving Picasso: un film che racconta la vita del famoso pittore
Film biografico del 1966, Surviving Picasso – Sopravvivere a Picasso è un film del 1996 diretto da James Ivory, che narra la storia di Pablo Picasso – celebre artista e fautore di dipinti oggi famosi in tutto il mondo – sotto una chiave completamente diversa da quella a cui i libri d’arte e di storia ci hanno abituati. Il celebre pittore (probabilmente tra i pittori più famosi della corrente moderna) è interpretato dall’attore Anthony Hopkins, per la produzione di Ismail Merchant e la sceneggiatura di Ruth Prawer Jhabvala: l’argomento del film non è, pertanto, la vita artistica e la carriera del pittore, ma la sua vita umana, i rapporti interpersonali che lo hanno accompagnato per tutta la sua esistenza, come quello con Françoise Gilot, al cui racconto autobiografico attinge il regista per sviluppare la trama del film.
Una storia raccontata in maniera unica ed originale, attingendo da un lato al Vivre avec Picasso della Gilot, dall’altro Creator and Destroyer di Arianna Stassinopoulos Huffington: la voce narrante, non a caso, è proprio quella di Francoise – interpretata da Natascha McElhone – che mette in luce gli aspetti umani dell’artista, il quale si rivela egocentrico, avaro, despota e mai riconoscente né con gli amici, né con le donne. Un film che, proprio per la sua ruvidità, è stato parecchio criticato per aver dato onore solo all’aspetto estremamente negativo di Picasso, mettendo in ombra la sua eccentricità artistica e le sue capacità di espressione nei suoi dipinti. Sopravvivere a Picasso racconta l’incontro dell’artista con la donna che gli darà due figli, la giovane Francoise, a cui l’uomo – nonostante la sua scarsa predisposizione al rapporto umano ed il suo innato egoismo, con il quale manipola e controlla tutti coloro che gli stanno accanto – chiede un atto di amore unico: davanti ad una Chiesa, la giovane donna – i due hanno una differenza di età di circa quarant’anni – promette all’artista amore unico ed eterno, mentre egli, interrogato sulla medesima cosa, tergiversa.
Il rapporto d’amore con la giovane donna durerà fin quando, in seguito ad un lutto che la sconvolge, Francoise non decide di chiedere al compagno uno spazio tutto per lei, per poter smettere di dipendere da lui ed essere così libera di esprimersi: uno spazio che Picasso negherà alla donna, ottenendo così un abbandono istantaneo ed inaspettato che lo getterà nella più profonda depressione. Per amore dei figli, i due continueranno a vedersi ma i loro rapporti non torneranno mai più quelli di prima: nel frattempo, Picasso conoscerà altre donne invaghendosi di una in particolare, Jaqueline Roque, caratterialmente opposta a Francoise e pronta a soddisfarlo in ogni richiesta e desiderio. Il film si conclude con un’amara nota dell’unica donna che abbia saputo tenergli testa, la quale esprime un’ammirazione ed una stima mai dimenticate per lui, nonostante tutto.
Cinema e Cultura
Il film che ha fatto diventare vegetariano Guillermo Del Toro
Rivedendo un vecchio documentario del 2003 abbiamo catturato una rivelazione del regista Guillermo Del Toro che ci ha fatto sorridere. Volevamo condividerla con voi perchè forse non l’avete mai sentita.
Il documentario in questione è opera di Mike Mendez e Dave Parker all’interno del progetto Masters of Horror dedicato a esplorare i maestri del genere che hanno lasciato un segno nella storia del cinema del brivido.
Nell’estratto video pubblicato su YouTube proprio da Mendez, si parla di Tobe Hooper e del suo capolavoro che non passa mai di moda, Non Aprite quella Porta.
La rivelazione di Guillermo Del Toro
Un cult degli anni 70 a cui sono seguiti altri film dando vita a una saga molto amata, oltre che remake più moderni. Uno tra gli slasher movie più visti e analizzati dagli appassionati che ha influenzato anche alcuni lungometraggi che sono usciti dopo.
“Uno dei film che ha avuto un impatto pratico sulla mia vita è stato Non Aprite quella Porta. Dalla prima volta che l’ho visto per quattro anni sono stato totalmente vegetariano, non mangiavo più carne. Poi un giorno mangiai tre polli interi in un solo pasto e sono tornato come prima” afferma Del Toro che appare nel documentario tra i professionisti del cinema intervistati.
Del Toro ha costruito gran parte della sua filmografia sul fantasy horror, con molti mostri inquietanti, storie misteriose, sangue e una buona dose di surreale. Tuttavia i registi spesso prendono ispirazione da colleghi e artisti per stimolare la loro creatività.
Non Aprite quella Porta torna al cinema: le date ufficiali
Non Aprite quella Porta torna al cinema per festeggiare i 50 anni del cult di Tobe Hooper che ha fatto venire gli incubi al pubblico e agli addetti ai lavori per anni. Il 23, 24 e 25 Settembre sarà possibile rivedere questa avventura spaventosa sul grande schermo grazie a Midnight Factory.
Gossip
Il dramma di Colin Farrell: la sua famiglia ha esigenze speciali
La rivelazione è arrivata all’improvviso, la famiglia di Collin Farrel ha esigenze alquanto particolari. Ecco quello che in pochi sanno.
Collin Farrel classe 1976, probabilmente uno degli attori di Hollywood più apprezzati di sempre. Un talento eccezionale il suo, che lo ha portato ad interpretare un gran numero di ruoli differenti. Attore irlandese ha preso parte a pellicole veramente iconiche come Miami Vice, ma anche L’inganno, Il sacrificio del cervo sacro e molte altre ancora.
Nato a Dublino, viene da una famiglia molto numerosa, considerando che è l’ultimo di 4 fratelli. Il papà era un noto calciatore degli anni ’60. Insieme ai genitori, alle sorelle e al fratello, quando aveva appena 10 anni si è trasferito a Castleknock un quartiere residenziale dell’Irlanda. La mamma decide di iscriverlo a un corso di danza, anche se lui nutre il desiderio di diventare un calciatore proprio come il papà.
A 17 anni poi, decide di fare il primo provino e da quel momento in poi parte il suo grande successo come attore. Una personalità di spicco nel mondo del cinema mondiale, con una carriera che gli ha riservato non pochi successi. Impegnato sul fronte sociale è il portavoce delle Special Olympics.
La spinta verso il sociale Collin Farrel la riceve dall’interno della sua famiglia. Ecco poi quello che in pochi sanno.
La famiglia di Collin Farrel con esigenze speciali
Difficilmente Collin Farrel rilascia interviste e soprattutto con molta difficoltà parla della sua vita privata. All’interno della sua famiglia Collin Farrel vive un problema non indifferente e forse proprio questo lo porta ad essere particolarmente vicino alle problematiche sociali che possono vivere le altre famiglie.
Probabilmente sono in pochi a conoscere questo aspetto dell’attore. L’attore nel 2003 ha avuto il suo primo figlio, James. Adesso il ragazzo ha quasi 21 anni ma la sua malattia lo porta ad aver bisogno di un’assistenza particolare. Infatti James soffre della Sindrome di Angelman.
Un duro colpo per l’attore
Non è stato semplice per lui e la modella Kim Bordenave con cui aveva una relazione, accettare la diagnosi che ha toccato il loro primo figlio. Un problema che ha portato l’attore a smettere di bere, per essere un padre presente. Una decisione indispensabile per riuscire ad essere un buon papà per il ragazzo.
La malattia che ha toccato la famiglia Farrel è un raro disturbo genetico che comporta un ritardo nello sviluppo psicomotorio. Proprio da questa esperienza è nata la Colin Farrell Foundation. “Non voglio far sembrare che io sia il padre perfetto, faccio casini a destra e a manca ma almeno devi essere presente per fare casini, quindi ci sono e sì, sono due cose collegate. La mia sobrietà e i miei figli…”.
Festival
Venezia 81 | il nostro commento ai premi e a questa edizione del festival
Si può essere finalmente felici del Leone d’Oro vinto da Pedro Almodóvar per il suo primo lungometraggio in lingua inglese.
Dopo una carriera paragonabile a poche altre, all’età di 75 anni, ha vinto il suo primo premio principale in uno dei grandi festival del mondo (nonostante i tanti film eccellenti e i capolavori di quest’ultima fase della sua filmografia, come per esempio Dolor y Gloria, premiato a Cannes “solo” con la Palma a Banderas per miglior attore”).
Il fatto che questo premio sia arrivato per La stanza accanto, un film bello, unico, che affronta con luminosa frontalità il tema dell’eutanasia, non è che un ulteriore elemento di cui essere contenti. Al di là dell’indiscutibile valore de La stanza accanto, però, tutto era già stato ampiamente previsto, preso atto della qualità medio-bassa del Concorso di quest’anno e della presenza di un unico vero altro contendente al Leone d’Oro: l’epopea di The Brutalist immaginata da Brady Corbet, uno degli autori che – va riconosciuto – il festival di Venezia ha cullato fin dall’inizio, con il folgorante esordio de L’infanzia di un capo.
Corbet, alla fine, si è dovuto “accontentare” del Leone d’Argento per la miglior regia, scavalcato nel palmarès da Vermiglio di Maura Delpero (alla sua seconda opera), che si è inaspettatamente – ma meritatamente – aggiudicato il Gran premio della giuria: uno dei cinque titoli italiani in Concorso, probabilmente l’unico, insieme a Queer di Guadagnino, capace di convincere e arrivare anche ad un pubblico straniero.
Luca Guadagnino, nonostante sia tornato a casa a mani vuote con la sua audace trasposizione di Burroughs (che, evidentemente, ha diviso la giuria guidata da Isabelle Huppert), si può dire comunque soddisfatto per la vittoria di April di Dea Kulumbegashvili, di cui è co-produttore.
Il lungometraggio della giovane regista georgiana ha ricevuto il premio speciale della giuria (quello che generalmente viene riservato a opere più “sperimentali” e meno canoniche) ed è stato forse uno dei pochissimi titoli del Concorso a creare un vero e proprio dibattito. Il resto, infatti, è passato sotto gli occhi degli spettatori senza suscitare grandi emozioni (positive o negative che fossero), fatta eccezione per Joker: Folie à Deux, che inevitabilmente ha catalizzato moltissime attenzioni, non troppo lusinghiere, e suscitato legittimi dubbi sulla sua collocazione in Concorso.
Come ormai avviene da diversi anni, molto più appassionanti e discusse sono state le visioni fuori concorso di Baby Invasion di Harmony Korine e di Broken Rage di Takeshi Kitano (arrivato al festival all’ultimissimo momento utile e per questo, a quanto pare, non in competizione).
Eppure la vera sezione che quest’anno ha realmente galvanizzato il pubblicato è stata quella dedicata alle serie televisive: Disclaimer di Alfonso Cuarón e M – Il figlio del secolo sono state, a detta di tutti, le cose più audaci e interessanti del festival, capaci di entusiasmare molto più dei film in Concorso. Anche Families like ours di Vinterberg e The New Years di Sorogoyen, se pur ad un livello inferiore, sono comunque state seguite, apprezzate e commentate molto più di tanti altri lungometraggi.
Più che un sintomo dello stato del cinema, forse, un sintomo dello stato della Mostra del Cinema. I festival, ovviamente, si fanno con i film che ci sono, e l’andamento delle varie edizioni dipende da cosa è stato prodotto durante l’anno, da cosa c’era a disposizione e dalle trattative con le distribuzioni.
Ma l’impressione, specialmente dando un’occhiata alla line-up degli altri festival della stagione come Telluride e Toronto, è che quest’anno sia sfuggita più di un’occasione. A Venezia, ad esempio, non si sono visti titoli molto attesi come: Eden di Ron Howard, The End di Joshua Oppenheimer, K-Pops! di Anderson .Paak, The Life of Chuck di Mike Flanagan e Relay di David Mackenzie, solo per citarne alcuni.
Persino autori spesso di casa alla Mostra del Cinema, come Uberto Pasolini e Mike Leigh, quest’anno sono finiti altrove. E come accaduto lo scorso anno, quando la première fuori dal Giappone de Il Ragazzo e l’Airone fu ospitata a Toronto e non a Venezia, anche stavolta il festival canadese ha deciso di accogliere uno dei film d’animazione più attesi: The Wild Robot di Chris Sanders.
Decisamente più breve e lineare il commento sulle Coppe Volpi. Considerando il peso di Isabelle Huppert (e il suo temperamento tutt’altro che conciliante), presidente di giuria e unica attrice, insieme alla cinese Zhang Ziyi, tra i giurati, è facile pensare che la scelta sia stata quasi esclusivamente in capo a lei, che ha deciso di premiare il connazionale Vincent Lindon per Jouer avec le feu (film molto tradizionale che si regge tutto sulle spalle dell’attore) e, in maniera molto controversa, Nicole Kidman per Babygirl, uno dei film che più ha polarizzato il giudizio degli spettatori (l’attrice, inoltre, non è tornata al Lido per ritirare il premio a causa della morte improvvisa della madre).
Insomma, quest’anno, nella “competizione” tra festival, la Mostra del Cinema di Venezia non è sicuramente quella che ne esce meglio in termini di qualità e varietà della propria proposta, specialmente se si ripensa al Concorso, quello davvero eccezionale, dello scorso Festival di Cannes.
La speranza, per lo meno, è che questo palmarès così atipico possa almeno avvantaggiare al botteghino film come Vermiglio, in arrivo il 19 settembre nelle sale italiane. Un film non propriamente mainstream che può godere adesso di rinnovata attenzione dopo la vittoria al festival, così come The Brutalist, che, forte del premio alla regia e delle buone recensioni ottenute, potrebbe suscitare la curiosità del pubblico nonostante la durata (3 ore e mezza).
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